Mercati sotto shock temono effetti guerra su prezzi

I mercati sotto shock si interrogano sugli effetti della guerra in Ucraina, la cui intensità sarà direttamente proporzionale alla durata del conflitto. Tra i primi a stilare una previsione, l'Istituto dell'economia tedesca che ha fatto un rapido calcolo sulle conseguenze della guerra in un momento molto delicato come questo, con l'economia in ripartenza dopo l'ultima ondata di Covid-19 e la stretta monetaria delle banche centrali che pareva ormai imminente: in Germania, secondo le sue stime, l'inflazione potrebbe balzare a oltre il 6%. Al di là della prevedibile impennata dei prezzi alla pompa, la corsa del prezzo del petrolio che ha ormai superato a Londra i 100 dollari al barile pone senza dubbio dei rischi per un'economia mondiale che è ancora ultra-dipendente dall'oro nero e che si sta appena riprendendo dagli effetti dei lockdown per la pandemia. Preoccupa anche il balzo del gas, considerando ad esempio che più del 50% delle importazioni in Europa proviene dalla Russia: al TTF il prezzo ha superato oggi il 60%

L'Istituto di economia tedesco ha tracciato due scenari: nel primo, l'inflazione salirebbe al 4,3% nel 2022 e al 4,4% l'anno prossimo. Ma se i prezzi del gas dovessero aumentare del 50% in più di quanto erano aumentati negli ultimi tre mesi del 2021, l'Istituto si aspetta che il tasso balzi al 6,1%, un livello che gli esperti considerano "realistico". Il barile da 100 dollari si rifletterà "sul prezzo di molti altri prodotti perché il petrolio è ovunque, in ogni oggetto che usiamo o consumiamo", ha spiegato all'AFP Thomas Pellerin-Carlin, direttore del centro per l'energia dell'Istituto europeo Jacques Delors. Secondo Vincent Juvyns, capo della strategia presso la società di investimenti JP Morgan AM, l'impennata dei prezzi del greggio è "uno shock" per l'economia, anche se è meno grave del Covid-19. "Questo shock sta perpetuando l'inflazione", ha detto. A questo punto, l'aumento dei prezzi dell'energia presenta ai banchieri centrali una scelta difficile: o non alzare i tassi d'interesse e rischiare di far fiorire l'inflazione, o alzarli e rischiare di minare la crescita. Secondo Goldman Sachs i rischi geopolitici in Ucraina non fermeranno la Federal Reserve dal rialzo dei tassi di interesse di 25 punti base (0,25%) a marzo, ma al contempo abbassa ulteriormente la probabilità di un aumento che possa toccare i 50 punti base (0,50%). Da parte sua, la Bce che aggiornerà le sue stime alla riunione di marzo, aveva in programma una riunione informale del suo board ma il conflitto ucraino ha sconvolto l'agenda dei lavori e, soprattutto, ha invitato soprattutto i "falchi" del suo board a procedere con estrema cautela sul fronte del tapering e della stretta monetaria.

Ucraina: Bce monitora da vicino implicazioni situazione

La Bce "sta "monitorando da vicino le implicazioni della situazione in Ucraina". Lo afferma un portavoce. La Banca centrale europea, ha spiegato il portavoce, condurrà una valutazione completa delle prospettive economiche nella riunione di marzo. Doveva essere un incontro "informale" quello del board della Bce, fissato a Parigi, prima dell'incontro dei ministri delle Finanze Ue. Si sarebbe dovuto discutere delle nuove prospettive macroeconomiche, e delle previsioni sull'andamento dei prezzi e di conseguenza sul ritiro del piano di stimoli avviato per attutire gli impatti della pandemia. Ma l'attacco russo all'Ucraina sconvolge l'agenda dei lavori e aggiunge incertezza al percorso che l'istituto di Francoforte deve avviare per uscire dai tassi di interesse negativi. L'invasione di Mosca acuisce peraltro l'allarme di un aumento dei costi energetici, di turbolenze finanziarie e di un calo del commercio per l'Eurozona, che porterebbe ad una nuova impennata dei prezzi dell'energia, considerando anche il fatto che l'Eurozona dipende dal gas russo per il 40% del suo fabbisogno. In un'intervista a Reuters, il policy-maker Yannis Stournaras è stato il primo a suonare il campanello d'allarme, sostenendo che la Bce debba continuare ad acquistare obbligazioni almeno fino alla fine dell'anno per contrastare gli effetti deflazionistici a medio e lungo termine di un conflitto in Ucraina. Secondo gli analisti, la nuova situazione geopolitica indurrà la Bce ad una maggiore cautela e a ritardare quindi la decisione sulla riduzione dell'acquisto di asset.

Bce, governatori a Parigi per l'addio al Qe

Si avvicinano decisioni pesanti per la Bce, che prima ancora del Consiglio direttivo di marzo vedrà i governatori riuniti a Parigi, nel mezzo della crisi energetica, con l'inflazione che corre e i mercati in subbuglio per la possibilità che Francoforte alzi presto i tassi per la prima volta in un decennio. L'occasione per l'"incontro informale" del 24 febbraio è la riunione dei ministri delle Finanze dell'Ue nella capitale francese il giorno dopo. "E' il primo incontro in presenza da lungo tempo, una chance per discutere un ampio ventaglio di temi", ha spiegato la presidente Christine Lagarde su Twitter. In gioco c’è lo smantellamento del quantitative easingcon cui la Bce, da Draghi in poi, ha portato il suo bilancio (fatto di asset come debito pubblico e maxi-prestiti alle banche) all'82% dell'area euro. La Fed si è fermata al 37%. Un aiuto decisivo alla tenuta del credito e ai bilanci nazionali, arrivato nel pieno dello shock pandemico, nel 2020 e 2021 a finanziare l'intero disavanzo di Paesi come l'Italia. Se fino a poche settimane fa Lagarde aveva escluso un rialzo dei tassi nel 2022, due settimane fa, con l'inflazione balzata oltre il 5%, ha detto che ora l'ipotesi è sul tavolo. Una mossa che deve essere preceduta dalla fine del Qe, o meglio degli acquisti al netto dei reinvestimenti dei titoli già comprati(questi proseguiranno fino al 2024).

Lo shock inflazionistico da prodotti energetici non è più considerato temporaneo. E saranno decisive le nuove stime che, il 10 marzo, Lagarde presenterà per l'inflazione nel 2023 e 2024: attualmente all'1,8%, se salissero al 2% significherebbe che è ora di una politica monetaria neutrale, portando i tassi a zero (da -0,5%) e chiudendo anticipatamente il Qe. Dopo le dichiarazioni a favore nei giorni scorsi dei governatori “falchi” Klaas Knot (Olanda) e Joachim Nagel (Germania), hanno aperto (con cautela) a un cambio di direzione i governatori francese e spagnolo. E anche una “colomba” come Philip Lane, capo economista della Bce, tre giorni fa ha invocato una "normalizzazione" se l'inflazione si assesta (come appare probabile a molti analisti) sul 2%. La posizione dellaBundesbank ha coagulato un gruppo consistente, e un consenso più ampio sarebbe quasi raggiunto sulla decisione di annunciare a marzo la fine del Qe a settembre, prima di alzare i tassi a dicembre. 

Inflazione: Istat conferma, +1,6% a gennaio, +4,8% su anno

Nel mese di gennaio 2022, si stima che l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, registri un aumento dell'1,6% su base mensile e del 4,8% su base annua (da +3,9% del mese precedente), confermando la stima preliminare. Così l'Istat in una nota. Secondo l'Istituto di statistica, l'ulteriore e marcata accelerazione dell'inflazione su base tendenziale è dovuta prevalentemente ai prezzi dei beni energetici (la cui crescita passa da +29,1% di dicembre a +38,6%), in particolare a quelli della componente regolamentata (da +41,9% a +94,6%), e in misura minore ai prezzi dei beni energetici non regolamentati (da +22,0% a +22,9%), dei beni alimentari non lavorati (da +3,6% a +5,3%) e a quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +2,3% a +3,6%); da segnalare, invece, il rallentamento dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +3,6% a +1,5%). 

L'"inflazione di fondo", al netto degli energetici e degli alimentari freschi, rimane stabile a +1,5%, mentre quella al netto dei soli beni energetici accelera da +1,6% a +1,8%. L'aumento congiunturale dell'indice generale è dovuto, per lo più, ai prezzi dei beni energetici regolamentati (+43,8%) e in misura minore a quelli degli energetici non regolamentati (+3,0%), dei beni alimentari non lavorati (+2,0%), degli alimentari lavorati (+1,3%), dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,1%) e dei beni durevoli (+0,8%). Secondo l'Istat, solo i servizi relativi ai trasporti diminuiscono (-1,6%), a causa per lo più di fattori stagionali. Su base annua accelerano i prezzi dei beni (da +5,5% a +7,0%) e di un solo decimo di punto anche quelli dei servizi (da +1,7% a +1,8%); il differenziale inflazionistico tra questi ultimi e i prezzi dei beni resta negativo (-5,2 punti percentuali), ampliandosi rispetto a quello registrato a dicembre (-3,8). 

Industria: Istat, -2,1% fatturato a dicembre 

A dicembre si stima che il fatturato dell'industria, al netto dei fattori stagionali, registri un calo del 2,1% rispetto a novembre, determinato da una contrazione più ampia del mercato interno (-3,1%) rispetto a quello estero (-0,2%). Lo ha riferito l'Istat in una nota. Secondo l'Istituto di statistica, nel quarto trimestre l'indice complessivo è cresciuto del 3,9% rispetto al trimestre precedente (+4,3% sul mercato interno e +3,4% su quello estero). Con riferimento ai raggruppamenti principali di industrie, a dicembre gli indici destagionalizzati del fatturato segnano una diminuzione congiunturale per tutti i principali settori: i beni strumentali (-3,5%), l'energia (-2,7%), i beni di consumo (-2,2%) e i beni intermedi (-1,0%). Corretto per gli effetti di calendario, il fatturato totale cresce in termini tendenziali del 14,3% (i giorni lavorativi sono stati 22 contro i 21 di dicembre 2020). Per quanto riguarda gli indici corretti per gli effetti di calendario riferiti ai raggruppamenti principali di industrie, si registrano marcati incrementi tendenziali per l'energia (+58,1%) e i beni intermedi (+27,9%), più contenuti per i beni di consumo (+11,4%); per i beni strumentali si rileva, invece, una flessione dello 0,2%. Con riferimento al comparto manufatturiero, gli aumenti tendenziali riguardano tutti i settori di attività economica, ad eccezione dei mezzi di trasporto. 

Istat: a febbraio in calo fiducia consumatori, cresce per imprese

A febbraio 2022 si stima una diminuzione dell'indice del clima di fiducia dei consumatori da 114,2 a 112,4, mentre l'indice composito del clima di fiducia delle imprese sale da 105,3 a 108,2. Lo comunica l'Istat. Tutte le componenti dell'indice di fiducia dei consumatori sono in calo ad eccezione del clima futuro. Più in dettaglio, il clima economico scende da 129,7 a 129,4, il clima personale e quello corrente registrano una flessione più accentuata passando, rispettivamente, da 109,0 a 106,8 e da 114,7 a 109,6. Infine, il clima futuro aumenta (da 113,5 a 116,6). Con riferimento alle imprese, segnali eterogenei provengono dai quattro comparti indagati. In particolare, l'indice di fiducia diminuisce nel comparto manifatturiero (da 113,7 a 113,4) e in quello del commercio al dettaglio (da 106,6 a 104,9) mentre aumenta nelle costruzioni (da 158,8 a 159,7) e, in misura marcata, nei servizi di mercato (da 94,9 a 100,5). Quanto alle componenti degli indici di fiducia, nella manifattura peggiorano sia i giudizi sugli ordini sia le attese sulla produzione, in presenza di un decumulo delle scorte; nel commercio al dettaglio i giudizi sulle vendite si deteriorano, le scorte sono giudicate in accumulo mentre le attese sulle vendite sono in aumento. In relazione all'andamento della fiducia nei macrosettori produttivi esaminati per ciascun comparto, nel manifatturiero si segnala una diminuzione nei beni strumentali a fronte di un aumento dell'indice nei beni intermedi e una stabilità nei beni di consumo. Con riferimento ai servizi, l'indice di fiducia aumenta in tutti i macrosettori con una risalita più decisa nel trasporto e magazzinaggio e nell'informazione e comunicazione. Relativamente ai circuiti distributivi del commercio al dettaglio, l'indice di fiducia registra una caduta nella distribuzione tradizionale e un aumento nella grande distribuzione. 



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