C’è fiducia nel Governo Draghi: spread verso quota 100
La fiducia dei mercati con il governo di Mario Draghi non è finita e la Bce aiuta ancora a sostenere il debito italiano: Francoforte ha confermato, come da attese, la politica di tassi zero, mantenendo il rendimento sulle operazioni di rifinanziamento allo 0,25% e quello sui depositi negativo dello 0,5%. Ma soprattutto ha ribadito il programma di acquisto di titoli nonostante i primi forti segnali di aumento dell'inflazione, specie in Germania. Una scelta che non ha prodotto effetti sulle Borse, ma ha aiutato i titoli di Stato dei Paesi europei più esposti alla speculazione e al peso del proprio debito. Risultato: lo spread tra Btp e Bund tedeschi a 10 anni torna verso quota 100. Gli operatori del settore si aspettano che il differenziale possa calare sotto la quota psicologica a tre cifre anche nel corso della prossima settimana, mentre vedono per ora irraggiungibile il recente livello più basso, cioè i 90 punti del 12 febbraio, il giorno prima l'insediamento dell'attuale governo.
Se il trend proseguirà con forza dipenderà anche dalle decisioni del Federal Open Market Committee statunitense che si riunisce martedì e mercoledì, che potrà far capire quando la Fed potrà cominciare il temuto tapering, cioè la riduzione del ritmo del piano di sostegno all'economia e ai bond. Gli analisti hanno già indicato due mesi chiave: agosto o, più probabilmente, settembre. La Bce non deve per forza andare a ruota della banca centrale statunitense, ma secondo gli operatori di mercato anche Francoforte non potrà a lungo ignorare i segnali inflattivi, che per ora ha definito transitori. Anche nel caso della banca europea, il cambio di rotta è atteso subito dopo l'estate, con un'attenzione particolare alla riunione di inizio settembre. Più nel dettaglio, secondo S&P ratings, i timori sulla crescita dell'inflazione in maggio hanno contribuito a far salire i rendimenti dei titoli di Stato europei, mentre ora la conferma della politica espansiva della Bce sta riabbassando la curva fino alla possibile discesa dello spread sotto quota 100.
Il debito pubblico raggiunge un nuovo record: 2.680,5 miliardi
Stando ai dati diffusi dalla Banca d'Italia, nel mese di aprile il debito pubblico italiano è aumentato di 29,3 miliardi di euro rispetto al mese precedente, risultando pari a 2.680,5 miliardi contro i 2.650,9 miliardi del mese di marzo. Ad aumentare maggiormente è stato il debito delle amministrazioni centrali cresciuto di 25,9 miliardi mentre quello degli enti locali è salito di 3,5 miliardi e il debito degli enti di previdenza è rimasto invariato. La zavorra del debito si abbatte con sempre maggior forza anche sulle singole famiglie.
L'Unione nazionale consumatori calcola infatti che “per la terza volta nella storia si è superata la fatidica soglia di 100 mila euro di debito a famiglia, arrivando a 102 mila e 337 euro”. E anche calcolando il debito ad italiano si raggiunge un nuovo traguardo. “Considerando la popolazione residente, è come se ogni italiano avesse un debito di 45 mila e 234 euro, un valore superiore a ogni precedente”, rimarca il presidente dell'Unc Massimiliano Dona sottolineando che “il problema del debito, al di là delle soglie simboliche, è che, anche se sostenibile nel lungo periodo, quando finirà la politica monetaria accomodante della Bce e i tassi di interesse cominceranno a risalire ci sarà un aumento delle tasse non indifferente per pagare l'onere del debito, con pesanti effetti redistributivi, come accaduto nel 2011”. La Banca d’Italia segnala anche che ad aprile crescono le entrate tributarie di 31,8 miliardi, in aumento del 31,8% (7,7 miliardi) rispetto allo stesso mese del 2020. Nei primi quattro mesi del 2021 le entrate tributarie sono state pari a 127,8 miliardi, in aumento del 7,3% (8,7 miliardi) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Parallelamente, come segnala l'Abi nel suo bollettino mensile, continua a crescere il volume dei depositi e sale la raccolta bancaria mentre procede l'incremento di prestiti a famiglie e imprese. Pressoché stabile il livello delle sofferenze bancarie mentre salgono di qualche decimale i tassi sui mutui casa.
Istat: crescita congiunturale per export e il commercio estero
Ad aprile 2021 l’Istat stima una crescita congiunturale per entrambi i flussi commerciali con l'estero, più intensa per le esportazioni (+3,4%) che per le importazioni (+1,9). L'incremento su base mensile dell'export è dovuto all'aumento delle vendite verso i mercati extra Ue (+7,4); quelle verso l'area Ue registrano un calo contenuto (-0,2). Lo ha riferito l'Istat nel consueto rapporto mensile sul commercio estero. Secondo l’istituto di statistica nel trimestre febbraio-aprile 2021, rispetto al precedente, l'export è aumentato del 4,2%, l'import del 7,6%. E dunque: "Ad aprile 2021, a seguito del livello eccezionalmente basso di aprile 2020, la crescita su base annua dell'export è straordinariamente ampio: +97,6%, con +91,5% per le vendite verso l'area Ue e +104,6% verso quella extra Ue. Anche l'import segna un fortissimo aumento tendenziale (+62,8) che coinvolge sia l'area Ue (+69,2) sia i mercati extra Ue (+54,9). Ad aprile 2021, si registrano incrementi tendenziali delle esportazioni eccezionalmente ampi per tutti i settori; solo le vendite di articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici sono in diminuzione (-11,3).
Ma non è tutto. Secondo l'Istat infatti: su base annua, le esportazioni crescono in misura molto sostenuta verso tutti i principali paesi partner; i contributi maggiori riguardano le vendite verso Germania (che crescono del 76,9%), Francia (+116,6), Stati Uniti (+112,5), Spagna (+120,8), Svizzera (+86,9) e Regno Unito (+83,8). Nei primi quattro mesi del 2021, la crescita tendenziale dell'export (+19,8) è dovuta in particolare all'aumento delle vendite di macchinari e apparecchi n.c.a. (+25,8), metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti (+29,1), autoveicoli (+62,0), apparecchi elettrici (+31,6) e pelletteria (+27,8). E dunque: la stima del saldo commerciale ad aprile 2021 è pari a +5.870 milioni di euro (era -1.117 ad aprile 2020). Al netto dei prodotti energetici il saldo è pari a +8.719 milioni (era +135 ad aprile dello scorso anno).
L’Istat certifica l’aumento della povertà
Nel 2020, secondo le stime definitive dell’Istat, sono oltre due milioni le famiglie in povertà assoluta (con un'incidenza pari al 7,7%), per un totale di oltre 5,6 milioni di individui (9,4%), in significativo aumento rispetto al 2019 quando l'incidenza era pari, rispettivamente, al 6,4% e al 7,7%. Lo rileva l'Istat nel rapporto sulla povertà 2020. Il valore dell'intensità della povertà assoluta, che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà, registra una riduzione (dal 20,3% al 18,7%) in tutte le ripartizioni geografiche. Tale dinamica è frutto anche delle misure messe in campo a sostegno dei cittadini (reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, estensione della Cassa integrazione guadagni, ecc.) che hanno consentito alle famiglie in difficoltà economica, sia quelle scivolate sotto la soglia di povertà nel 2020, sia quelle che erano già povere, di mantenere una spesa per consumi non molto distante dalla soglia di povertà. Nel 2020, l'incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (9,4%, da 8,6%), ma la crescita più ampia si registra nel Nord dove la povertà familiare è salita al 7,6% dal 5,8% del 2019. Tale dinamica fa sì che, se nel 2019 le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%), nel 2020 arrivano al 47% al Nord contro il 38,6% del Mezzogiorno, con una differenza in valore assoluto di 167mila famiglie.
Anche in termini di individui è il Nord a registrare il peggioramento più marcato, con l'incidenza di povertà assoluta che passa dal 6,8% al 9,3% (10,1% nel Nord-ovest, 8,2% nel Nord-est). Sono così oltre 2 milioni 500mila i poveri assoluti residenti nelle regioni del Nord (45,6% del totale, distribuiti nel 63% al Nord-ovest e nel 37% nel Nord-est) contro 2 milioni 259 mila nel Mezzogiorno (40,3% del totale, di cui il 72% al Sud e il 28% nelle Isole). In quest'ultima ripartizione l'incidenza di povertà individuale sale all'11,1% (11,7% nel Sud, 9,8% nelle Isole) dal 10,1% del 2019; nel Centro è pari invece al 6,6% (dal 5,6% del 2019). Per classe di età, l'incidenza di povertà assoluta raggiunge l'11,3% (oltre 1 milione 127mila individui) fra i giovani (18-34 anni); rimane su un livello elevato, al 9,2%, anche per la classe di età 35-64 anni (oltre 2 milioni 394 mila individui), mentre si mantiene su valori inferiori alla media nazionale per gli over 65 (5,4%, oltre 742mila persone).