Meloni alla Camera sul Consiglio Ue. La maggioranza si ricompatta  

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha riferito al Senato le comunicazioni in vista della riunione del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo 2025. Dodici i punti elencati nel documento: si parte dal dossier Ucraina chiedendo all’esecutivo di continuare a sostenere Kiev “per tutto il tempo necessario, fermo restando l’auspicio di una rapida conclusione dei negoziati di pace”, “a lavorare con l’Ue, con gli Stati Uniti e con i tradizionali alleati per arrivare a una pace basata sui principi della Carta delle Nazioni Unite e sul diritto internazionale, assieme all’Ucraina e ai partner internazionali” e “a dedicare ogni sforzo necessario per la preparazione della Conferenza per la ripresa dell’Ucraina che l’Italia ospiterà a Roma il 10-11 luglio 2025”. 

Altro tema caldo in maggioranza (tra distinguo e frizioni) quello che intreccia economia e difesa, che la risoluzione affronta al nono e decimo punto. Nel testo si legge che il Parlamento impegna il Governo “a preparare il terreno per il negoziato sul prossimo bilancio europeo, opponendosi a eventuali proposte di tassazioni aggiuntive per cittadini e imprese europee e attivandosi per garantire risorse adeguate ad affrontare le sfide collegate agli obiettivi della politica di coesione e della politica agricola, ma anche al tema della sicurezza e della difesa e al rilancio delle competitività europea”. Inoltre si chiede di lavorare “per realizzare una politica di difesa che rinforzi le capacità operative degli Stati nazionali europei nel quadro dell'alleanza Nato, in un quadro geopolitico in cui si registrano fortissime tensioni e conseguenti pericoli; obiettivo che si potrà raggiungere anche tramite l'introduzione di piani di garanzia pubblica per il finanziamento degli investimenti sia nell'industria della difesa sia nei settori tecnologici, logistici e infrastrutturali, così come proposto dall'Italia in sede Ecofin dello scorso 11 marzo”. 

La risoluzione si sofferma ovviamente sul Medio Oriente, chiedendo di “mantenere alta l’attenzione” su un dossier il cui scenario resta “particolarmente delicato” anche per quanto riguarda le transizioni in Siria e in Libano. Per favorire la stabilizzazione dell’area, viene sottolineato, “restano prioritari: la tenuta del fragile cessate il fuoco a Gaza; il completo rilascio degli ostaggi; la prosecuzione degli aiuti umanitari”. Immancabile poi il passaggio sulla gestione dei flussi migratori con l’impegno al Governo di continuare a mantenere al centro dell’agenda europea il tema, in particolare concentrandosi “su priorità quali: la lotta all’immigrazione irregolare anche con strumenti innovativi; lo sviluppo e il rafforzamento di partenariati paritari con i Paesi di origine e transito dei migranti; la pronta definizione di una lista Ue di Paesi di origine sicuri; il negoziato sulla proposta di regolamento in materia di rimpatri, presentata recentemente dalla Commissione Ue, sostenendo in particolare la prevista introduzione di ‘centri di rimpatrio/return hubs’ in paesi terzi”. Infine, il documento messo a punto nella maggioranza affronta i restanti temi all’ordine del giorno del vertice di Bruxelles e che saranno al centro dell’intervento in Aula di Meloni: spazio quindi alla transizione energetica, alla competitività europea, alla semplificazione e alla riduzione della burocrazia e dell'eccesso di regolamentazione, ai temi marittimi. 

Le opposizioni presentano una risoluzione ciascuna. Tensione nel Pd

Ormai sono giorni che nel Pd le acque sono agitate sulla posizione del partito in politica estera. In queste ore si sono susseguite diverse riunioni per trovare il giusto equilibrio sulla risoluzione unitaria da presentare alle comunicazioni della Premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio Ue. Il testo “conterrà la linea che la segretaria ha già ribadito a più riprese”, in Direzione così come all'indomani della decisione di Ursula von der Leyen di mettere sul piatto 800 miliardi per il ReArm Eu: “Sì alla difesa comune, no al riarmo dei singoli Stati. Il piano di Ursula vonder Leyen va cambiato”. È il punto di non ritorno oltre il quale la leader dem non intende indietreggiare: no a testi troppo vaghi o troppo brevi, insomma. L'input arriva chiaro sul tavolo della riunione fiume che va in scena fino a tarda sera alla quale partecipano, tra gli altri, i capigruppo Chiara Braga e Francesco Boccia, il responsabile Esteri Peppe Provenzano e il coordinatore della minoranza Alessandro Alfieri

Il Parlamento italiano non è quello europeo e il Pd deve dire la sua in modo chiaro e deve continuare la sua battaglia “per un'Europa federale” fatta di investimenti comuni e non di tanti piccoli eserciti. Il rischio conta, insomma, non è affatto escluso. Se i riformisti vorranno prendere le distanze da questa direzione indicata dalla segretaria, saranno loro a farlo, il ragionamento, qui non c'è ombrello Pse che tenga. Se non è l'anticipo di un congresso, poco ci manca. Tanto che Antonio Decaro, europarlamentare dem spesso definito candidato in pectore dei riformisti, sente di dover chiarire: “Non abbiamo bisogno di un congresso del Pd. Non ne ha bisogno l'Italia, non ne ha bisogno il Pd. Esiste una segreteria e una segretaria autorevole eletta da poco, Elly Schlein, ed è pienamente titolata a terminare il suo mandato”, assicura, mentre sia il Nazareno che lo staff di Michele Emiliano smentiscono una telefonata tra la leader dem e il Governatore pugliese su quanto accaduto in Europa. 

Per quanto riguarda le altre forze politiche dell’opposizione: Giuseppe Conte insiste nel suo “secco no” al “piano di riarmo da 800 miliardi di Meloni e von der Leyen. Noi siamo per un serio progetto di difesa comune non per sperperare tutti questi miliardi per armare Francia e Germania. Meloni butterà 30 miliardi”, attacca il leader M5S che invita alla manifestazione pentastellata in programma il prossimo 5 aprile, parole che ispirano la risoluzione M5S. Il testo impegna il Governo a impegnarsi per “sostituire integralmente il piano di riarmo europeo Rearm Europe con un piano di rilancio e sostegno agli investimenti che promuovano la competitività, gli obiettivi a lungo termine e le priorità politiche dell'Unione europea quali: spesa sanitaria, sostegno alle filiere produttive e industriali, incentivi all'occupazione, istruzione, investimenti green e beni pubblici europei, per rendere l'economia dell'Unione più equa, competitiva, sicura e sostenibile”. Azione prova a mettere in difficoltà entrambe le coalizioni: “Proprio perché è il momento della chiarezza, sia per le forze della maggioranza che per quelle dell'opposizione, e non quella delle mediazioni inconsistenti e delle parole equivoche” il partito di Carlo Calenda presenta come propria risoluzione il testo delle due risoluzioni, una sull'Ucraina e l'altra sulla difesa, approvate il 12 marzo dal Parlamento Ue

Mattarella celebra Risorgimento e Liberazione

La proclamazione del Regno d'Italia, il 17 marzo 1861 a Torino, mise la prima pietra dell'Italia unita, anche se non completamente e ancora sotto la guida di un re. Un traguardo conquistato “a caro prezzo con il Risorgimento”, parallelamente alla “riappropriazione della propria identità e unità dopo l'occupazione nazista” resa possibile dalla “lotta di Liberazione”. Il percorso è ricostruito, 164 anni dopo, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, con queste parole, ha celebrato la giornata dell'Unità nazionale istituita per legge nel 2012 che nella sua definizione ufficiale cita la Costituzione, l'inno nazionale e il Tricolore e che in mattinata i vertici istituzionali hanno celebrato con una corona d'alloro lasciata sulla tomba del Milite ignoto all'Altare della patria. Alla cerimonia hanno partecipato anche la premier Giorgia Meloni, il presidente del Senato Ignazio La Russa, quello della Camera Lorenzo Fontana, e il presidente della Corte costituzionale Giovanni Amoroso

Nel suo messaggio Mattarella ha ricordato i passaggi storici e politici che hanno portato alla riconquistata unità: non solo la lotta di Liberazione, ma anche “l'occupazione nazista e la rottura istituzionale operata con la nascita, nel nord Italia, del regime della Repubblica sociale”. Da qui il suo monito: la giornata “richiama a ciascheduno i valori su cui si fonda la nostra comunità e le aspirazioni che la animano per la costruzione di una società sempre più coesa e inclusiva, che sappia guardare con fiducia al domani, nell'orizzonte europeo”. Fino all'attualità internazionale che più preoccupa: per il Capo dello Stato, la ricorrenza diventa occasione per sollecitare “l'impegno di ogni cittadino a rendere sempre più effettiva la realizzazione degli ideali di libertà e giustizia” anche “affrontando le sfide per rendere concreta la pace” in Ucraina e in Medio Oriente

Draghi interviene al Senato e rilancia sulla difesa europea: un obbligo

Com’era immaginabile, Mario Draghi irrompe nel dibattito sulla difesa Ue. L'occasione, a poche ore dal colloquio Trump-Putin, è l'audizione dell'ex premier ed ex presidente della Bce sul suo piano per la competitività europea alla Sala Koch, in quello stesso Senato dove poche ore dopo è intervenuta la premier Giorgia Meloni per le comunicazioni in vista del Consiglio Ue. Per Draghi gli indirizzi di Trump “hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile”: gli Usa, votando con la Russia, hanno lasciato sola l'Europa all'Onu sulla risoluzione a difesa dell'Ucraina. I “valori costituenti” dell'Europa sono “posti in discussione”. L'ordine internazionale e commerciale su cui l'Ue ha prosperato è “sconvolto dalle politiche protezionistiche” degli Usa. La difesa comune dunque “è un passaggio obbligato”, ribadisce l'economista da molti considerato tradizionalmente vicino a Washington, con “una catena di comando” europea che “coordini eserciti eterogenei” e “sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale”, con un sistema di approvvigionamento di armamenti, munizioni, infrastrutture, 110 miliardi di euro nel 2023, che va centralizzato superando un frazionamento nazionale “deleterio” che ci rende meri clienti degli Usa. 

“Certo” ci sarà una perdita di sovranità nazionale a vantaggio di una sovranità condivisa, avverte Draghi rifacendosi alle parole di Ciampi sull’autonomia monetaria che era già persa dall'Italia prima dell'ingresso nell'euro. Ci sono anche alcuni assist alla politica italiana nell'intervento dell'ex presidente della Bce: il ricorso al debito comune “unica strada” per tenere insieme Paesi con un elevato margine di bilancio e Paesi molto indebitati come l'Italia. La cautela sulle ritorsioni commerciali dove, in un'Europa trainata dall'export, rischiamo di creare “anche un danno a noi stessi”. La necessità di far avanzare l'afflusso di capitali privati verso l'innovazione e l'high tech. 

Ma c'è una frecciata sulle politiche energetiche italiane: con le bollette fra le più alte in Europa “non possiamo unicamente aspettare le riforme a livello europeo”. Il sapore dell'intervento, complessivamente, è quello di un richiamo: ci ha ricordato “che il tempo è quasi scaduto”, come dirà la vicepresidente dei senatori Pd Beatrice Lorenzin. Un nodo spinoso per la maggioranza, poi, è il passaggio di Draghi sul superamento del voto unanime che paralizza l'Ue, ricorrendo alla cooperazione rafforzata o all'Ue a più velocità con “due o tre Paesi che si mettono d'accordo e fanno le cose che vogliono fare”. L’intervento, che riceverà diverse critiche, in particolare dalla Lega, è durato oltre due ore e mezza e si conclude con una battuta ironica dell’ex presidente del consiglio: “Sentite, vedo che voi guardate l'orologio, quindi vi ringrazio moltissimo per l'attenzione”.

Al Senato Meloni traccia la rotta in vista del Consiglio Ue

Davanti all’assemblea del Senato, la premier Giorgia Meloni ha tracciato la linea che il Governo italiano porterà al tavolo del Consiglio europeo di Bruxelles del 20 e 21 marzo, dove si parlerà di Ucraina e del maxi-piano di riarmo targato Ursula von der Leyen. La posizione dell'esecutivo è sintetizzata nella risoluzione in 12 punti della maggioranza, frutto di un paziente lavoro di mediazione che ha visto protagonista il ministro degli Affari Ue Tommaso Foti, oltre ai capigruppo del centrodestra. Alla sinistra della premier prende posto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, alla destra quello dell'Economia Giancarlo Giorgetti, assente il vicepremier leghista Matteo Salvini, all'estero per impegni istituzionali. La premier ha preso la parola in Aula sottolineando l'importanza dell'attuale momento storico, “decisivo per il destino dell'Italia, dell'Europa e dell'Occidente”. 

Parte dai temi economici ed energetici: competitività (l'Europa non deve rassegnarsi “al ruolo di gregario”); decarbonizzazione“sostenibile per le nostre imprese e per i nostri cittadini”; automotive, settore “strategico” che “non può essere abbandonato al proprio destino”; semplificazione, perché “se l'Europa pensa di sopravvivere a questa fase continuando a pretendere di iper regolamentare tutto, non sopravviverà”; sicurezza ed interconnessioni energetiche, nell'ottica del Piano Mattei caro all'Italia; completamento dell'Unione dei mercati dei capitali per stimolare gli investimenti privati. Non è formalmente nell'agenda del Consiglio europeo, ma il tema dei dazi americani aleggia sul prossimo summit Ue e anche sull'Aula di Palazzo Madama e Meloni non sfugge alla questione, vista la sua delicatezza per una Nazione esportatrice come l'Italia: il quadro “è complesso”, ammette la premier, ma bisogna lavorare “con concretezza e pragmatismo” per trovare un'intesa con gli Usa di Trump, evitando “rappresaglie” e scongiurando, così, una “guerra commerciale”. 

Migranti e MO sono altri due argomenti affrontati nel suo discorso: l'Italia, dice la leader di Fdi, segue “con grande attenzione il ricorso pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia, relativo ai trattenimenti in Albania” e auspica “che la Corte scongiuri il rischio di compromettere le politiche di rimpatrio”. Meloni poi non nasconde la sua “grande preoccupazione” per la ripresa dei combattimenti a Gaza, così come per la situazione in Siria. A proposito del conflitto russo-ucraino, ricorda il “massimo sostegno” che il Governo sin dall'inizio della guerra ha garantito a Kiev. Saluta con favore la nuova fase di negoziati, dichiarando il suo sostegno per “gli sforzi del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump”; è l'unità tra Ue e Usa il concetto che si sforza di rimarcare: “Non è immaginabile costruire garanzie di sicurezza efficaci e durature dividendo l'Europa e gli Stati Uniti”. È giusto, osserva, “che l'Europa si attrezzi per fare la propria parte, ma è nella migliore delle ipotesi ingenuo, nella peggiore folle, pensare che oggi possa fare da sola, senza la Nato” e chi prova a scavare “un solco tra le due sponde dell'Atlantico, non fa che indebolire l'intero Occidente”. La presidente di Fratelli d'Italia ribadisce quanto già dichiarato in diversi consessi, nelle ultime settimane: l'invio di truppe italiane in Ucraina “non è mai stato all'ordine del giorno, così come riteniamo che l'invio di truppe europee sia un'opzione molto complessa, rischiosa e poco efficace”. 

Altro grande tema in discussione è il potenziamento della difesa. Giorgia Meloni torna a bocciare il nome del piano ReArm Europe: l'annuncio dello stanziamento di 800 miliardi per la difesa da parte della Commissione Ue è “roboante” rispetto alla realtà perché quelle non sono “risorse che vengono tolte da altri capitoli di spesa né risorse aggiuntive europee”. A questo proposito, la premier ricorda il fermo no del Governo all'ipotesi di spostare i fondi di coesione destinati alle aree svantaggiate del Sud sul settore difesa. I conti pubblici vanno preservati, nonostante il loro stato di salute sia “molto buono” e una manovra correttiva non sia “nei radar” del Governo. Per questo, spiega, l'Italia “valuterà con grande attenzione l'opportunità o meno di attivare gli strumenti previsti dal piano” che prevedono anche il ricorso a deficit aggiuntivo. La strada indicata dal Governo italiano va nella direzione di un meccanismo di garanzie pubbliche europee sul modello InvestEu “per mobilitare più efficacemente i capitali privati e rilanciare gli investimenti nel settore della difesa”. La risoluzione di maggioranza alla fine passa con 109 sì, 69 contrari e 4 astenuti. Domani, il bis alla Camera dei deputati. 

Tensione alla Camera: passa la risoluzione di maggioranza sul Consiglio Ue 

Da una parte c’è la Lega che continua a bocciare il piano ReArm Europe proposto da Ursula von der Leyen, marcando la differenza con gli alleati di Governo, dall’altro c’è Giorgia Meloni che cerca di tenere unita la maggioranza. A tenere banco in Parlamento alla viglia dell’appuntamento di Bruxelles c’è però altro, ovvero le parole che la premier pronuncia nell’Aula della Camera in replica dopo la discussione generale, tre minuti in cui Meloni cita alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene per poi concludere: “Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”. La dichiarazione, rilanciata dalla presidente del Consiglio anche via social, infiamma Montecitorio spostando di fatto il focus del dibattito e l’opposizione va all’attacco denunciando “un'inaccettabile arma di distrazione di massa per distogliere l'attenzione dalla totale ambiguità della risoluzione di maggioranza sulla difesa europea che non dà nessun mandato chiaro alla premier in vista del Consiglio Ue”. 

E a sera, dopo il suo arrivo a Bruxelles, Meloni torna su quanto accaduto a Roma: “Ho fatto arrabbiare tutti? Ho letto un testo. Ventotene è un simbolo? È un simbolo del quale ho riletto i contenuti. Non capisco che cosa ci sia di offensivo nel leggere il testo. Non l'ho distorto, l'ho letto testualmente”. La mattinata intanto si era aperta, ancor prima dell’arrivo di Meloni a Montecitorio, con le parole del capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari: “Non sono così convinto che ReArm Europe venga approvato. L’Italia non approverà in Parlamento una risoluzione che dà a Meloni il mandato di approvare il piano. La risoluzione parlerà della proposta di Giorgetti all’Ecofin e della volontà dell’Italia, con i propri tempi, di aumentare la propria difesa in linea con gli impegni del paese con la Nato”. A stretto giro ecco però arrivare le parole del vicepremier e segretario di FI Antonio Tajani, che invece assicura che “Meloni ha pieno mandato da parte di Forza Italia per approvare il progetto di sicurezza della von der Leyen”. 

Da Bruxelles è l’altro vicepremier Matteo Salvini a ribadire: “Meloni ha mandato per difendere l'interesse nazionale. Non penso che quello di cui sta parlando qualcuno a Bruxelles corrisponda all'interesse italiano. 800 miliardi di armi sono l'ultima delle cose utili su cui investire in questo momento”. E nel corso delle dichiarazioni di voto, cui la Meloni non assiste, prima del via libera alla risoluzione di maggioranza (approvata dalla Camera con 188 voti favorevoli, 125 contrari e 9 astenuti), è ancora Molinari a dichiarare che “come Lega ribadiamo piena fiducia nella Meloni”. Nel suo discorso, prima del passaggio contestato sul Manifesto di Ventotene, Meloni ha affrontato il tema della “compattezza del Governo” rispondendo a chi nell’opposizione aveva posto l’accento sulle assenze dei ministri leghisti, assenze poi colmate dall’arrivo dei Ministri Giancarlo GiorgettiRoberto Calderoli e Giuseppe Valditara. Per quanto riguarda invece il nodo legato al piano del riarmo, Meloni ha ribadito che “la posizione del Governo è chiara” e “non possiamo non porre il problema che l'intero Piano si basa quasi completamente sul debito nazionale degli Stati ed è la ragione per la quale stiamo facendo delle altre proposte”. 

Meloni attacca il manifesto di Ventotene e le opposizioni insorgono

Dopo le parole di Giorgia Meloni sul manifesto di Ventotene scoppia il caos alla Camera con le opposizioni che attaccano duramente la premier. Federico Fornaro, deputato Pd, è un fiume in piena: dopo aver sbattuto i pugni sui banchi in aula e urlato a squarciagola a Giorgia Meloni di “studiare la storia”, in Transatlantico si sfoga con i cronisti. Le parole della premier, la sua “rilettura macchiettistica e oltraggiosa” del Manifesto di Ventotene, hanno fatto infuriare i dem; Lorenzo Guerini prova a calmare gli animi: “Meloni ha fatto questa operazione per coprire le divisioni del Governo sul piano europeo che sono clamorose. Prima Molinari e poi Salvini hanno detto che non ha il mandato a votare ReArm Eu”. In Aula alle parole della premier il centrodestra si alza in piedi a tributare la sua standing ovation e battono le mani anche i sottosegretari Gianmarco Mazzi e Wanda Ferro, seduti davanti alla presidente del Consiglio e ai Ministri. Meloni poi lascia l'aula. Tommaso Foti cerca di leggere i pareri sulle risoluzioni, strilla per coprire il rumoreggiare a sinistra: non si può andare avanti e il presidente Lorenzo Fontanasospende la seduta per alcuni minuti; alla ripresa, la tensione è alle stelle. 

“Ci sentiamo offesi e indignati, è successo un fatto gravissimo: questa Costituzione è nata anche a Ventotene, è grazie a quegli uomini e a quelle donne che siete liberi. Non si può dileggiare chi ha salvato la nostra patria. Dovete dire grazie a quei rivoluzionari e chiedere scusa”, tuona Marco Grimaldi, deputato di Avs. “Oltraggiare Ventotene significa oltraggiare la memoria di Altiero Spinelli, il padre dell'Europa, di Ernesto Rossi, di Eugenio Colorni”, gli fa eco Fornaro, “Si inginocchi la presidente del Consiglio di fronte a questi uomini e queste donne, non insulti la loro memoria. Il Manifesto di Ventotene non è quello che sostiene Meloni, l'inno della dittatura del proletariato ma il suo esatto contrario: l'inno dell'Europa federale contro i nazionalismi che sono stati il cancro del Novecento”. Dal M5S, Alfonso Colucci affonda il colpo: “Non c'è spazio in quest'aula per il fascismo”. 

Meloni, da poco rientrata in aula, si mette a ridere, scatenando la nuova protesta delle opposizioni. Lo scontro si accende di nuovo. Il presidente della Camera è costretto a interrompere di nuovo i lavori e convoca i capigruppo. Le dichiarazioni di voto vengono rimandate al pomeriggio. Meloni, in partenza per Bruxelles, non c'è, ma lo scontro va avanti con le opposizioni che lamentano l'assenza della premier. Dopo le polemiche è il tempo dei voti: la maggioranza si ricompatta e approva la sua risoluzione, mentre i testi delle opposizioni vengono respinte. M5S e Avs votano insieme, così come fanno AzioneIv e Più Europa. Il Pd si astiene sulle mozioni presentate dalle altre opposizioni ma votano contro sui punti dei dispositivi M5S e Avs che prevedono lo stop all'invio di armi in Ucraina e a favore di quelli sul passaggio contro l'espulsione dei palestinesi da Gaza e Cisgiordania. 

Al Consiglio Ue i 27 dicono sì al ReArm ma ci sono molto dubbi sulla sostenibilità

I leader europei fanno un passo in avanti nella costruzione dell'Unione della difesa. Il Consiglio europeo supporta il piano di riarmo presentato dalla Commissione Ue, anche se il percorso è più complesso del previsto; gli strumenti sono stati messi sul tavolo ma crescono i dubbi dei 27. A dettare la linea finora è l'esecutivo Ue, con Ursula von der Leyen che ha ricevuto le indicazioni degli Stati membri e avanza le proposte di sintesi da sottoporre subito al vertice dei leader prima di seguire l'iter legislativo. I punti sono quelli già presentati da Bruxelles e appoggiati al vertice straordinario del 6 marzo: lo strumento Safe, con 150 miliardi di prestiti da finanziare con eurobond, lo stop al Patto di stabilità per le spese sulla difesa per cui la Commissione consentirà ai Paesi che lo richiederanno di aumentare la propria spesa in difesa fino all'1,5% del loro prodotto interno lordo nei prossimi quattro anni, l'uso volontario dei fondi per la coesione, di cui finora gli Stati hanno speso solo il 7%. L'Italia e gli altri Paesi con un bilancio in affanno devono stare attenti a non ritrovarsi con altro debito in futuro. 

Per questo la premier Giorgia Meloni ha insistito con la presidente von der Leyen sulla necessità di porre l'accento sulla partecipazione del capitale privato, per esempio attraverso il modello Invest EU, che per la prima volta, su richiesta italiana, entra nelle conclusioni del vertice. Sulla possibilità di chiedere i prestiti dello strumento Safe non c'è “assolutamente una chiusura italiana” ma “questa è una scelta che chiaramente noi dovremmo valutare. Così come sulla richiesta di attivare la Clausola di salvaguardia per sospendere il computo delle spese per la difesa dal percorso di rientro del deficit; la scadenza di aprile è troppo ravvicinata”, spiega la premier. Gli 800 miliardi del piano ReArm annunciati dalla leader della Commissione sono “soldi virtuali”, sottolinea Meloni, e tutti questi strumenti sono messi a disposizione da Bruxelles ma poi è competenza degli Stati decidere se e come utilizzarli. Insomma, si rivive la stessa spaccatura tra gli Stati ‘della spesa’ e ‘del rigore’ e non si esclude che gli strumenti possano cambiare o che si arrivi al debito comune con sovvenzioni, oltre che prestiti. 

La partita sul futuro dell'Ucraina è tutta da scrivere, in attesa degli eventi. Il nuovo scenario vede ormai una Ue a 26, con l'Ungheria attestata su una posizione strategica del tutto contraria, tanto che si è ripetuto lo scenario dell'approvazione delle conclusioni sull'Ucraina a 26 senza nemmeno un tentativo di negoziazione con Budapest. “No, non ci sentiamo isolati, perché pensiamo che sfortunatamente l'Europa sia isolata, è il posto più isolato al mondo”, dice Balazs Orban, principale consigliere politico del premier ungherese Viktor Orban, a margine del vertice. Se il resto dell'Ue marcia compatta sulle proposte della Commissione, quasi del tutto naufragato è, invece, il pacchetto da 40 miliardi di aiuti militari per Kiev per il 2025 avanzato dall'Alta rappresentante Ue Kaja Kallas. Tra i 27 ci sono diverse “preoccupazioni per i deficit di bilancio nella maggior parte dei Paesi europei” e quindi, ammette la stessa capa della diplomazia europea, l'unico “piano realistico” per ora resta quello da 5 miliardi per le munizioni. 

Meloni è soddisfatta per i risultati al Consiglio Ue e attacca le opposizioni

L'Ue sostiene l'Ucraina e gli “sforzi” di Donald Trump per una soluzione del conflitto; va nella “giusta direzione” su competitività e migranti; deve essere prudente sui contro-dazi nei confronti degli Usa. Giorgia Meloni lascia per qualche minuto i lavori del Consiglio Ue per incontrare i giornalisti e rispondendo alle domande attacca la sinistra “illiberale e nostalgica” per la reazione “scomposta” alle sue parole sul Manifesto di Ventotene. Sulla questione, la premier si dice “sconvolta” da quanto accaduto alla Camera, da “insulti e ingiurie” che le sono state rivolte da parlamentari di una sinistra che mostra “un'anima illiberale e nostalgica”. Lei assicura di non aver “insultato” ma rivendica il diritto a non essere d'accordo con alcuni dei contenuti del Manifesto. Sul Consiglio Ue la Meloni spiega che nelle conclusioni viene “mantenuto il sostegno all'Ucraina” e “si sostengono anche gli sforzi americani, come anche da richiesta italiana, per una pace giusta e duratura”. Per lei, il punto centrale sono le garanzie di sicurezza che si raggiungono con l'estensione dell'articolo 5 del trattato della Nato, proposta su cui, dice, “cresce il consenso” tra i partner, che nel corso del Consiglio, hanno ringraziato Emmanuel Macron per l'iniziativa dei “volenterosi”. 

Positivo, per lei, anche il giudizio sul piano ReArm Europe. Il nome del piano non le piace (e con la Spagna chiede di cambiarlo) così come il modello di finanziamento. Per questo la premier ha chiesto e ottenuto che nelle conclusioni si facesse riferimento “alla proposta italiana di usare” il modello “InvestEu”. Per quanto riguarda la parte dei prestiti, l'Italia non chiude la porta ma “valuterà”, mentre è troppo “ravvicinato” il termine di aprile per decidere sull'utilizzo della clausola di flessibilità. Meloni giudica anche positiva la discussione sulla competitività, che era al centro del summit. Per lei si procede “nella giusta direzione” anche se “non abbastanza spediti”. In particolare, c'è il riferimento alla “neutralità tecnologica”, un capitolo dedicato alle semplificazioni e l'accoglimento delle proposte italiane e di altre Paesi (a partire dalla Repubblica Ceca) sull'automotive

Anche sui migranti traccia un bilancio con il segno più per la previsione di “hub nei Paesi terzi per processare le richieste di asilo, quindi qualcosa che segue il lavoro che l'Italia ha avviato con il protocollo Italia-Albania”, poi “la richiesta dell'anticipo della soluzione sul concetto di Paese sicuro” e “l'impegno ad anticipare una lista europea dei Paesi sicuri che chiaramente risolverebbe molte delle questioni che abbiamo discusso in queste settimane”. Nel vertice si è parlato anche di dazi e la posizione del Governo italiano si discosta dal modello di una risposta 'dura' di Bruxelles a Trump: per lei serve “prudenza” perché una “risposta automatica” potrebbe generare “conseguenze” negative. Proprio ieri la Commissione ha deciso uno slittamento a metà aprile dei contro-dazi, una scelta “lucida” per la premier che punta ancora a una visita in tempi brevi a Washington.

È ancora scontro tra maggioranza e opposizione sul Manifesto di Ventotene

La polemica sul Manifesto di Ventotene continua a generare tensione tra maggioranza e opposizione. A Bruxelles Giorgia Meloniha ribadito le considerazioni fatte il giorno prima alla Camera e ha attaccato le opposizioni. Tensioni e considerazioni che hanno suggerito al Pd un pellegrinaggio a Ventotene sulla tomba di Altiero Spinelli. “Sento il dovere di rendere omaggio ai padri dell'Europa” ha scritto il deputato Pd, Roberto Morassut, lanciando la proposta. Appuntamento per sabato, hanno già aderito i Verdi. A Bruxelles, è stata la presidente dell'Eurocamera Roberta Metsola a difendere il Manifesto di Ventotene: “E' un pezzo di storia, vi sono le prime tracce dell'idea di un'Europa federale. L'Europa è stata costruita sulle spalle di molti giganti, compresi italiani”. 

Nel centrodestra, Fi non è parsa troppo entusiasta dell'uscita di Meloni. “Siamo leali al governo” ha detto il segretario azzurro e vicepremier Antonio Tajani “ma non rinunceremo a nulla di ciò che riguarda i nostri valori. Sull'Europa non si tratta”. Accenti molto diversi da quelli degli esponenti di Fdi, che se la sono presa anche con Roberto Benigni: “In prima serata su Rai Uno e in Eurovisione” ha detto il presidente della Commissione Cultura della Camera Federico Mollicone “dipinge il Manifesto di Ventotene come un sogno e una favola. Ma è una boiata pazzesca”. Fi, comunque, non è parsa intenzionata a fare muro contro il partito della premier: “Se fosse un Governo anti-Ue non ne farei parte” ha spiegato Tajani. 

La polemica ha visto le opposizioni schierate contro le parole di Meloni. Al Senato c'è stata la replica della baraonda di Montecitorio: a inizio seduta è intervenuta Raffaella Paita di Iv: “Quello che è accaduto ieri è grave per la democrazia e per l'Europa; estrapolare frasi da un manifesto scritto da eroi al confino penso che sia vergognoso”. Gli attacchi a Meloni sono proseguiti con gli altri interventi, da Tino Magni (Avs) al capogruppo M5S Stefano Patuanelli, a Dario Parrini del Pd, mentre dai banchi della maggioranza Claudio Borghi della Lega aizzava: “Il Manifesto di Ventotene è uno dei testi più orribilmente antidemocratici che siano mai stati scritti”. 

Le conclusioni del vertice Ue sulla competitività dell'economia

La semplificazione normativa per le imprese, anche rimettendo mano alla legislazione già in vigore, il completamento dell'Unione dei mercati dei capitali e dell'Unione bancaria nel settore finanziario e nuovi piani di azione per alcuni settori industriali cruciali, tra cui in particolare l'automotive, sono i punti principali delle conclusioni sulla competitività del Consiglio Ue. Sulla semplificazione, il Consiglio europeo invita la Commissione e i co-legislatori (Parlamento Ue e Consiglio Ue a livello ministeriale) “ad adoperarsi per conseguire l'obiettivo di ridurre il costo di tutti gli oneri amministrativi di almeno il 25%” per le aziende in generale “e di almeno il 35% per le Pmi”. Inoltre, “invita la Commissione a continuare a rivedere e sottoporre a stress test l'acquis dell'Ue per individuare modalità per semplificare e consolidare ulteriormente la legislazione vigente” ed “esorta i co-legislatori a portare avanti i lavori sui pacchetti di semplificazione Omnibus presentati il 26 febbraio 2025 in via prioritaria”. 

Sull'Unione dei mercati dei capitali, che è rimasta finora bloccata, oltre al rebranding per cui ora si chiama “Unione del risparmio e degli investimenti” e comprende anche l'Unione bancaria, il Consiglio Ue ha accolto il nuovo piano proposto dalla Commissione per rilanciare l'iniziativa. Le conclusioni fanno appello ai co-legislatori affinché si accordino rapidamente sulle nuove normative proposte per i regimi d'insolvenza e contengono poi un’elaborata formulazione che invita a cercare di superare un altro grosso scoglio, le resistenze di diversi Stati membri nei confronti di un’Autorità unica europea di supervisione del mercato. “Per quanto riguarda il miglioramento della convergenza e dell'efficienza della vigilanza sui mercati dei capitali nell'Ue e la riduzione della frammentazione”, il Consiglio europeo invita la Commissione a garantire “prassi di vigilanza convergenti”, promuovendo un'attuazione, un'interpretazione, e un'applicazione omogenee del diritto dell'Ue da parte delle Autorità nazionali competenti”, e a “completare la valutazione” riguardo alle condizioni “che consentano alle Autorità europee di vigilanza di vigilare efficacemente sugli attori del mercato finanziario e dei capitali transfrontalieri più rilevanti a livello sistemico”. 

Un altro punto rilevante riguarda l’automotive. “Sulla base del Clean Industrial Deal, dell'Automotive Action Plan del 5 marzo 2025 e del Piano sull'Acciaio e i metalli del 19 marzo 2025, che fanno riferimento alla neutralità tecnologica, è necessario intensificare i lavori per garantire l'innovazione industriale, il rinnovamento e la decarbonizzazione dell'Europa e per assicurare la crescita delle tecnologie chiave di domani, come l'intelligenza artificiale, le tecnologie quantistiche, i semiconduttori, il 5G/6G e altre tecnologie critiche, prestando particolare attenzione alle industrie tradizionali in transizione, in particolare l'industria automobilistica, marittima, aeronautica e ad alta intensità energetica, e alla necessità di garantire condizioni di parità”. A questo fine, il Consiglio europeo “invita la Commissione a presentare, senza indugio, una proposta mirata per ulteriori flessibilità per gli obiettivi del 2025” di riduzione delle emissioni di CO2 dalle auto. 

I sondaggi della settimana

Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 17 marzo, tra i partiti del centrodestra arretra Fratelli d’Italia che perde uno 0,2% e scende al 30,0%. In seconda battuta il Partito Democratico riduce le distanze, guadagnando 0,3 punti e avanzando al 22,7%. Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle che perde lo 0,2% e si attesta al 12,2%. Scende Forza Italia, che perde lo0,1% (9,1%) e la Lega rimane stabile all’8,0%. Nella galassia delle opposizioni, AVS rimane invariata al 6.3%, mentre i centristi sono rilevati singolarmente con Azione (3,5%)IV (2,2%) e +Europa (1,9%). Chiudono il quadro settimanale le rilevazioni con Noi Moderati all’1,1%.

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La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI e NM) arretra rispetto alla scorsa settimana, scendendo al 48,2%. Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 29,0% delle preferenze guadagnando 0,3 punti, trainato dal Partito Democratico; fuori da ogni alleanza, il M5S perde lo 0,2% e si attesta all’12,2%. A chiudere il Centro che torna a perdere, lasciando lo 0,3%, scendendo all’ 7,6%.

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  11. Le conclusioni del vertice Ue sulla competitività dell'economia
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