Meloni è da Trump nel giorno dell’insediamento
Prima alla tradizionale funzione religiosa nella chiesa episcopale di St. John, vicino alla Casa Bianca, poi a Capitol Hill per la cerimonia di giuramento, seduta accanto al presidente argentino Javier Milei, infine al pranzo ufficiale, prima di ripartire per Roma. È stata una visita lampo quella a Washington della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, unica leader europea presente all'Inauguration Day, invitata dal presidente Donald Trump. La premier è arrivata nella notte nella capitale Usa, con una decisione presa all'ultimo momento, probabilmente dopo una valutazione sull'opportunità, per lei che punta a proporsi come “ponte” tra la nuova amministrazione e l'UE.
Al termine del giuramento, su X la premier ha fatto gli “auguri di buon lavoro” a Trump, ribadendo la certezza che “l'amicizia tra le nostre nazioni e i valori che ci uniscono continueranno a rafforzare la collaborazione tra Italia e USA, affrontando insieme le sfide globali e costruendo un futuro di prosperità e sicurezza per i nostri popoli”. Meloni, nel post, ha voluto mandare anche un messaggio di rassicurazione ai partner europei, preoccupati da un possibile rapporto teso con l'altra sponda dell'oceano e da un tentativo della nuova amministrazione di dividere l'Ue. “L'Italia sarà sempre impegnata nel consolidare il dialogo tra Stati Uniti ed Europa, quale pilastro essenziale per la stabilità e la crescita delle nostre comunità”.
La Consulta boccia il quesito sull’autonomia non quelli su lavoro e cittadinanza
La Corte Costituzionale boccia il referendum sull'autonomia differenziata e giudica ammissibili gli altri cinque quesiti su cittadinanza e lavoro, compreso quello per l'abrogazione del Jobs Act. La decisione arriva dopo una lunga camera di consiglio al termine della quale due distinte note comunicano l'ok ai cinque referendum e l'inammissibilità di quello nato per abrogare la legge Calderoli. Per i giudici “oggetto e finalità del quesito non risultano chiari” e per come è stato scritto, la consultazione “si risolverebbe in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale”. In altri termini: non si può fare un referendum contro una norma attuativa, come il ddl Calderoli, con l'obiettivo di colpire una legge costituzionale. Il Referendum sulla cittadinanza propone di ridurre il periodo di residenza legale continuativa necessario per richiederla da 10 a 5 anni. Ammessi anche i quattro quesiti promossi dalla Cgil sul tema del lavoro a cominciare da quello per l'abrogazione del Jobs Act, sul quale Italia viva è pronta a dare battaglia.
Salvini contrattacca sul caos treni. Schlein, quando le scuse?
Dopo le polemiche e le accuse per il caos treni nei primi giorni dell'anno, Matteo Salvini va al contrattacco nell’informativa urgente alla Camera. Elenca i numeri su investimenti e cantieri, rivendica la puntualità dell'alta velocità al 75% e torna a suggerire l'ipotesi del sabotaggio. Se la maggioranza fa quadrato, le spiegazioni non bastano alle opposizioni; il Pd, con la segretaria Elly Schlein, torna a chiedere le scuse da parte della premier e del suo vice: “Il governo di Giorgia Meloni sta paralizzando l'Italia e neanche oggi vi assumete uno straccio di responsabilità. Mai. Ogni tanto non fa male in politica dire: scusate, possiamo fare meglio”. Numeri e dati alla mano, Salvini parla di una “escalation preoccupante” di episodi contro il gruppo Fs, a partire da fine novembre”.
“Abbiamo un quadro di incendi dolosi, esplosioni, guasti, rotture e problemi elettrici. Episodi che si sono verificati con regolarità e che poi dopo le pubbliche denunce e gli esposti non si sono più verificate, tanto che la circolazione è tornata regolare, tranne rarissime eccezioni, in gran parte dovute al maltempo”, la ricostruzione del leader leghista. Che ha poi rivendicato: “Il 2024 non è stato un anno come gli altri, per quanto riguarda le ferrovie. Contiamo più di 1.200 cantieri” e “sono cantieri di complessità e valore senza precedenti”. In un passaggio, torna ad attaccare i sindacati: “Nel 2024 il settore dei trasporti ha registrato 626 scioperi. Più di uno al giorno. E anche per questo, in più di una occasione, sono intervenuto con lo strumento della precettazione” perché “la tutela dei viaggiatori è e sarà sempre una priorità”. Ad ascoltare seduto di fianco il ministro Roberto Calderoli, poi il viceministro Edoardo Rixi, il sottosegretario al Mef Federico Freni, quello al lavoro Claudio Durigon e alla Giustizia Andrea Ostellari.
Il M5S presenta mozione di sfiducia per la Santanchè
Sale la tensione in Parlamento per spingere alle dimissioni della ministra del Turismo Daniela Santanchè. Il M5S ha presentato sia alla Camera che al Senato una mozione di sfiducia nei confronti dell'esponente di FdI, rinviata a giudizio nell'ambito dell'inchiesta sui conti di Visibilia Editore. “Metteremo di nuovo il governo con le spalle al muro di fronte al Parlamento e agli italiani” annuncia il leader pentastellato Giuseppe Conte che attacca “Se pensano di far finta di nulla come al solito si sbagliano di grosso”. La mozione ha già incassato l'ok di Avs ed è probabile che anche il Pd la voti: Italia Viva, invece, si è già defilata nei giorni scorsi invocando il principio del garantismo nei confronti della titolare del Turismo. A questo punto si attendono le considerazioni sulla questione della premier Giorgia Meloni. Il capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera Galeazzo Bignami ironizza sul “grande tempismo” dei 5 Stelle “nel giorno in cui Chiara Appendino viene condannata a un anno e 5 mesi” al processo di appello bis per i fatti di Piazza San Carlo: “Questa è la coerenza di Giuseppe Conte e del M5S”.
Non si sblocca la decisione su Santanchè. La Ministra non si dimette
È passata una settimana dal rinvio a giudizio con le accuse di falso in bilancio per i conti della galassia societaria Visibilia e Daniela Santanchè si è presentata a Palazzo Chigi, non per rassegnare le dimissioni, come chiedono le opposizioni, ma per partecipare al Cdm lampo presieduto dalla premier Giorgia Meloni. La delicata posizione della ministra del Turismo, secondo quanto riferito dai colleghi Gilberto Pichetto ed Elisabetta Casellati, non sarebbe stata affrontata nel corso della riunione durata appena 16 minuti. “La ministra era presente, però abbiamo svolto l'ordine del giorno del Cdm. Non si è discusso di altro”, le parole del ministro dell'Ambiente, confermate poco dopo dalla titolare delle Riforme: “Assolutamente non se ne è parlato, neanche informalmente”. Insomma, secondo quanto filtra da Palazzo Chigi non ci sarebbe nessuna novità sul caso.
La presenza della Santanchè nella sede del Governo, peraltro, è stata decisamente limitata: la Ministra è entrata dall'ingresso posteriore a bordo della sua auto pochi minuti prima del via del Cdm e ha lasciato Palazzo Chigi subito dopo la fine della riunione. Quello che è certo è che la Santanchè appare intenzionata a tirare dritto e a non dimettersi. Ad ogni modo la situazione di stallo sembra confermata anche dalle parole del capogruppo di FdI al Senato, Lucio Malan, tra i nomi usciti come possibile sostituto: “A me non risulta, nessuno me ne ha parlato e sto benissimo a fare il capogruppo. Per quanto ne so al momento c'è lo 0% di possibilità. Le dimissioni della Ministra? Solo lei può valutare”.
Tensione nella maggioranza sul ddl sicurezza. La Lega rilancia e sfida gli alleati
Alta tensione in maggioranza sul ddl sicurezza: FdI, Lega, FI e governo si riuniscono a Palazzo Chigi per tracciare la rotta che porti ad accogliere i rilievi del Colle, limitando al minimo i tempi necessari alle modifiche e al via libera definitivo. Ma la necessità di una terza lettura indispettisce la Lega che rilancia: il ddl sicurezza va approvato così com'è in via prioritaria; se si ritiene che si debba “riaprire” il capitolo delle modifiche, sono pronte “ulteriori proposte per rafforzare il sostegno alle forze dell'ordine e per la sicurezza dei cittadini”. La posizione fa deflagrare i timori che circolavano già da giorni nel partito di Giorgia Meloni: il possibile riaccendersi di scontri interni su un provvedimento bandiera. Martedì a Palazzo Chigi si sono riuniti il sottosegretario Alfredo Mantovano, i Ministri Carlo Nordio (Giustizia), Matteo Piantedosi (Interni), Luca Ciriani (Rapporti con il Parlamento), il sottosegretario Nicola Molteni, i presidenti delle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato Alberto Balboni e Giulia Bongiorno e il capogruppo di FI Maurizio Gasparri. Si decide di convocare al più presto una capigruppo per indicare una data fissa per portare subito il testo in Aula. Ma il nodo delle modifiche resta sul tavolo. Salvo colpi di scena, dovrebbe restare fuori la norma per le maggiori tutele delle forze dell'ordine che potrebbe finire in un ddl a parte.
Il Ministro Foti fa il punto su Pnrr e obbiettivi di mandato
Al 31 dicembre 2024 gli obiettivi del Pnrr raggiunti dall'Italia sono 337, pari al 54% del totale di 621. “Siamo a 61 miliardi di euro di spesa, abbiamo tre rate di fronte a noi da poter richiedere e 284 obiettivi da raggiungere”: il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti, che ha preso il posto del Commissario europeo Raffaele Fitto, ha illustrato alle Commissioni per le politiche Ue di Camera e Senato le linee programmatiche per il suo dicastero. Il Piano di ripresa e resilienza, osserva, “è evidente che sia un impegno che deve essere svolto con la massima attenzione, evitando facili entusiasmi per poi trovarsi con cocenti delusioni”. E ricorda che l'Italia è il primo Paese ad aver chiesto la sesta e la settimana rata: “Quando quest'ultima sarà liquidata avremo raggiunto 140 miliardi e oltre a nostra disposizione”.
Lo scenario internazionale con cui il vecchio continente è chiamato a confrontarsi è complesso. “Siamo in presenza di un mondo che appare caotico. C'è tanta carne al fuoco”, scandisce l'esponente di Fdi. In questo contesto, sostiene, “l'Europa deve rappresentare un punto di ragione rispetto al sistema di altri Continenti”. Ma per giocare un ruolo di rilievo ed essere forte all'esterno “deve dimostrarsi coesa al suo interno”. Intanto, l'Unione deve trovare coesione sulla competitività: il report di Draghi “mette a nudo alcune verità che si era portati a non voler ammettere”, afferma il Ministro, chiedendo di dare certezze alle imprese. Da dove partire? “Dobbiamo cercare, senza chiudersi in recinti, di porci il problema dei 300 miliardi che i popoli europei investono fuori dall'Europa e trovare formule di partecipazione di capitale che possano impegnare quelle risorse per rafforzare il sistema economico europeo”.
Manca l’intesa sui giudici della Consulta. Slitta il voto di una settimana
Non è ancora stata raggiunta l'intesa tra maggioranza e opposizioni sul nome del quarto giudice tecnico da eleggere alla Consulta, ovvero, quello che deve essere individuato di comune accordo tra nomi non considerabili vicini a nessuna forza politica. Del resto, non è ancora stato ufficializzato dal centrodestra alle forze di minoranza nemmeno il nome del giudice in quota Forza Italia, uno stallo che rischiava di concretizzarsi in una nuova fumata nera, la quindicesima, per eleggere il sostituto di Silvana Sciarra, posto vacante da oltre un anno, e la sesta per l'elezione dei restanti tre giudici della Corte costituzionale chiamati a sostituire l'ex presidente Augusto Barbera e i due vice Franco Modugno e Giulio Prosperetti, il cui incarico è terminato lo scorso dicembre. Da qui la decisione presa da tutte le parti in causa di rinviare la seduta del Parlamento prevista per giovedì alle 11.00 alla prossima settimana. La nuova votazione per l'elezione dei quattro giudici della Consulta, dunque, si terrà il 30 gennaio alle 9.00, data che dovrebbe essere quella definitiva, salvo sorprese. Nel frattempo, si attende una telefonata tra la premier Giorgia Meloni ed Elly Schlein che dovrebbe arrivare a breve per suggellare l'intesa. Ma, appunto, l'intesa ancora non c'è.
Le opposizioni incalzano sul caso Almasri: la Meloni riferisca in Parlamento
Continuare a tenere alto il pressing su Giorgia Meloni chiamandola direttamente in causa sulla vicenda Amrasi: è questa la linea scelta dalle opposizioni. I contatti fra i vertici di Pd, M5S e AVS sono continui: Elly Schlein ha avuto un nuovo un faccia a faccia con Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni nel Transatlantico della Camera, dove mercoledì si sono ritrovati poco prima di convocare la conferenza unitaria durante la quale hanno chiesto alla premier di riferire in Aula. Ventiquattro ore dopo è stato il ministro Matteo Piantedosi a presentarsi a Palazzo Madama per rispondere al question time: premettendo che il Governo terrà un’informativa più completa la prossima settimana, il titolare del Viminale ha sottolineato che Almasri “era a piede libero in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte penale internazionale”. Dunque, spiega “ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza”. La reazione delle opposizioni è un misto di incredulità e indignazione.
Prosegue il confronto nel Pd su Jobs Act
La legislatura è al giro di boa, non ci sono appuntamenti elettorali imminenti, la situazione si presta ad aprire una fase nuova per il Pd. È questa consapevolezza dentro il partito che nelle ultime settimane ha inviato segni inequivocabili a Elly Schlein, l'ultimo quello sul referendum abrogativo del Jobs Act, che vede sul piede di guerra i riformisti e cattolici protagonisti del doppio appuntamento del 18 gennaio, a Milano e Orvieto, a dire Graziano Delrio, promotore del convegno di Milano che ha tenuto a battesimo l'associazione Comunità Democratica, e il debuttante in politica Ernesto Maria Ruffini, si è detto contrario al referendum ricordando che lui era Ministro del governo Renzi quando il Jobs Act fu varato. Voterà contro il Jobs Act anche Marco Sarracino, deputato e membro della segreteria dem, convinto che il referendum rappresenti l'occasione per “sanare le ferite” che la stagione Renzi ha aperto nel rapporto fra Pd e mondo del lavoro, della scuola e del sindacato.
“Oggi il Pd sta progressivamente ritrovando credibilità con chi non solo aveva smesso di credere in noi ma ci identificava come la causa del problema. I referendum sono un’opportunità per sanare definitivamente quelle ferite”. Ed è lo stesso Sarracino a ricordare che tutti candidati alla segreteria Pd allo scorso congresso (Elly Schlein, Stefano Bonaccini, Paola De Micheli e Gianni Cuperlo) si erano espressi a favore di un superamento del Jobs Act, alla luce delle sentenze della Consulta che ne hanno smontato l'impianto. La partita per il Pd e la sua leader si è fatta in salita con la bocciatura arrivata dalla Consulta sui quesiti riguardanti l'Autonomia. Mancherà, quindi, quell'effetto traino sul quale i promotori e sostenitori del referendum sul lavoro contavano per raggiungere il quorum. Il confronto sul Jobs Act non esaurisce, tuttavia, le questioni sul tavolo della segretaria.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 20 gennaio, tra i partiti del centrodestra inditerreggia dello 0,3% Fratelli d’Italia e si ferma al 29,5%. In seconda battuta il PD con il 22,4%. Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle rimane stabile al 11,6%. Sono in crescita Forza Italia (9,2%) e Lega (8,5%), che continuano a garantire un ottimo appoggio alla maggioranza. Nella galassia delle opposizioni, AVS perde 0,1 punti percentuali, mentre i centristi sono rilevati singolarmente con Azione (3,4%), IV(2,7%) e +Eu (2,2%). Chiudono il quadro settimanale le rilevazioni con Noi Moderati in salita all’1,1%.
La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI e NM), non registra nessun cambiamento e si attesta al 47,2%. Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 28,8% delle preferenze; fuori da ogni alleanza, il M5S si stabilizza al 11,6%). A chiudere il Centro, in crescita al 8,3%.
- Meloni è da Trump nel giorno dell’insediamento
- La Consulta boccia il quesito sull’autonomia non quelli su lavoro e cittadinanza
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