Confindustria: azzerata la stima del Pil per il 2019

Il Centro studi di Confindustria vede un’Italia ferma e azzera le previsioni di crescita per il Pil 2019. A pesare ci sarebbe anche “una manovra di bilancio poco orientata alla crescita, l'aumento del premio di rischio che gli investitori chiedono sui titoli pubblici italiani, il progressivo crollo della fiducia delle imprese rilevato da marzo, dalle elezioni in poi”. Sul fronte dell’occupazione, secondo Confindustria, nel 2019 “per ora non si vede un'inversione di tendenza nei contratti”, i lavoratori dipendenti sono tendenzialmente fermi, c'è un calo del lavoro a termine ma non è ancora compensato dai contratti a tempo determinato”, mentre definisce il 2018 a due velocità visto che nei primi 6 mesi l'occupazione è cresciuta di 198.000 unità salvo poi calare di 84.000 nel II semestre. Secondo le stime, nel 2019 l'occupazione resterà sostanzialmente stabile (+0,1%) e aumenterà dello 0,4% nel 2020. Resterà invece ferma al palo per tutto il 2019 la domanda interna mentre quella estera è vista come l’unica chance che potrebbe evitare, sebbene di poco, la recessione. Insomma, dati estremamente negativi che potrebbero subire un miglioramento se ci fosse quel cambio di passo della politica economica chiesto a gran voce dall’Unione Europea, Banca d’Italia, Bce, e Fmi. Secondo il centro studi di viale dell’Astronomia, le due misure cardine del Governo per il rilancio della crescita e dei consumi, il reddito di cittadinanza e Quota 100, daranno un contributo esiguo alla crescita economica: realizzate in deficit, hanno contribuito al rialzo dei tassi sovrani e al calo della fiducia, con un impatto negativo sulla crescita; inoltre hanno fortemente ipotecato i conti pubblici e rischiano di far salire il deficit al 3,5% senza contare i 25 miliardi di clausole di salvaguardia che se non coperte con la prossima legge di bilancio porteranno a un aumento dell’Iva.

Dopo le polemiche il nuovo Dg di Bankitalia sarà Panetta

Sarà Fabio Panetta il nuovo direttore generale di Bankitalia. Dopo mesi di trattative, si scioglie senza sorprese il rebus di palazzo Koch, con una riunione del Consiglio superiore presieduto da Ignazio Visco in cui il Governatore ha proposto il nome dell'attuale vicedirettore al posto di Salvatore Rossi, il cui incarico scade a maggio e che con una lettera ai dipendenti aveva annunciato la propria indisponibilità a un secondo mandato. Proprio l'addio dell'economista barese aveva sbloccato l'impasse delle nomine che si trascinava da gennaio, da quando cioè, in coincidenza con lo scadere dell'incarico del vicedirettore generale Luigi Signorini, i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini avevano tuonato contro i vertici di via Nazionale chiedendo discontinuità rispetto al Direttorio in carica ai tempi delle crisi bancarie che hanno coinvolto i risparmiatori. Con l'uscita di Rossi, dopo 43 anni in Banca d'Italia, si realizza in buona parte il cambiamento tanto auspicato dai pentastellati. Il nome di Panetta è gradito a entrambe le forze di Governo, che non dovrebbero dunque opporre resistenze alla sua nomina.

Il Governo è lavoro sul Def con le incognite sul debito e privatizzazioni

Doveva calare, poco alla volta, agendo sulla crescita, sulle dismissioni e su un maxi piano di privatizzazioni. Ma il debito pubblico potrebbe invece salire nel 2019 e poi ancora nel 2020, esponendo l’Italia al severo giudizio delle agenzie di rating e dei mercati, prima ancora che a quello della Commissione europea. Il taglio delle stime sul Pil, ormai scontato nel prossimo Def, porterà inevitabilmente una revisione anche di quelle sul debito: a dicembre, quando il Governo stimava una crescita dell'1%, le previsioni erano per quest'anno di una discesa sotto il 131%, per proseguire sulla stessa scia anche nel 2020, anno in cui il rapporto era previsto sotto il 130%. Ma ora che anche le indicazioni del sottosegretario all'Economia Massimo Garavaglia non si discostano molto dallo zero virgola e che anche Standard &Poor's, dopo Fitch, ha tagliato ad appena lo 0,1% le previsioni di crescita per l'Italia, le stime di Confindustria parlano non a caso di numeri molto diversi, superiori al 133%. Del piano di dismissioni immobiliari da 950 milioni, promesso all'Europa prima del via libera alla legge di bilancio, al momento non si vedono nemmeno i contorni. E nulla trapela nemmeno sulle privatizzazioni, che dovrebbero raggiungere il valore di 17-18 miliardi. Sul tavolo del Mef rimane ancora il passaggio di quote delle partecipate pubbliche in mano al Tesoro a Cdp, ma l'operazione non potrà prendere forma finché non sarà risolta la questione della posizione di Cassa nell'Amministrazione pubblica. Il passaggio avrebbe infatti senso, ai fini della riduzione del debito, solo se Cdp venisse definitivamente considerata esterna al perimetro della P.A; sulla questione della riduzione del debito, al momento il Governo punterebbe più sulla politica estera: basti pensare ai recenti accordi con la Cina e ai ripetuti viaggi di Di Maio in America senza contare i rapporti tra Salvini e Mosca.

Per l’Istat la produttività nel lavoro è aumentata solo dello 0,4% dal 2000 al 2016

Secondo il settimo Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi elaborato dall’Istituto di Statistica tra il 2000 e il 2016 la produttività del lavoro in Italia è aumentata dello 0,4% mentre di oltre il 15% in Francia, nel Regno Unito, in Spagna e del 18,3% in Germania. Secondo l’Istat sul fronte della competitività né il costo del lavoro né l'evoluzione dei prezzi sembrano avere svolto un ruolo di freno per il paese. Le indagini qualitative rilevano segnali di incertezza crescente: prevale ancora la quota di imprese che nel corso del 2018 hanno aumentato il proprio fatturato, il capitale fisico e gli occupati a elevata qualifica professionale, ma la percentuale di chi segnala riduzioni di fatturato è in crescita rispetto al 2017. Nel 2018 il fatturato manifatturiero è cresciuto del 3,2%, in decelerazione rispetto al 2017 (+5,0%). All'incremento hanno contribuito sia la componente esportata sia quella interna e quasi tutte le attività del comparto, a eccezione degli autoveicoli e degli altri mezzi di trasporto. Per i prodotti petroliferi, le riparazioni e manutenzioni di macchinari e la metallurgia, la crescita del fatturato è stata di oltre il 5%, guidata da entrambe le componenti di domanda. Per bevande, abbigliamento, articoli in pelle, alimentari il fattore trainante è stato la sola domanda estera.

Istat: a marzo cala ancora fiducia dei consumatori, sale per le imprese

A marzo continua l'indebolimento del clima di fiducia dei consumatori, per il quale si stima una diminuzione da 112,4 a 111,2; si registra invece una dinamica positiva per l'indice composito del clima di fiducia delle imprese, che passa da 98,2 a 99,2. Lo rende noto l'Istat spiegando che l'indice di fiducia delle imprese è tornato a crescere per la prima volta da giugno 2018, pur confermando per il quarto mese consecutivo un livello inferiore a quello medio dell'anno base. Il miglioramento coinvolge i comparti dei servizi e delle costruzioni ed è determinato dalla favorevole evoluzione dei giudizi sugli ordini. Invece, nel comparto manifatturiero l'indice conferma i segnali negativi che si manifestano quasi ininterrottamente da settembre 2017 e a marzo 2019 scende ai minimi da quattro anni.

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Settimana Economica 23 - 29 marzo 2019



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