I Governi premono su Bruxelles per un’accelerazione sulla valutazione dei piani 

È forte la pressione dei Governi sulla Commissione europea affinché accorci al massimo i tempi per valutare i piani nazionali di investimenti e riforme. Si tratta di una scelta abbastanza sorprendente dal momento che nessuno Stato ha presentato il programma per spendere i fondi europei anti crisi in anticipo e l'analisi delle migliaia di pagine per Paese e dei complessi dettagli di progetti di investimento e di riforme interne inevitabilmente richiede del tempo. Il Portogallo l'ha presentato qualche giorno fa, poi è stata la volta di Germania e Grecia, entro oggi sono attesi tutti gli altri. Il regolamento del Recovery Fund prevede che Bruxelles decida entro due mesi (in teoria maggio e giugno) dopodiché la partita passa nelle mani dei ministri finanziari che hanno un mese di tempo (in teoria luglio) per dire l'ultima parola su ciascun Piano nazionale. La presidenza portoghese della Ue, che tiene le fila del lavoro politico-istituzionale nel primo semestre dell'anno, sta cercando di stringere i tempi e prevede che nella riunione Ecofin del 18 giugno possa essere fatta l'analisi a livello politico dei primi Piani nazionali per la ripresa e la resilienza. 

L'accelerazione chiesta alla Commissione europea, cui spetta il vaglio tecnico e politico del dettaglio dei progetti d’investimenti e relativamente al rispetto delle politiche di settore concordate con la Ue per ogni singolo Paese e sintetizzate nelle raccomandazioni del 2019 e del 2020, riflette una narrazione un po' propagandistica del momento: non basterà la prima tranche di prefinanziamento per vedere dei risultati in termini di maggiore attività economica, occorrerà aspettare almeno un anno. In ogni caso ciascuno deve fare la sua parte: il primo maggio la stragrande maggioranza dei Piani nazionali sarà stata recapitata a Bruxelles ed essendo stati negoziati prima la Commissione non partirà da zero. Di qui la possibilità che effettivamente, per alcuni Paesi almeno, l'operazione possa concretizzarsi prima della fine di luglio, ammesso naturalmente che tutti gli Stati completino la ratifica dell'aumento delle risorse proprie del bilancio Ue (a garanzia dell'emissione dei bond). La presidenza portoghese vuole comunque apparire ottimista: il ministro Silva ha dichiarato che entro la fine della primavera le cose potrebbero essere risolte in modo che la Commissione europea possa lanciare sul mercato i prestiti per finanziare l'operazione.  

Il Governo vara il Recovery, il 18 giugno potrebbe arrivare il giudizio UE

È pronto il Piano nazionale di ripresa e resilienza dell'Italia: 191,5 miliardi da spendere, da qui al 2026, per avviare il rilancio del Paese e superare i devastanti effetti della pandemia. Dopo il passaggio finale in Consiglio dei ministri, il Pnrr è pronto per l'invio alla Commissione europea: Mario Draghi sarà puntuale e, come promesso, oggi consegnerà il pacchetto. L'auspicio dell’Italia è accedere entro l'estate alla prima tranche di anticipo dei fondi, che in totale per il paese potrebbe arrivare a 25 miliardi nel 2021. Ma fin da subito per il Governo parte la difficile sfida delle riforme, in una road map da brividi, sia per i tempi di realizzazione che per le distanze politiche da colmare in maggioranza su temi come giustizia e fisco. Poi, partirà il percorso dell'attuazione, anche quello difficilissimo, perché se si sfora il cronoprogramma si perdono i fondi. Mario Draghi ha portato il piano in Cdm per la presa d'atto finale, dopo il passaggio alla Camera e al Senato; insieme al Pnrr il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge che istituisce il fondo complementare al Recovery plan da 30,6 miliardi che finanzierà, fino al 2033, i progetti che per i tempi di realizzazione o per la natura degli interventi non potevano entrare nel Piano. Per il 2021 il fondo potrebbe essere alimentato con un primo finanziamento fino a 5 miliardi e si tratta comunque di risorse destinate ad avere grande impatto sul territorio, dai fondi per le aree colpite dal terremoto a quelli per il rifacimento delle strade e la sicurezza stradale. Gli Enti locali, a partire dalle Regioni, vogliono avere voce in capitolo, ecco perché il Ministro Maria Stella Gelmini in Cdm ha chiesto di poter convocare la Conferenza unificata per un confronto prima del via libera al decreto; il Cdm viene sospeso per quattro ore e il ministro Daniele Franco illustra il testo ai governatori: qualche tensione sul fondo complementare, con alcune modifiche in extremis, ha fatto tardare di poche ore l'approvazione del Recovery plan italiano.  

Il governo di Draghi confida che l'esame di Bruxelles non riservi sorprese, vista l'interlocuzione informale che ha accompagnato la preparazione del testo. Ma ancora alcuni passi devono essere compiuti prima di iniziare a spendere: sulle riforme, in particolare, il nostro Paese sarà giudicato con grande rigore. A maggio bisognerà mettere a punto il decreto sulla governance del Piano, con il nodo politico ancora da sciogliere della composizione della cabina di regia. Sempre a maggio sono attesi il varo del decreto imprese sulla base dell'ultimo scostamento di bilancio (potrebbe arrivare non la prossima settimana ma quella successiva) e i decreti su Pa e semplificazioni. Poi entreranno nel vivo riforme come il fisco e la concorrenza, da completare entro luglio, e la giustizia, attesa entro settembre. In realtà la riforma del processo civile e penale è già stata incardinata da più di un anno in Parlamento ma, a dare la misura dell’entità dell'impresa, si registra in Commissione alla Camera un nuovo rinvio degli emendamenti sul ddl penale. Spetterà alla Ministra Marta Cartabia sbrogliare la matassa.

Morgan Stanley stima che il Recovery italiano valga l’1% di Pil all'anno fino al 2026 

Il Recovery Plan del governo italiano vale un punto percentuale di crescita in più all'anno fino al 2026. Il giudizio è contenuto in un report di Morgan Stanley a firma degli economisti Jacob Nell e Markus Guetschow, secondo cui, tuttavia, esistono “anche rischi di ribasso nel breve termine, se la lentezza dell'assegnazione degli appalti in Italia e i dilatati tempi di approvazione rispetto alla decisione sulle risorse proprie dovessero ritardare l'esborso”. Nel documento originale del Recovery Plan della commissione è riportato che “si suggeriva che la spesa della Recovery and Resilience Facility avrebbe avuto un moltiplicatore di poco più di 0,4, mentre la stima del governo italiano di 0,3 è, come detto, leggermente più prudente. Tuttavia, riteniamo che l'effetto moltiplicatore possa essere più elevato, data l'alta percentuale di investimenti pubblici e la destinazione della spesa verso economie, come quella italiana, interessate da un sostanziale allentamento. Nella nostra ipotesi, un moltiplicatore di 0,6 potrebbe raddoppiare i 3,6 punti percentuali di crescita del Pil stimati dal Governo italiano, con un incremento del Pil pari a un punto percentuale per ogni anno fino al 2026”. 

Morgan Stanley giudica il piano italiano “tra i più ambiziosi” tra quelli già presentati e osserva che ci sono “diversi fattori positivi” che rendono i suoi economisti “più ottimisti del Governo italiano rispetto all'impatto del Recovery Plan sulla crescita. In primo luogo”, rileva il documento, “gli investimenti pubblici, sia in infrastrutture fisiche che in capitale umano, sono il tipo di spesa fiscale più produttivo, poiché non solo stimolano la domanda aggregata, ma favoriscono anche la crescita potenziale di lungo termine attraverso una maggiore produttività. In secondo luogo, il consistente allentamento economico implica che i fattori produttivi non siano pienamente sfruttati e quindi lo stimolo si tradurrà in misura maggiore in una crescita reale più elevata, piuttosto che in una maggiore pressione sui prezzi. In terza battuta, trattandosi di un'espansione coordinata in tutta Europa, ci aspettiamo di assistere ad effetti positivi innescati da altri Paesi, con l'Italia ben posizionata per beneficiarne, considerato il suo importante settore manifatturiero. Infine, con la posizione della Bce che probabilmente rimarrà accomodante, a nostro avviso, e con i tassi di interesse nominali sul debito pubblico ai minimi storici, anche il rischio di shock negativi che smorzino la domanda aggregata sembra basso”. 

Crescono i prezzi alla produzione dell'industria: +0,9% a marzo e +2,7% sull’anno

Per l’Istat, a marzo 2021 i prezzi alla produzione dell'industria aumentano dello 0,9% su base mensile e del 2,7% su base annua (da +0,7% di febbraio). Sul mercato interno i prezzi alla produzione dell'industria aumentano dell'1% rispetto a febbraio e del 3% su base annua. Al netto del comparto energetico, i prezzi registrano un incremento congiunturale dello 0,8% e crescono dell'1,9% in termini tendenziali. Sul mercato estero i prezzi aumentano dello 0,6% su base mensile (+0,6% area euro, +0,5% area non euro) e segnano un incremento su base annua dell'1,6%, (+1,6% area euro, +1,5% area non euro). Nel trimestre gennaio-marzo 2021, rispetto ai tre mesi precedenti, i prezzi alla produzione dell'industria registrano un aumento del 2,3%. La dinamica congiunturale è piu' sostenuta sul mercato interno (+2,7%) rispetto a quello estero (+1,5%). Prosegue la fase di crescita congiunturale dei prezzi alla produzione dell'industria che registrano rialzi diffusi per tutti i raggruppamenti principali di industrie, i piu' marcati per energia e beni intermedi. Su base annua, si conferma la ripresa avviata a febbraio, spinta soprattutto dalle dinamiche positive di energia e beni intermedi. 

 



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