La Banca Centrale Europea è preoccupata per l’inflazione

Sono tutti sul rosso gli indicatori inflazionistici nell'area euro ed a una settimana dal Consiglio direttivo della Bce, che giovedì 10 marzo farà il punto sulla politica monetaria, anche alla luce delle nuove previsioni economiche, l'unico fattore che potrebbe mettersi di mezzo rispetto a una sterzata restrittiva è la guerra in Ucraina. Perché se da un lato questa vicenda ha ulteriormente alimentato i rincari dell'energia, che sono il principale fattore alla base delle impennate inflazionistiche, dall'altro, assieme alle sanzioni contro la Russia, potrebbe avere un effetto frenante sulla crescita e quindi, indirettamente, anche sulle prospettive di consumi e prezzi. È tutto da verificare, però, che questo basti a placare le pressioni in seno all'istituzione monetaria per reagire al peggioramento del quadro inflazionistico. I verbali della riunione del Consiglio direttivo della Bce di inizio febbraio, mostrano che ben prima che esplodesse la guerra erano già stati sollevati dubbi sul fatto che si potesse considerare la deviazione del carovita rispetto all'obiettivo del 2% come moderata e transitoria. E che “delle deviazioni così prolungate creano il rischio che l'inflazione diventi più persistente sulle aspettative del pubblico”. I dati negli ultimi giorni hanno segnato tutti un peggioramento del quadro. 

Giovedì l’Eurostat ha pubblicato la stima preliminare sull'inflazione di febbraio che nell'area euro è salita a un nuovo massimo storico: 5,8% su base annua. Eurostat ha pubblicato anche i dati sui prezzi alla produzione nell'area euro: l'anno è iniziato con un’ulteriore stangata, +5,2% tra dicembre e gennaio, con cui la crescita su base annua nell'industria ha raggiunto il +30,6%, a fronte del +26,3% di dicembre. Sulla voce energia il rincaro su base annua avanza al galoppo con un +82,6% a gennaio, dal +72,3% di dicembre. Intanto il tasso medio di disoccupazione è ulteriormente calato, al 6,8% a gennaio dal 7% di dicembre. Questo crea le premesse per uno degli elementi più temuti nell'istituzione monetaria: che i rincari dei prezzi possano innescare una corsa all'inseguimento sui salari e così una spirale inflazione-buste paga. C'è quindi da attendersi che il prossimo Consiglio da un lato risenta di questo peggioramento del quadro inflazionistico, dall'altro prenda in considerazione gli effetti della crisi russo ucraina sulla crescita. Giovedì il capo economista Philip Lane ha ribadito che si vogliono evitare rialzi dei tassi prematuri. Ma l'ipotesi previsionale, sulla quale si basava il mantenimento di una linea morbida nei mesi scorsi, e cioè che l'inflazione era destinata a declinare, si fa sempre più improbabile. 

Per l’Ue c’è troppa incertezza per il ritorno al Patto di stabilità nel 2023

C’è troppa incertezza per prendere decisioni adesso. Questo è il messaggio della Commissione europea espresso con la presentazione degli orientamenti per la definizione dei bilanci pubblici 2023. Le cose sicure sono che quest'anno non ci sarà alcuna procedura per deficit pubblico eccessivo dato che le regole del Patto di stabilità sono sospese per tutto il 2022. E anche per il 2023 sembra difficile che sarà applicabile la regola del taglio del debito/pil superiore al 60% nella misura di un ventesimo. Però si è convinti che i Paesi ad alto debito come l'Italia dovranno ridurlo a partire dall'anno prossimo, sia pure con la massima gradualità. L'incertezza è dovuta alle conseguenze economiche della guerra in Ucraina che ha aggravato tutti gli aspetti problematici della ripresa precedenti l'invasione russa: l'aumento dei prezzi di gas e petrolio e la conseguente corsa dei prezzi; gli intoppi all'approvvigionamento di prodotti intermedi per l'industria e, in particolare, dei semiconduttori. Senza contare gli effetti economici nei Paesi europei delle sanzioni contro la Russia, diverse da Paese a Paese. 

Si tornerà alle regole di bilancio nel 2023? Fino a ieri la risposta era generalmente affermativa: si tornerà al Patto di stabilità, congelato da due anni a causa della pandemia, anche se riformato, semplificato per renderlo più congruo rispetto alla necessità di mantenere alto il livello degli investimenti. Può darsi che un peggioramento netto del quadro economico conduca a scelte diverse, ma è troppo presto per dirlo. Giovedì il Commissario all'Economia Paolo Gentiloni si è limitato ad annunciare: “Data l'attuale incertezza, sulla base delle nostre previsioni economiche di metà maggio, valuteremo di nuovo l'attesa disattivazione della clausola generale di fuga nel 2023. Era già previsto che se ne discutesse prima dell'estate, in primavera inoltrata, ma di mezzo ora c’è la questione Ucraina e i suoi effetti sistemici”. Lo stesso vicepresidente Valdis Dombrovskis ha dichiarato che “in Ucraina, gli eventi continuano ad evolversi molto rapidamente, ora dopo ora, e per molti aspetti ci immergono in una situazione senza precedenti. Ciò rende difficile, se non impossibile, valutare l'impatto economico in questa fase”. La crescita sarà più debole di quanto previsto (4% quest'anno nell'area euro e nella Ue), ma secondo Gentiloni “non deraglierà”.

Istat annuncia: nel 2021 Pil al 6,6% e debito al 150,4%, ma cresce l’inflazione

Marzo si apre all'insegna della crescita. Se da un lato c'è quella del Pil, confermata al 6,6% nel 2021, un dato eccezionale, dall'altro c'è il dato dell'inflazione di febbraio, che corre al 5,7%. A ridursi invece il rapporto tra deficit e Pil, che nell'anno concluso è stato del 7,2% contro il 9,6% del primo anno di pandemia, e il debito pubblico, che diminuisce al 150,4%. Il quadro dell'Istat ha raccolto la soddisfazione dell'esecutivo, mentre le associazioni di consumatori ed esercenti lanciano l'allarme sulla corsa dei prezzi. L'aumento del Pil è stato del 6,6% in volume, e del 7,5% ai prezzi di mercato, pari a 1.781.221 milioni di euro correnti. Per il ministro per la Pubblica amministrazione,  Renato Brunetta, “il 2021 è stato un anno eccezionale per l'economia italiana, con crescita del Pil e saldi di finanza pubblica migliori di ogni previsione”. Dal lato della domanda interna, nel 2021 Istat ha registrato, in termini di volume, un incremento del 17% degli investimenti fissi lordi e del 4,1% dei consumi finali nazionali. I flussi con l'estero, le esportazioni di beni e servizi sono saliti del 13,3% e le importazioni del 14,5%. La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito positivamente alla dinamica del Pil per 6,2 punti percentuali. L'apporto della domanda estera netta è stato di 0,2 punti e quello della variazione delle scorte ugualmente di 0,2 punti. “Tutto questo si riflette positivamente anche sulla dinamica del debito pubblico, che viene stimato al 150,4% del Pil, anche in questo caso un valore nettamente migliore rispetto alle stime Nadef (153,5%)”, aggiunge Brunetta. 

Il saldo primario, inteso come indebitamento netto meno la spesa per interessi, misurato in rapporto al Pil, è stato pari a -3,6%, in diminuzione dal -6,1% nel 2020. Cresce ancora la pressione fiscale, in aumento dello 0,6% al 43,4%: a pesare la maggior crescita delle entrate fiscali e contributive (+9%) rispetto a quella del Pil a prezzi correnti (+7,5%). L'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, misurato in rapporto al Pil, è stato pari a -7,2%, a fronte del -9,6% nel 2020. A crescere è anche l'inflazione, che a febbraio raggiunge il 5,7% su base annua, secondo quanto registra l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC). Anche a febbraio l'accelerazione su base annua è dovuta prevalentemente ai prezzi dei beni energetici non regolamentati, con una crescita che passa dal 38,6% di gennaio al 45,9%. La componente regolamentata raddoppia con una crescita del 94,4%, dopo il 94,6% rilevato a febbraio. L'Ufficio studi di Confcommercio ritiene che l'inflazione potrebbe non essere “un fenomeno non transitorio”, mentre secondo Confesercenti “siamo in una fase molto critica con la conferma dell'avanzata dell'inflazione; di fronte c'è il rischio di perdere 4 miliardi di consumi", sottolineando "la fase molto critica sul fronte dei prezzi dell'energia”. Il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, lancia l'allarme: “Da 27 anni non si registrava in Italia una inflazione così elevata”. 

Per Istat il tasso di occupazione rimane stabile al 59,2% a gennaio

L’Istat è chiara: a gennaio 2022, rispetto al mese precedente, il numero di occupati è sostanzialmente stabile, i disoccupati diminuiscono e aumentano gli inattivi. La stabilità dell'occupazione è sintesi della crescita del numero di occupati tra gli uomini, i dipendenti permanenti, gli under 25 e gli ultracinquantenni e del calo tra le donne, i dipendenti a termine e gli appartenenti alle classi d'età intermedie. Il tasso di occupazione è stabile al 59,2%. La diminuzione del numero di persone in cerca di lavoro (-2,3%, pari a -51mila unità rispetto a dicembre) si osserva tra gli uomini e per tutte le classi d'età, con l'unica eccezione dei 35-49enni. Il tasso di disoccupazione scende all'8,8% nel complesso (-0,2 punti) e al 25,3% tra i giovani (-1,3 punti). La crescita del numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,6%, pari a +74mila unità) è frutto dell'aumento osservato tra le donne e tra chi ha meno di 50 anni. Il tasso di inattività sale al 35,0% (+0,2 punti). 

Confrontando il trimestre novembre 2021 - gennaio 2022 con quello precedente (agosto - ottobre 2021), il livello di occupazione è più elevato dello 0,5%, corrispondente a 120mila occupati in più. La crescita dell'occupazione registrata nel confronto trimestrale si associa alla diminuzione del numero di persone in cerca di occupazione (-1,8%, pari a -41mila unità) e di quello degli inattivi (-1,4%, pari a -188mila unità). Su base annua, il numero di occupati a gennaio 2022 è superiore a quello di gennaio 2021 del 3,3% (+729mila unità). Tale aumento si osserva per uomini e donne, per qualsiasi classe d'età e posizione professionale. Il tasso di occupazione è più elevato di 2,4 punti percentuali. Rispetto a gennaio 2021, diminuisce sia il numero di persone in cerca di lavoro (-12,9%, pari a -326mila unità), sia l'ammontare degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-5,0%, pari a -684mila). A gennaio 2022 si conferma la sostanziale stabilità dell'occupazione registrata a dicembre, dopo la crescita osservata nel corso dell'anno (con le uniche eccezioni dei mesi di agosto e ottobre). Da gennaio 2021 il numero di occupati è cresciuto di circa 730 mila unità e il tasso di occupazione di 2,4 punti percentuali. Rispetto ai livelli pre-pandemia, il tasso di occupazione, pari al 59,2%, è superiore di 0,2 punti, quello di disoccupazione è sceso dal 9,6% all'8,8% e il tasso di inattività, al 35,0, è ancora superiore di 0,4 punti.



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