Per il Fmi il default Russia avrebbe un effetto limitato sull’economia mondale

Per il Fondo monetario internazionale l'effetto di un ipotetico fallimento dell'economia russa per il resto del mondo sarebbe “abbastanza limitato” e quindi questo scenario non rappresenta un “rischio sistemico” per l'economia mondiale. In un videocollegamento insieme alla direttrice del Fondo, Kristalina Georgieva, la numero due dell'organizzazione Gita Gopinath ha spiegato che la maggior parte dell'economia mondiale non è fortemente esposta al debito russo e che il suo peso è “relativamente piccolo” in una prospettiva globale. “Ovviamente potrebbero esserci alcune banche che hanno una maggiore esposizione a questi asset e sarebbero influenzate negativamente, ma con i numeri che abbiamo, (il possibile fallimento della Russia) non è un rischio sistemico per l'economia globale”. Un'ipotetica bancarotta è uno scenario su cui si è ipotizzato nelle ultime settimane, soprattutto per l'impatto delle sanzioni economiche imposte a Mosca e il crollo del rublo, ma secondo il Fmi, per il momento, la Russia ha i dollari necessari per far fronte ai suoi debiti. Tuttavia, ha osservato che permane incertezza sui regolamenti e sulla capacità della Russia di effettuare materialmente quei pagamenti a causa delle sanzioni che hanno isolato quel paese dal sistema finanziario globale. 

La Bce teme l'incubo inflazione e guarda al bilancio Ue

La guerra crea “rischi estremi” per l'economia ma la Bce mantiene la rotta verso una politica monetaria meno espansiva di fronte al rischio di un'iperinflazione, e preannuncia una stretta anche per gli aiuti pandemici alle banche. Al momento tutte le opzioni restano aperte: incluse misure ad hoc per contenere gli spread. Per capire perché Fed e Bce paiono più attente al rischio inflazione che a quello di una recessione, bisogna andare indietro allo shock petrolifero degli anni '70. L’eredità di quest’ultimo fu un’iperinflazione dovuta anche alla politica monetaria espansiva delle banche centrali. Di fronte allo shock energetico di adesso, Fed e Bce non vogliono fare lo stesso errore. Pur con uno scenario economico precipitato nel giro di un mese, stanno ritirando le misure d'emergenza pandemica. La Fed ha già alzato i tassi. La Bce, più cauta, per prima cosa ridurrà gradualmente gli acquisti nuovi di bond, nell'ottica di azzerarli fra luglio e settembre, a patto che le prospettive d'inflazione, che paiono sempre più ancorate all'obiettivo di medio termine del 2%, non si indeboliscano. Il successivo rialzo dei tassi non sarà immediato, “ma avverrà in un momento successivo”. Il quadro che ha davanti la Bce, confermato dal Bollettino economico, è di una crescita che, nello scenario base, si ferma al 3,7% nel 2022 (4,2% era la stima pre-guerra) e al 2,8% in 2023. Ma c’è anche uno scenario grave con una crescita che dal 5,4% del 2021 crolla al 2,3% quest'anno e il prossimo. 

S&P, che ha tolto 0,7 punti percentuali alla crescita mondiale (3,7% nel 2022) ha già tagliato al 3,2% la sua previsione per l'area Euro, dal 4,4% di poche settimane fa. Gli indici Pmi dell'Eurozona oggi segnalano una tenuta (54,5 a febbraio) ma anche un forte peggioramento delle aspettative future. Tutto, infatti, rischia di peggiorare con il prolungarsi della guerra e l'escalation delle sanzioni: è la stessa Bce ad avvertire che “i rischi estremi al ribasso derivanti da un ulteriore inasprimento delle tensioni potrebbero essere significativi e compromettere la ripresa mondiale”. Ma il timore principale è che lasciar correre l'inflazione peggiorerebbe le prospettive economiche, proprio come accadde dopo lo shock petrolifero. Da una parte la Bce conta su misure di stimolo all'economia da parte dell'Ue: “le politiche di bilancio devono continuare a essere in grado di reagire rapidamente in funzione dell'evolvere della situazione”. Dall'altra punta (e il dibattito è in corso) proprio sui reinvestimenti che saranno mirati verso i Paesi che dovessero vedere un rialzo eccessivo degli spread, come ad esempio l'Italia. 

La Bce pubblica il calendario per lo stop alle misure sulle garanzie collaterali

Intanto, la Banca centrale europea ha pubblicato il calendario per porre gradualmente termine alle misure sulle garanzie collaterali adottate per sostenere gli istituti di credito dell'Eurozona contro la crisi del Covid-19. Come comunicato dall'Eurotower, le misure introdotte ad aprile del 2020 cesseranno di essere efficaci in tre fasi, tra luglio prossimo e marzo 2024. In questo modo, verrà “gradualmente ripristinata la tolleranza al rischio dell'Eurosistema precedente alla pandemia e verranno evitati effetti scogliera collaterali”. Da luglio, la Bce revocherà i regolamenti sulle garanzie che le banche devono fornirle per ottenere prestiti. Con queste misure, l'Eurotower ha inteso garantire che, a seguito della pandemia di coronavirus, non vi sarebbe stata una stretta creditizia nonché sufficienti collaterali per gli istituti di credito. Secondo l’autorità monetaria europea, la graduale revoca degli interventi darà alle banche dell'Eurozona abbastanza tempo per adattarsi. A partire da luglio, tra l'altro, verranno nuovamente aumentati gli sconti da valutazione sulle garanzie presentate dagli istituti di credito. Inoltre, le garanzie che hanno soddisfatto i requisiti minimi di qualità creditizia entro il 7 aprile 2020, ma il cui rating è poi sceso al di sotto di tale soglia, non saranno più accettate in futuro. Tuttavia, i titoli di Stato greci che non soddisfano i requisiti di qualità dovrebbero continuare ad essere accettati come garanzia, almeno fino a quando le obbligazioni in scadenza verranno nuovamente sostituite nell'ambito del Piano di emergenza per l'acquisto di titoli contro la pandemia di Covid-19 (Pepp).

Il Governatore Visco lancia l’allarme sul costo dell’energia

Per il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, se negli Usa negli ultimi due anni i prezzi di energia e gas sono raddoppiati, in Europa i rincari sono arrivati ad un multiplo che in alcuni casi raggiungono 10 volte e “qualcosa bisogna fare”, perché diverse imprese in queste condizioni “non possono sopravvivere”. Un richiamo alle politiche di bilancio, perché di fronte a uno shock dell'offerta come quello attuale la riposta non può essere di politica monetaria. La divergenza tra Usa e UE mostra come in Europa non si sia di fronte a “un problema di eccesso di domanda ma di difficoltà di offerta”. Gli aiuti devono essere brevi e poi rimossi, ma servono perché “ora con prezzi del gas a 10 volte quelli di due anni fa è ovvio che mettiamo un grade stress non solo sui consumatori e sulla fiducia, ma anche sull'attività del settore industriale stesso”. Un richiamo salutato dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi“Desidero ringraziare di cuore il governatore della Banca d'Italia per la chiarezza con cui si è espresso: a questi prezzi dell'energia, oggi di nuovo in ascesa, semplicemente le imprese non possono reggere. Quindi ribadiamo la necessità di interventi di natura strutturale”. Secondo Visco sono auspicabili interventi di politica di bilancio e economica, magari con misure per “redistribuire questa che è come una tassa”. E “se la politica economica riesce a ridurre il trasferimento dei rincari” su altre voci e “se la guerra non dura troppo”, allora “potremmo non avere stagnazione alta inflazione”. 

L’Istat annuncia una revisione del Pil tra -0,3 e -0,4%

L’Istat è chiara nel ribadire che a seguito del processo di revisione, tuttora in corso, dei dati di importazione in valore del gas naturale allo stato gassoso per i mesi da luglio a dicembre 2021, i dati rilasciati il 1° marzo 2022 con il comunicato su Pil e indebitamento delle amministrazioni pubbliche subiranno delle revisioni. In particolare, da prime elaborazioni effettuate si stima che l'impatto maggiore risulterà sul Pil nominale del 2021, che potrà subire una revisione al ribasso stimata entro il -0,3 e il -0,4%. La revisione risulterà marginale sul Pil concatenato, dovuta essenzialmente ad effetti statistici di bilanciamento del conto delle risorse e degli impieghi. L’Istat aggiunge poi che nel 2021 l'aumento del Pil ai prezzi di mercato passerebbe dal +7,5%, rilasciato il 1° marzo 2022, al +7,1, mentre risulterebbe uguale il tasso diffuso per la crescita del Pil in volume, pari al 6,6%. L’Istituto di statistica, con la revisione del Pil nominale, comunica che il normale processo di revisione degli aggregati di finanza pubblica, rilasciati il 1° marzo 2022, ha portato ad una revisione dell'indebitamento che, rapportato ai nuovi livelli del Pil, ha lasciato invariato il rapporto deficit/Pil al -7,2%. 

Cresce l’occupazione nel quarto trimestre del 2021

Nel quarto trimestre 2021 l'input di lavoro, misurato in termini di unità di lavoro equivalenti a tempo pieno, è aumentato sia in termini congiunturali (+0,3% rispetto al terzo trimestre 2021) sia su base annua (+6% rispetto al quarto trimestre 2020). L'occupazione, a sua volta, presenta una “rilevante crescita” sia rispetto al trimestre precedente sia su base annua. Lo sottolinea la Nota trimestrale sulle tendenze dell'occupazione relativa al quarto trimestre 2021 pubblicata da Istat, Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Inps, Inail e Anpal. Su base congiunturale, la crescita dei dipendenti si osserva in termini sia di occupati (+0,4%, Istat) sia di posizioni lavorative del settore privato extra-agricolo (+0,6%, Istat), che aumentano moderatamente nell'industria (+0,3%) e nei servizi (+0,4%) e più marcatamente nelle costruzioni (+3,2%). La crescita congiunturale delle posizioni lavorative dipendenti trova conferma nei dati del Ministero del Lavoro sulle Comunicazioni obbligatorie che evidenziano un aumento di 229 mila posizioni negli ultimi tre mesi, a tempo indeterminato (+68 mila rispetto al terzo trimestre 2021) e soprattutto a tempo determinato (+160 mila). Nel quarto trimestre, le attivazioni di rapporti di lavoro alle dipendenze sono state 2,619 milioni (+1,5% in tre mesi) e le cessazioni 2,390 milioni (-1,3%). 

Anche su base tendenziale, l'occupazione dipendente è in aumento in termini sia di occupati (+3,3% in un anno, Istat) sia di posizioni lavorative dell'industria e dei servizi (+4,9%, Istat); anche i dati del Ministero mostrano una crescita delle posizioni lavorative (+618 mila su anno), che interessa tutti i settori di attività economica, a eccezione di quello agricolo; la dinamica positiva trova conferma nei dati Inps-Uniemens (+692 mila posizioni in un anno). Su base annua, prosegue la crescita delle posizioni lavorative a tempo indeterminato, seppur in rallentamento, sia nei dati del Ministero (+297 mila in un anno; era +308 mila nel terzo trimestre 2021, +367 mila nel secondo e +394 nel primo) sia in quelli Inps-Uniemens (+140 mila, +182 mila, +184 mila e +207 mila). Il numero dei lavoratori in somministrazione presenta una nuova forte crescita raggiungendo le 489 mila unità (+89 mila, +22,4% nei dati Inps-Uniemens su anno); anche il numero dei lavoratori a chiamata o intermittenti continua a crescere (+91 mila, +58,6% su anno nei dati Inps-Uniemens), attestandosi a 246 mila unità. Nel 2021 l'utilizzo del contratto di prestazione occasionale è rimasto in linea con i valori del 2020 (14 mila lavoratori al mese); il Libretto Famiglia registra in media mensile circa 20 mila prestatori. Il lavoro indipendente, invece, presenta un lieve aumento in termini congiunturali.



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