Il Fondo Monetario Internazionale stima -10% Pil ucraino ma non esclude tracollo di 25-35%

L'invasione militare russa ha innescato “una grave crisi umanitaria e economica” in Ucraina, dove “la tragica perdita di vite, i massicci flussi di rifugiati e l'immensa distruzione di infrastrutture e capacità produttive sta causando gravi sofferenze umane e quest'anno porterà a una profonda recessione”. Lo ha affermato senza troppi giri di parole la direttrice del Fmi Kristalina Georgieva in un comunicato diffuso assieme a un rapporto di previsioni sulle ricadute della guerra, che segue l'approvazione da parte del direttorio di un esborso di emergenza da 1,4 miliardi di dollari a favore del Paese. L'istituzione di Washington prevede che il conflitto causi un crollo del Pil del 10% in Ucraina sul 2020. Ma ipotizza scenari anche più acuti: “I dati sul Pil reale in tempi di guerra, come in Iraq, Libano, Siria e Yen, suggeriscono che la contrazione potrebbe essere ben più grave nell'ordine del 25-35%”. Sempre secondo le stime diffuse, l'inflazione quest'anno decollerà al 22,6% in Ucraina, dal 9,4% del 2021. 

Intanto le necessità di finanziamenti “sono ampi, urgenti e potrebbero aumentare notevolmente con il proseguire della guerra. La risposta di emergenza delle autorità ucraine è stata notevole. Sono stati introdotti strumenti di controllo amministrativo e dei capitali, per preservare la disponibilità di riserve valutarie estere e ridurre l'incertezza sul tasso di cambio. Per sostenere ulteriormente la stabilità finanziaria, la Banca nazionale Ucraina ha stabilito un nuovo strumento sulle liquidità e introdotto dei regolamenti nuovi”. Per la direttrice del Fmi “La politica economica si è focalizzata nell'assicurare i pagamenti prioritari e l'Ucraina”. Nelle intenzioni del Fmi, l'esborso di emergenza approvato dovrebbe funzionare come “catalizzatore” per mobilitare su ampia scala di ulteriori concessioni di finanziamento che saranno necessarie per aiutare a colmare le carenze di finanziamento e mitigare gli impatti economici della guerra. “Una volta che la guerra sarà finita e i danni saranno stati valutati in maniera appropriata, è probabile che si renda necessario ulteriore supporto”. Al momento il Fmi si attende che il deficit di Bilancio ucraino salga al 6,7% del Pil quest'anno, dal 4,1% del 2021, e che il debito lieviti al 60,3% dal 50,2%. 

Il Governatore di Banca d’Italia Visco è preoccupato per la tenuta della ripresa

La Bce smorza i toni sulla stretta monetaria, di fronte all'allarme per la crescita evocato da Fmi, Ocse e del Commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni. La bassa inflazione pre-pandemia non tornerà, ha avvertito la presidente della Bce Christine Lagarde. Al contrario, è “sempre più probabile” che l'inflazione (al record di 5,9% a febbraio nell'area euro) si assesti e stabilizzi nel medio termine sull'obiettivo del 2%. Resta dunque la tabella di marcia indicata una settimana fa dal Consiglio direttivo, che prevede di terminare il Quantitative easing nel terzo trimestre. Ma è la stessa Lagarde a non legarsi troppo le mani: se servisse, la Bce potrebbe fare dietro-front, senza escludere la possibilità di nuovi strumenti per limitare spread. 

Poche ore dopo, il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco è intervenuto alla conferenza annuale “The Ecb and its Watchers” con un forte colpo di freno. Ha evocato “rischi estremi” dalla guerra, a partire dalla “preoccupante possibilità di una carenza di gas” che costringerebbe a un “razionamento di gas ed elettricità, interrompendo la produzione”. E rischi per la stabilità finanziaria, finora ridimensionati dalla Bce, legati ai fortissimi rincari energetici. Allarme che porta con sé una critica all'interpretazione “priva di messa a fuoco” secondo cui la Bce ha scelto un “orientamento prevalentemente da falco”: di fatto, il Governatore ha ribattuto al pressing dei “governatori falchi” per ridimensionare lo stimolo monetario. Netta la divergenza con la Fed che ha alzato i tassi di un quarto di punto preannunciando ben sette rialzi nel 2022 nonostante una crescita che verrà dimezzata. O la Bank of England, che ha deciso un nuovo rialzo allo 0,75%. Fra i rischi, resta il rebus sul default della Russia. Mosca aveva annunciato lo scorso 6 marzo che avrebbe rimborsato i creditori dei Paesi ostili in rubli dopo il sequestro di metà delle sue riserve in valuta estera dall'Occidente. 

Sull'allarme crescita, Visco prevede uno scenario “gravemente peggiorato” rispetto alle stime Bce di appena una settimana fa. Il Commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni spiega che la guerra non porterà “automaticamente a una stagnazione o addirittura a una recessione”, ma “a una riduzione del ritmo della crescita: se sapremo rispondere paese per paese” e anche uniti “credo che potremo sostenere” il Pil. 

L’Ecofin è vicino all’accordo sulla direttiva Ue relativo alle imposte multinazionali

La riunione dell'Ecofin non è riuscita a conseguire un accordo unanime dei Ministri delle Finanze dei Ventisette sulla direttiva per la soglia minima al 15% dell'imposizione delle multinazionali, che costituirà la trasposizione nella legislazione Ue del secondo pilastro dello storico accordo globale dell'Ocse sulla tassazione internazionale delle imprese. L'opposizione a una decisione che richiede l'unanimità è venuta soprattutto da tre paesi, PoloniaMalta e Svezia, per ragioni diverse. Contrarie per ora anche l'Ungheria, ma in modo molto più sfumato, e l’Estonia, che ha però espresso la speranza di poter appoggiare presto l'accordo. Sulla direttiva per tassazione minima delle imprese multinazionali, ha riferito il presidente di turno dell'Ecofin, il ministro francese delle Finanze Bruno Le Maire, durante la conferenza stampa finale, “un piccolo numero di Stati membri ci ha espresso riserve su punti per i quali forniremo risposte molto specifiche nelle prossime settimane”. Queste riserve riguardano innanzitutto “la questione della scadenza per il recepimento della direttiva. Alcuni Stati ritengono che la scadenza fosse troppo ravvicinata. La proposta potrebbe essere di ritardare il termine fino al 31 dicembre 2023”. Per Le Maire secondo argomento su cui occorrono chiarimenti “è il collegamento tra il primo e il secondo pilastro” dell'accordo Ocse sulla tassazione delle multinazionali

L’Istat fa il punto sull’inflazione: +5,7% a febbraio, mai così dallo scorso millennio

Non si ferma la corsa dell'inflazione che cresce ancora e ingrana la quinta a febbraio, segnando +5,7%. Mai, infatti, la freccia era schizzata così in alto dal novembre 1995: a causare l'impennata, secondo l'Istat, sono i prezzi dei beni energetici, la cui crescita passa da +38,6% di gennaio a +45,9%, in particolare quelli non regolamentati (da +22,9% a +31,3%), seguendo la fiammata di gennaio degli energetici regolamentati che a febbraio sono stabili a +94,6%, cioè quasi il doppio dello stesso mese dell'anno scorso. Gli effetti si vedono in particolare sui beni alimentari, i cui prezzi accelerano di oltre un punto, trascinando oltre il 4% anche la crescita dei prezzi del cosiddetto carrello della spesa. L'inflazione della componente di fondo (al netto di energetici e alimentari freschi) sale, portandosi a +1,7%. A febbraio l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,9% su base mensile e del 5,7% su base annua (da +4,8% del mese precedente), confermando la stima preliminare. L'inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +1,5% a +1,7% e quella al netto dei soli beni energetici da +1,8% a +2,1%. Su base annua accelerano in misura ampia i prezzi dei beni (da +7,0% a +8,6%), mentre rimangono stabili quelli dei servizi (a +1,8%); si allarga quindi il differenziale inflazionistico negativo tra questi ultimi e i prezzi dei beni (da -5,2 punti percentuali di gennaio a -6,8).



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