Tensione nella maggioranza tra Lega e Fi. Salvini difende Le Pen e attacca Ue
Resta alta la tensione nella maggioranza. Matteo Salvini difende Marine Le Pen dopo la condanna del tribunale di Parigi: contro di lei “è una dichiarazione di guerra da parte di Bruxelles, in un momento in cui le pulsioni belliche di von der Leyen e Macron sono spaventose. Non ci facciamo intimidire, non ci fermiamo: avanti tutta, amica mia!”. E torna ad attaccare la Ue: “Quella di von der Leyen e Macron non è la nostra Europa. La Lega ha le idee chiare: l'Italia deve essere il ponte tra Ue e Stati Uniti, perché il vero nemico per le aziende italiane oggi non è Trump, ma le folli imposizioni di Bruxelles”. La posizione non è condivisa dagli alleati di FI, che mostrano sempre maggiore insofferenza verso l'atteggiamento del leader della Lega.
Il portavoce azzurro Raffaele Nevi per la prima volta lascia aleggiare lo spettro di una possibile crisi: “Noi stiamo bene con il centrodestra, abbiamo un programma comune, scritto, sottoposto agli elettori, votato dagli elettori e su quello andiamo avanti. Poi se qualcuno decide di cambiare linea, di ritirarsi, di far cadere il Governo se ne assumerà le sue responsabilità”. Ma mostra, per il momento, serenità: “Fino a oggi siamo andati avanti bene e continuiamo ad andare avanti bene”, e per lo stesso Salvini, secondo Nevi, vale l'adagio che “un conto è quello che si dice a un evento di partito, un conto sono gli atti di Governo e i voti espressi in Parlamento. La tenuta del Governo nei passaggi clou non è mai venuta meno, è il centrosinistra piuttosto che solo pochi giorni fa in Parlamento ha presentato sei risoluzioni diverse. Non è una novità che FI e FdI sono nella Commissione Ue e Salvini è all'opposizione, siamo tre partiti diversi che hanno tre famiglie diverse in Europa”.
Ma anche dalla Lega c'è chi frena, come il sottosegretario al Mef Federico Freni: “La Lega è parte integrante di questo Governo, è uno dei collanti di questa maggioranza e vota insieme alla sua maggioranza, conservando le proprie posizioni. Escludo che la Lega possa votare in distonia rispetto alla maggioranza di Governo”, dice commentando l'intervista nella quale Giuseppe Conte invita la Lega a votare la mozione del M5S contro il riarmo. In questo clima, per il momento, pesa il silenzio della premier Giorgia Meloni, che dopo le ripetute richieste alla sua maggioranza di abbassare i toni ha deciso nuovamente di non esporsi.
Il modello Albania è stato apprezzato al summit di Londra
Arriva anche sul tavolo del vertice globale di Londra sulla lotta all'immigrazione il cosiddetto modello Albania delineato da Giorgia Meloni con Tirana, che prevede il trasferimento di migranti irregolari in un hub di raccolta oltre mare e su cui l'Italia ha ricevuto un primo placet da Bruxelles, grazie alle rassicurazioni contenute in un decreto ad hoc. “Siamo a conoscenza degli ultimi sviluppi riguardanti questo decreto e il centro in Albania. Secondo le nostre informazioni, la legge nazionale italiana si applicherà al centro”, come “finora per l'asilo. E in termini di principio ciò è in linea con la legge Ue” ha commentato in proposito un portavoce dell'Ue. Queste parole non cancellano le polemiche politiche interne, ma riflettono un chiaro spiraglio da parte della Commissione Ue, che del resto fa sapere di essere sempre stata “pronta a esplorare soluzioni innovative” per far fronte all'emergenza, purché “in linea con gli obblighi del diritto dell'Ue e internazionale”. Pure il premier britannico Keir Starmer, laburista moderato, torna a richiamare quelle improntate alla linea dura nel summit londinese dinanzi a ministri dell'Interno e delegati di oltre 40 Paesi invitati per discutere di come collaborare per poter stroncare “il vile traffico” di esseri umani “una volta per tutte”.
Al consesso non è mancato il Ministro dell'Interno Matteo Piantedosi e Giorgia Meloni è intervenuta in collegamento per dirsi in sintonia “con l'amico Keir” sul fatto che la sicurezza dei confini debba passare “anche e soprattutto dal governo dei flussi migratori e dal contrasto all'immigrazione illegale di massa”; attraverso una cooperazione a largo raggio mirata a “sconfiggere le organizzazioni criminali che lucrano sulla disperazione e sul legittimo desiderio delle persone di avere condizioni di vita migliori”. Quindi la presidente del Consiglio ha rivendicato apertamente il modello Albania, da cui lo stesso governo Starmer non esclude di poter prendere esempio: “Con Keir siamo d'accordo che non bisogna aver paura d'immaginare e costruire soluzioni innovative, come quella avviata dall'Italia con l'Albania. Modello criticato all'inizio, ma che ha poi raccolto sempre più consenso, tanto che oggi l'Ue propone di creare centri per i rimpatri nei Paesi terzi. Ciò vuol dire che avevamo ragione e che il coraggio di fare da apripista è stato premiato”.
La proposta di Calenda riceve un coro di no bipartisan
All'amo lanciato da Carlo Calenda a Forza Italia, a pezzi di Pd e a non meglio precisati “volenterosi” di centro non sembra al momento abboccare nessuno. Se gli azzurri respingono in modo garbato ma netto, con il portavoce Raffaele Nevi che assicura “noi la coalizione non la romperemo mai”, la segretaria dem Elly Schlein commenta: “Penso che Carlo Calenda debba decidere da che parte stare, non si può stare con un piede in due scarpe. La linea del Pd è una ed è chiara, ritorneremo a governare vincendo le elezioni con una coalizione progressista, senza larghe intese”; il leader di Azione replica: “Cara Schlein, noi stiamo al centro dove ci hanno messo gli elettori. Non andiamo dietro ai populisti filo putiniani e non ci asteniamo quando si tratta di Ucraina, riarmo europeo e difesa. Il resto è fuffa”.
Dal centrosinistra le critiche alla proposta Calenda sono pressoché unanimi: per Riccardo Magi di Più Europa “Chi oggi immagina una convergenza possibile sbaglia perché l'Europa di Meloni e Orban non ha nulla a che fare con le libertà, la democrazia e il federalismo europeo e con la costruzione di una pace giusta”. Angelo Bonelli di Avs rincara la dose parlando di “suicidio politico”, mentre il segretario del Psi Vincenzo Maraio invita Azione a “superare la logica dei veti e lavorare su proposte concrete per costruire un'alternativa”. Da Iv Matteo Renzi taglia corto: “Il problema è che Calenda ritiene Giorgia Meloni una brava leader”. Sul fronte Movimento cinque stelle i toni sono ancora più accesi e il presidente Giuseppe Conte che accusa: “Calenda ha detto una cosa gravissima, profondamente antidemocratica, perché non si invoca la cancellazione di un Movimento e di milioni di cittadini che lo votano”. “Hai governato con Salvini sorridendo mentre presentavi i decreti sicurezza” ribatte il leader di Azione, “Hai flirtato con Trump, Putin, Maduro e la Cina. Di liberale non hai neppure la pochette. Nessuno ti vuole cancellare per legge, quello lo farebbero i tuoi amici Putin e Maduro. Vogliamo cancellare il vostro modo di fare politica fondato su trasformismo, populismo e prese in giro degli elettori”.
Meloni incontrerà Vance a Roma ma a preoccupare sono i dazi
Nelle ore che precedono quella che alla Casa Bianca definiscono “una giornata storica”, Giorgia Meloni sulla risposta ai dazi non cambia linea. L'impatto degli annunci di Donald Trump sarà chiaro solo una volta che il presidente americano avrà ufficializzato le tariffe commerciali per i prodotti stranieri. Nel frattempo, da Palazzo Chigi preferiscono non commentare né gli avvertimenti di Washington né le parole di Ursula von der Leyen sulle risposte europee. Di certo il tema finirà al centro dell'incontro che la premier avrà con il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance, che ha programmato una visita a Roma a Pasqua fra il 18 e il 20 aprile. Nei giorni precedenti, fra l'altro, Meloni dovrebbe vedere Recep Tayyip Erdogan, atteso nella Capitale per il vertice intergovernativo Italia-Turchia del 16-17, un incontro che potrebbe essere rilevante anche sul dossier Ucraina.
Intanto il focus in queste ore è sui dazi. La speranza, coltivata a lungo ai piani alti del Governo, che gli Usa potessero fare eccezioni si è infranta, quella delle esenzioni sul vino ancora resiste anche se la consapevolezza diffusa nell'esecutivo è che le tariffe saranno per tutti e pesanti. Una volta valutato l'effettivo impatto sull'economia, si potrà provare poi a cambiare lo scenario trattando, è la convinzione di Meloni, puntando su dialogo e diplomazia, non in modo bilaterale, come auspicava la Lega, ma in una cornice europea. Le ultime parole di Ursula von der Leyen, che ha preannunciato la dura risposta europea, sono invece andate di traverso a Matteo Salvini: “Aprire guerre commerciali con gli Usa è una scelta infelice, non fa l'interesse di nessuno”; l'altro vicepremier, Antonio Tajani, chiarisce che “non dobbiamo piegare la testa, ma neanche essere antiamericanie” ma “l’Italia non può fare da sé”.
La Lega si prepara per il Congresso di Firenze
La Lega si prepara al congresso nazionale, il primo dal 2019, e potrebbe blindare il suo segretario allungandone il mandato di un anno (4 anni in tutto, fino al 2029) e aprendo alla possibilità di nominare un quarto vicesegretario. Sarebbero alcune delle novità introdotte nella versione aggiornata dello statuto che sarà votato al Congresso federale in programma nel fine settimana a Firenze. Nella fortezza Da Basso, scelta dal partito nel dicembre 2023 per la réunion dei sovranisti europei, tra sabato pomeriggio e domenica sono attesi 725 delegati, compresi segretari regionali e provinciali, parlamentari italiani ed europei, consiglieri regionali e governatori. Sul tavolo numerose mozioni, anche se per ora suonano come documenti programmatici e tematici.
All'orizzonte, infatti, nessuna sorpresa sul ruolo di Matteo Salvini. Attesi, invece, ospiti stranieri e si starebbe lavorando all'ipotesi di un collegamento, o un video, della premier e alleata Giorgia Meloni. Di certo c'è che “non ci saranno nomine, a partire da quelle dei vicesegretari”. La precisazione è in una nota del Carroccio e sembra smontare un'idea che circola da giorni: il 'capitano' potrebbe scommettere su Roberto Vannacci e promuoverlo come suo vice (in aggiunta ad Alberto Stefani, Andrea Crippa e Claudio Durigon). Secondo la bozza del nuovo Statuto che si sta valutando, il segretario potrebbe nominare e revocare fino a 4 vice, di altrettante aree regionali diverse, ma sparirebbe il requisito dell'anzianità di militanza richiesta, oggi di 10 anni. Tanto basta, allora, per guardare a Vannacci, nome che, tuttavia, fa storcere il naso ai leghisti della prima ora e a tanti del nord.
Altra novità sarà quella sulla militanza: nella bozza, viene cancellata per i 22 componenti del Consiglio federale (oggi devono avere almeno 5 anni consecutivi) che è di fatto l'organo esecutivo del partito; il segretario federale deve averne almeno 7 mentre per tutte le altre cariche elettive a livello federale ne bastano 3. Si allungherebbe anche la vita del Congresso federale che verrebbe convocato ogni 4 anni, anziché 3 come è stabilito oggi.
Trump lancia i dazi al 20%. L’Ue prepara pronta a ribattere
Alla fine, sono arrivati e Donald Trump con i nuovi dazi al 20% annunciati nel Liberation Day travolge l'Europa. La presidente Ursula von der Leyen ha scelto nell'immediato di non replicare alle bordate giunte dall'altra sponda dell'Atlantico: lo farà soltanto alle prime luci dell'alba, da Samarcanda, per prendersi il tempo di definire gli ultimi dettagli con i leader dei 27 e calibrare la replica. Una prima reazione però è arrivata già prima dell’annuncio: un appello all'unità lanciato dalla numero uno della Bce Christine Lagarde affinché l'Ue tenga la “schiena dritta” e si faccia “sentire”. E a stretto giro si è levato anche il monito del leader del Ppe Manfred Weber, per il quale Trump attacca il commercio equo “per paura” ma davanti a sé troverà un'Europa “unita, pronta a difendere i propri interessi e aperta a colloqui equi e fermi”. Nei palazzi delle istituzioni comunitarie l'attesa delle decisioni del presidente americano è finita poco dopo le 22.00: per l'Europa, bollata come “patetica” e rea per gli strali dell'inquilino della Casa Bianca di aver “derubato per anni” gli Usa, le sovrattasse toccheranno il 20%, contro il 10% alla Gran Bretagna.
La risposta Ue, da avviare entro fine mese, sarà a due fasi, rapida ma ponderata. Bruxelles ribadirà ciò che, nelle ultime settimane, von der Leyen ha già spiegato più volte: i dazi fanno male a tutti, sono ingiustificati e vanno a intaccare delle relazioni commerciali solidissime. Allo stesso tempo l'Europa non chiuderà la porta al dialogo: il commissario Ue per il Commercio Maros Sefcovic non ha mai interrotto i contatti con Washington, dove non è escluso che torni nei prossimi giorni. Sul piano commerciale la questione si complica: la Commissione sta preparando una risposta che sia innanzitutto equilibrata tra i Paesi membri, tentando di bilanciare al meglio gli effetti collaterali che deriveranno dai contro dazi a prodotti e servizi americani.
Il piano, come anticipato dal Governo francese, è che la risposta sia in due fasi: dapprima, scatteranno i contro dazi su alluminio e acciaio, la sospensione, che scade il 13 aprile, non sarà prorogata; poi, entro fine aprile, Bruxelles dovrebbe mettere in campo la sua reazione al cosiddetto “giorno della liberazione dell'America”. In questo senso, decisivo potrebbe essere il Consiglio Ue Commercio che si terrà lunedì a Lussemburgo. L'unità europea nella risposta a Washington per von der Leyen è un elemento chiave e anche per questo la presidente della Commissione, in vista dell'annuncio di Trump, ha intensificato i suoi contatti con i leader europei. L'obiettivo è far fronte alle richieste che provengono dalle capitali, provando a non scontentare nessuno. O meglio, a scontentare tutti nella stessa misura. In questo senso la Commissione probabilmente accompagnerà ai contro dazi un piano per un sopporto nel breve termine ai comparti economici più colpiti, a partire da quelli dell'agroalimentare.
Il M5S si prepara per la piazza contro il ReArm Eu. Attesa per la decisione del Pd
Il piano di riarmo europeo torna a dividere il centrosinistra che, a Strasburgo, vota in ordine sparso. In occasione del voto sulla relazione annuale 2024 sull'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune, approvata in sessione plenaria dal Parlamento Ue, il Pd ha votato a favore, con le eccezioni di Cecilia Strada e Marco Tarquinio che invece hanno votato contro, mentre M5S e Avs hanno votato no. Ma non è il giorno dell'accentuazione delle divisioni, al contrario, dal M5S si sottolinea come nel rivendicare la “coerenza” della linea politica nessuna dichiarazione dei pentastellati ha puntato il dito contro il voto favorevole dei dem in Europa.
Il Pd ha retto alla prova dell'Aula, grazie a una mediazione che ha evitato una nuova spaccatura interna: i dem a Strasburgo hanno infatti votato contro l'emendamento a favore del riarmo e si sono espressi a favore nel voto finale sulla relazione annuale, accusando invece la maggioranza di essersi spaccata in tre, con FdI che si è astenuta, Forza Italia che ha invece votato si, mentre la Lega ha votato contro. “Una follia dietro l'altra. il Parlamento Ue sta dicendo sì a un rapporto in cui hanno infilato un emendamento che dà letteralmente un bel Welcome al Piano ReArm. Per noi il riarmo non è affatto benvenuto: abbiamo votato contro”, scandisce Giuseppe Conte sui social, rilanciando l'appuntamento di sabato a Roma: “Dobbiamo farci sentire, fermare questo piano scellerato del governo Meloni e della Commissione Ue. Il 5 aprile tutti in piazza”.
Sulla presenza del Pd si attende la decisione di Elly Schlein. “Il Pd farà le sue valutazioni nelle prossime ore, è una valutazione che farà la segretaria. Io penso che ogni piazza faccia solo bene alla democrazia italiana”, spiega il capogruppo dem Francesco Boccia. “Sabato saremo in piazza a Roma per dire no a questo piano di riarmo, voluto da Ursula Von der Leyen e fortemente sostenuto da Giorgia Meloni. Denunceremo che è una follia buttare 800 miliardi in armamenti, riarmare i singoli Stati e ingrassare le lobby delle armi, mentre gli italiani non riescono a pagare le bollette e a curarsi, mentre le nostre imprese sono in ginocchio”, insiste Giuseppe Conte.
Salvini sarà l’unico candidato alla segreteria della Lega
Matteo Salvini è il candidato unico alla segreteria federale della Lega. Nel weekend il congresso di Firenze, che potrebbe allungarne il mandato di un anno fino al 2029, rinnoverà anche parte del Consiglio federale, di fatto l'organo esecutivo del partito in cui siedono di diritto i segretari regionali e i vicesegretari nazionali e, senza diritto di voto, tra gli altri, i capigruppo parlamentari e i governatori. Per i 22 posti elettivi del Consiglio sono state presentate 36 candidature su cui si voterà domenica. “Complimenti a Salvini, ma soprattutto ai media che negli ultimi anni lo hanno dato per morto”, commenta tagliente il deputato leghista Igor Iezzi. “Alla faccia dei retroscena su presunte fronde interne”, gli fa eco il vicesegretario Andrea Crippa. In ballo, per i 22 posti del Consiglio, al momento non risultano big del partito.
Di sicuro correrà Simone Pillon, ex senatore cattolico, uno degli organizzatori dei Family day e noto per le sue battaglie contro aborto, maternità surrogata e il ddl Zan. Tra i lombardi, circolano inoltre i nomi di Fabrizio Cecchetti (ex Radio Padania), Luca Toccalini (coordinatore giovani e deputato), Silvia Sardone (europarlamentare) e Simone Bossi (ex senatore e segretario provinciale a Cremona). Tra i veneti si fa il nome di Mara Bizzotto (oggi numero due al Senato) ed Erik Pretto. Stando alla bozza del nuovo Statuto, il segretario potrebbe nominare fino a quattro vice cui non sarebbe più richiesto il requisito dell'anzianità di militanza, oggi superiore a 10 anni. Anche per questo è circolata l'ipotesi del generale Roberto Vannacci (in aggiunta agli attuali tre vice, Stefani, Crippa e Durigon), ma il partito ha ribadito che al Congresso fiorentino “non ci saranno nomine”. Numerose le mozioni sul tavolo, ma dovrebbero essere per lo più documenti programmatici e tematici.
Nella fortezza Da Basso tra sabato pomeriggio e domenica sono attesi 725 delegati, compresi segretari regionali e provinciali, parlamentari italiani ed europei, consiglieri regionali e governatori. Previsti anche ospiti istituzionali e stranieri ma i nomi sono ancora top secret, al di là delle ipotesi ventilate di Elon Musk o Giorgia Meloni (forse con un videomessaggio) e, sempre in video, anche Marine Le Pen. A Firenze in concomitanza con il congresso leghista ci saranno due giornate di mobilitazione per dire no alla guerra, alla Nato e al carovita, con azioni e cortei organizzati.
L'Europa non chiude ai negoziati ma lavora sui controdazi durissimi
Il primo messaggio di Ursula Von der Leyen è arrivato dalla lontana Samarcanda poco dopo le cinque del mattino. L'Europa “delusa dall'alleato più antico” dovrà prepararsi “all'impatto che sarà inevitabile”, ma ha “tutto ciò che serve per superare la tempesta”. Dopo le misure di Donald Trump, la leader europea si muove alla ricerca di un equilibrio delicato: una prima rappresaglia contro Washington è in arrivo già il 15 aprile, ma i canali del dialogo resteranno aperti per non spaccare il fronte dei 27. Tra questi c'è già chi, come Emmanuel Macron, ha scelto la linea dura: la decisione americana “è brutale e infondata”, ha tuonato l'inquilino dell'Eliseo, sollecitando gli imprenditori a sospendere gli investimenti oltreoceano. Nella risposta di Parigi e Bruxelles “nessuna opzione è esclusa”, è stata l'assicurazione del presidente francese, in attesa che a dargli man forte arrivi Berlino con il suo nuovo cancelliere Friedrich Merz. Per un nutrito gruppo di Governi però la prima strada è quella della diplomazia per evitare un'escalation che “farebbe male a tutti”.
All'indomani del Liberation Day di Trump, l'Europa ha iniziato compattarsi intorno alla convinzione che una risposta adeguata sia ormai inevitabile. L'impatto delle sovrattasse al 20% imposte dagli Stati Uniti nella visione del vicecancelliere tedesco Robert Habeck è paragonabile a quello dell'attacco della Russia all'Ucraina e richiede una “reazione compatta e decisa” come quella mostrata per Kiev. Non tutti però sono pronti a schierarsi lungo la stessa trincea e, da copione, la prima a sfilarsi è stata l'Ungheria di Viktor Orban, accusando Bruxelles di “incompetenza” per non essersi seduta a trattare con l'amministrazione Trump. A entrare per primo nell'arena dei colloqui sarà già nelle prossime ore il commissario del Commercio Ue Maros Sefcovic, nel tentativo di costruire un ponte con Washington. Ora il tono però è cambiato: la risposta dell'Europa sarà “calibrata”, ma “ferma” se non si troverà un accordo equo. A Palazzo Berlaymont si lavora senza sosta: “Negoziare, reagire, diversificare” sono i tre binari lungo i quali si muove la squadra guidata da Ursula Von der Leyen di fronte a dazi bollati come “illegali e ingiustificati”.
Anche perché, hanno denunciato i tecnici della Commissione Ue, Trump ha presentato i suoi numeri usando una media aritmetica“che distorce la realtà”, mescolando tariffe di natura diversa in un cocktail di propaganda che non riflette l'intreccio economico della più grande relazione bilaterale del pianeta. Il richiamo della rappresaglia è forte: non si tratta di “una punizione fine a sé stessa, ma di uno strumento per proteggere aziende, lavoratori e consumatori”, è la linea di Bruxelles, decisa a negoziare da una posizione di forza. La controffensiva targata Von der Leyen ripartirà il 9 aprile quando i Paesi UE voteranno per dare il via, dal 15 aprile, ai primi controdazi. A finire nel mirino in prima battuta saranno i marchi iconici americani Levis, Harley Davidson e yacht di lusso in risposta ai dazi Usa su acciaio e alluminio. Il resto del piano è pronto a scattare dal 15 maggio: una lista che colpisce le roccaforti repubblicane e una vasta gamma di prodotti dell'agroalimentare. L'esecutivo Ue però si prepara a piombare sulle Big Tech, con possibili stangate in arrivo dal Digital services act (Dsa) e Digital markets act (Dma).
Per Meloni i dazi Usa sono sbagliati ma non sono una catastrofe
L'obiettivo è arrivare a un accordo con gli Stati Uniti, in una cornice europea, ma senza “rispondere ai dazi con i dazi”, pressando pure Bruxelles per un cambio di passo, anche per “una necessaria revisione del Patto di stabilità” e nel frattempo studiare come tutelare i settori produttivi più colpiti, con cui ci sarà un confronto la prossima settimana. Si articola così la strategia con cui il Governo italiano prova a far fronte ai dazi lanciati da Donald Trump. I dazi sono “una scelta sbagliata”, ha ribadito Giorgia Meloni, “un altro problema da risolvere” ma “non è la catastrofe che alcuni stanno raccontando” perché il mercato americano “alla fine vale il 10%” dell'export italiano”, dice la premier al Tg1 dopo una giornata aperta dal vertice con i Ministri e proseguita con una serie di colloqui con altri partner internazionali.
Sono forti le pressioni da fronteggiare, da parte delle categorie imprenditoriali e all'interno di una maggioranza in cui la consapevolezza di dover trattare a livello Ue si scontra con gli affondi della Lega, secondo cui la via migliore resta quella dei negoziati bilaterali. Non a caso, fra i messaggi della premier, c'è stato anche un invito a non gettare benzina sul fuoco. Matteo Salvini di primo mattino ha riunito il gruppo economico del suo partito, ribadendo che “se gli Usa hanno deciso di tutelare le proprie imprese, è necessario che l'Italia continui a difendere con determinazione il proprio interesse nazionale anche alla luce dei troppi limiti dell'Europa”. La premier sperava in un trattamento più favorevole nei confronti dell'Italia, cosa che non è accaduta. È “uno snodo difficilissimo”, avrebbe ragionato con i suoi Meloni, determinata però a evitare che la drammatizzazione della situazione crei condizioni ancora meno favorevoli, paralizzando l'economia.
Reagire con “dazi contro dazi” può fare più male all'Italia che ad altri e assicura: “Bisogna aprire una discussione franca, nel merito, con gli americani con l'obiettivo di rimuoverli, non di moltiplicarli”; un punto di caduta considerato positivo potrebbe essere dimezzarli al 10%. In parallelo il Governo punta ad allargare l'export a nuovi mercati, dal Mercosur al Vietnam, dal Messico all'India. Intanto la presidente del Consiglio condivide i prossimi passi con i Ministri: annullata la visita in Calabria, ha riunito per un'ora e mezza a Palazzo Chigi una sorta di task force con Giancarlo Giorgetti (Economia), Adolfo Urso (Imprese), Francesco Lollobrigida (Agricoltura) e Tommaso Foti (Affari europei), oltre ai vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani. In videocollegamento da Bruxelles, il ministro degli Esteri relaziona i colleghi sul colloquio con il Commissario europeo per il Commercio Maroš Šefčovič, a cui ha consegnato “una lunga lista di prodotti italiani” da tutelare, una “trentina” in tutto: vino, motocicli, gioielleria, ma soprattutto agricoltura, tessile e piccola manifattura sono i settori più colpiti.
Le opposizioni attaccano duramente la maggioranza e Meloni sui dazi
La crisi dei dazi scatena le polemiche dell'opposizione e riavvicina, almeno a parole, Pd e M5S dopo le tensioni di queste ultime settimane. “I dazi di Trump sono una mazzata”, sottolinea la segretaria dem Elly Schlein ed “è incredibile come il Governo sia rimasto fermo, senza fare niente; si sapeva da mesi che questo giorno sarebbe arrivato, ma Giorgia Meloni ha usato il condizionale fino a ieri per non urtare l'amico Donald e fa arrivare l'Italia impreparata a questo disastro”. Sulla stessa linea il presidente M5S Giuseppe Conte, secondo il quale “Meloni è arrivata completamente impreparata a questa catastrofe dei dazi che si sta abbattendo sulle nostre imprese e sui nostri lavoratori come uno tsunami economico”. “Adesso basta, il governo deve svegliarsi e scegliere di stare dalla parte dell'Europa”, aggiunge la Schlein, mentre Conte rincara la dose: “A Palazzo Chigi abbiamo dei dilettanti che stanno facendo male all'Italia”. E ancora: “Meloni è rimasta fin qui inerte, attendendo di essere ricevuta alla Casa Bianca da Trump, ma è stata ricevuta semplicemente al Congresso di Calenda”.
Sul punto dai partiti di opposizione arriva un coro di critiche pressoché unanime: secondo Nicola Fratoianni di Avs “con i dazi Trump ha firmato una dichiarazione di guerra che rischia di gettare il mondo in ulteriore caos”. Da Azione Carlo Calenda avverte: “I dazi generano tensioni geopolitiche”, mentre Matteo Renzi con Iv evidenzia che “Trump ha dichiarato guerra” e “Bruxelles deve reagire”. “La risposta dovrebbe essere europea, e invece Meloni ha già detto che farà da sola” chiosa il segretario di Più Europa Riccardo Magi. Sull'onda di una contingente “unità anti-dazi”, Conte rilancia l'invito alla Schlein a partecipare alla manifestazione contro il riarmo: “Io mi auguro che venga, che la possa incontrare e salutare”, dice il leader pentastellato, “credo che Elly Schlein abbia preso delle posizioni sul riarmo molto simili alle nostre”. In ogni caso le opposizioni chiedono a gran voce che la Premier riferisca in Parlamento sulla gravità della situazione.
Il Governo è pronto a varare un nuovo decreto sicurezza. Ira delle opposizioni
Il Governo punta ad accelerare sul fronte sicurezza. È giunto sul tavolo del Consiglio dei ministri un nuovo decreto-legge che svuota il ddl Sicurezza in esame al Senato, assorbendone i contenuti e apportando delle modifiche. Tra queste, rientrerebbero anche quelle sollecitate dal Quirinale su detenuti madri e divieto di acquisto delle sim da parte dei migranti senza permesso di soggiorno. Il ddl ora in discussione a Palazzo Madama, di fatto, finirà su un binario morto (dopo l'ok sarebbe dovuto tornare alla Camera per la terza lettura per un problema di copertura) e verrà sostituito dal nuovo decreto del Governo. Il provvedimento in questione dovrebbe contenere anche le norme sullo scudo penale e la tutela legale per gli agenti di pubblica sicurezza. Le opposizioni non ci stanno e sono sul piede di guerra.
Dalla Lega il vicesegretario del Carroccio Andrea Crippa osserva: “Io credo che debba essere la politica a fare le leggi, poi se dal Colle più alto ci rimandano indietro i testi ne prendiamo atto. Noi però eravamo più d'accordo col testo originale, non col testo edulcorato da Mattarella”. Poi fonti del partito di via Bellerio gettano acqua sul fuoco: “Il decreto Sicurezza che approderà in Consiglio dei ministri è il provvedimento atteso, che serve all’Italia e che soddisfa pienamente la Lega”.
Il Pd, intanto, va all'attacco ed è pronto alla piazza: “Se dovesse essere così, che con un decreto legge sostituiscono il lavoro di un anno e mezzo fatto tra Camera e Senato sul ddl Sicurezza contro il quale noi ci eravamo schierati e sul quale pretendevamo risposte in Parlamento, la nostra reazione sarà durissima e scenderemo in piazza e faremo tutta l'opposizione in Parlamento”, assicura il presidente dei senatori dem Francesco Boccia. Non le manda a dire neanche il deputato di Avs Angelo Bonelli. Il segretario di Più Europa Riccardo Magi rincara la dose: “Giorgia Meloni prova a infilare un altro chiodo sul coperchio della bara del Parlamento, trasformando il ddl sicurezza in un decreto. L'ennesima mortificazione della democrazia parlamentare”.
La maggioranza per la modifica della legge elettorale per i Comuni
Il centrodestra ci riprova. E con un blitz al decreto-legge sulle elezioni e referendum in discussione in Senato prova a mettere a segno una modifica del meccanismo elettorale per i Comuni sopra i 15mila abitanti abbassando al 40% la soglia oltre la quale non scatta il ballottaggio e si diventa sindaco. Lo fa attraverso un emendamento a firma di tutti i capigruppo che prevede anche un premio di maggioranza per le liste collegate per arrivare al 60% dei seggi in Consiglio. Si tratta di una battaglia non nuova per il centrodestra che, provò, senza riuscirvi, almeno in altre due occasioni a portare a casa la misura anti-ballottaggi.
Insorge l'opposizione pronta a “fare le barricate” contro la proposta. “Chiediamo il ritiro di questo emendamento” dice Elly Schlein “che consideriamo una grave provocazione. Altrimenti useremo tutti gli strumenti parlamentari possibili per opporci a tale scempio”. E anche i Comuni sono sul piede di guerra: l'Anci si augura un “ripensamento” e critica l'eventuale modifica a quello che “risulta essere il miglior sistema elettorale del nostro Paese”. Il centrodestra, però, rivendica la propria scelta evidenziando che si tratta di una “prerogativa parlamentare”. Al presidente della Commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni il compito di vagliare l'ammissibilità: dopo un Ufficio di presidenza nel quale sono intervenute tutte le opposizioni, con i capigruppo del Pd Francesco Boccia, di M5S Stefano Patuanelli e di Avs Peppe De Cristofaro ma anche Ivan Scalfarotto per Iv e Marco Lombardo per Azione, si è preso il weekend per studiare la questione.
“Prima di pronunciarmi voglio approfondirla bene anche verificando se esistano precedenti conformi o difformi”, evidenzia sottolineando che in ogni caso le questioni rilevate dal centrosinistra non sono “campate in aria” visto che per legge i decreti in materia di sistemi di voto sono vietati. Per il momento il Quirinale non è intervenuto vista anche la presa di posizione del presidente Balboni. Nel centrodestra, però, qualcuno tira in ballo a sostegno delle proprie tesi un precedente del governo Conte bis. Il tema verrà approfondito nel metodo assicura anche il presidente del Senato Ignazio La Russa. Oltre ai ballottaggi FI ipotizza con un emendamento di far slittare l'ineleggibilità o la decadenza di sindaci o governatori solo al termine del processo e non già all'appello come previsto ora. E ancora, Fratelli d'Italia propone di aumentare il numero dei consiglieri regionali e di due unità quello degli assessori nelle regioni sotto i due milioni di persone.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 31 marzo, tra i partiti del centrodestra mantiene saldo il proprio consenso Fratelli d’Italia che guadagna uno 0,1% e sale al 29,8%. In seconda battuta anche il Partito Democratico cresce, guadagnando 0,1 punti e salendo al 22,5%. Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle che invece perde lo 0,3% e scende all’11,9%. Arretra Forza Italia, che perde lo 0,2% (9,1%) mentre rimane stabile la Lega, che si attesta all’8,4%. Nella galassia delle opposizioni, AVS continua a perdere, lasciando 0,2 punti e attestandosi al 6.0%, mentre i centristi, rilevati singolarmente, avanzano con Azione (3,9%), IV (2,6%) e +Europa (2,0%). Chiude il quadro settimanale le rilevazioni con Sud Chiama Nord di De Luca all’1,0%, scavalcando Noi Moderati, che invece confluisce in Altri perché sotto all’1,0%.
La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI) segna -1,1% rispetto alla scorsa settimana, scendendo al 47,3% perché la rilevazione di Noi Moderati, scendendo sotto l’1%, non risulta più apprezzabile. Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 28,5% delle preferenze perdendo 0,1 punti; fuori da ogni alleanza, il M5S, perde 0,3 punti e si attesta all’12,2%. A chiudere il Centro che registra un buon risultato, guadagnando lo 0,7%, salendo all’8,5%.
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