L’Italia difende la manovra in Europa, al via l’Ecofin sul Patto di stabilità
L’Italia arriva a Bruxelles alle riunioni eurogruppo ed Ecofin dopo l’approvazione della manovra e chiede che i partner europei comprendano le difficoltà di bilancio: il livello del debito fortemente aggravato dall’innalzarsi dei tassi e dai costi del superbonus non consente l’approvazione di un patto rigido che non dia agibilità sui conti. La posizione dell’Italia è che l’Europa dovrebbe tenere conto del fatto che l’obiettivo di sostenere l’Ucraina e di spingere gli investimenti green non sarebbe compatibile con il quadro dei conti del Paese, come il ministro Giancarlo Giorgetti ha detto ai suoi colleghi europei. A Bruxelles si registra un primo significativo sblocco ai veti tedeschi sulla revisione del Patto di stabilità, anche se un’intesa nell’Ue è ancora da trovare. Alla vigilia delle riunioni dell’Eurogruppo e del consiglio Ecofin i riflettori sono pontati anche sul Mes e sull’attesa ratifica dell’Italia, l’unica ancora mancante tra i venti Paesi aderenti al trattato. In Parlamento è stata calendarizzata nella settimana tra il 20 e il 24 novembre ma all’ultimo Consiglio Europeo a fine ottobre la premier Giorgia Meloni aveva anteposto al Mes la riforma del Patto, in merito al quale un’importante novità sarebbe l’introduzione di un nuovo target per la riduzione del deficit pubblico.
Sarebbe un’ulteriore salvaguardia introdotta su pressante richiesta di Berlino. Resta però da definire l’entità del margine sul deficit. Nelle intenzioni diventerebbe un obiettivo per tutti gli Stati, anche i piani di spesa a 4-7 anni al centro delle nuove regole fiscali in via prioritaria dovrebbero portare a un aggiustamento medio annuo del debito nei Paesi oltre al 60% del Pil, ma l’entità resta ancora tutta da trattare. Così al Consiglio dei ministri europei dell’Economia la riforma del Patto di stabilità è stata di nuovo sul tavolo, anche se slitterà l’idea di votare già un testo: se ne parlerà all’Ecofin di dicembre, mente si riduce via via il tempo utile per rispettare l’obiettivo di varare una riforma entro fine anno, quando terminerà la sospensione del vecchio Patto scattata a inizio pandemia.
Fitto ribatte punto su punto alla Corte dei Conti sullo stato del Pnrr
La relazione al Parlamento della Corte dei conti sullo stato di attuazione del Pnrr nel primo semestre 2023 fa ancora discutere, stavolta per la presa di posizione del Ministro Raffaele Fitto che torna sull’argomento partendo da un concetto base: “La Corte dei conti ha compiuto l’istruttoria interpellando alcuni ministeri e non comprendo le ragioni del mancato confronto con la struttura di missione Pnrr della Presidenza del Consiglio dei ministri”. Secondo il ministro, dal confronto “sarebbe emersa una rappresentazione più puntuale dello stato di attuazione evitando alcune inesattezze”. L’elenco indica ritardi “sia nel procedimento di revisione sia nel raggiungimento degli obiettivi della quinta rata. Al riguardo, va ricordato che l’Italia è l’unico Stato membro che ha presentato la quarta richiesta di pagamento”, aggiungendo che non è stata ancora approvata la modifica della quarta rata.
Fitto prosegue sottolineando che “il nostro Paese ha raggiunto tutti i 28 obiettivi previsti, diversamente non avrebbe potuto presentare la richiesta di pagamento della quarta rata che è stata invece presentata il 22 settembre” che “la Commissione sta completando la fase di verifica finalizzata all’erogazione di 16,5 miliardi di euro, prevista entro il 31 dicembre 2023”. Anche sulla spesa dei fondi Fitto mette in fila le risposte, perché i dati citati nella Relazione della Corte dei conti “L’analisi si concentra solo su 31,1 miliardi e non sui 220 miliardi complessivi del Pnrr e Pnc. Come è possibile valutare lo stato di attuazione dell’intero Piano con dati assolutamente parziali e poco rappresentativi e peraltro relativi al 30 giugno 2023?”, lamenta. Fitto comunque auspica che “a partire dalla prossima relazione vi sia un maggiore raccordo tra la Corte dei conti e la struttura di missione Pnrr”.
Le banche dribblano la tassa sugli extraprofitti
I profitti conseguiti dalle banche italiane grazie al rialzo dei tassi di interesse non andranno ad alimentare, neanche in piccola parte, il bilancio dello Stato. Il sistema bancario ha infatti deciso praticamente all’unanimità di avvalersi della facoltà di destinare a riserva non distribuibile un ammontare pari a 2,5 volte il valore dell’imposta. Le sole grandi banche quotate, Intesa, Unicredit,Banco Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio, Credem e Mediobanca, hanno risparmiato circa 1,8 miliardi di euro di imposte rimpolpando con 4,5 miliardi di euro il proprio patrimonio. Il mancato incasso per lo Stato sarà però più consistente, scavallando abbondantemente i 2 miliardi. La tassa sugli extraprofitti era stata annunciata a sorpresa dal Governo ad agosto, con il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini che, al termine del consiglio dei Ministri, aveva parlato di una norma “di equità sociale” e di un prelievo di “alcuni miliardi” a carico del sistema bancario, successivamente quantificati dal governo in 2,5-3 miliardi di euro.
L’annuncio aveva provocato un tracollo del credito in Borsa, con una decina di miliardi di capitalizzazione andata in fumo, tra l’irritazione dei vertici del sistema bancario, il malumore degli investitori internazionali e la preoccupazione della Bce, che non aveva lesinato critiche a un provvedimento che rischiava di indebolire la posizione patrimoniale e la capacità creditizia delle banche. Difesa in un primo tempo dalla premier Giorgia Meloni, la norma era poi stata rivista, soprattutto per il pressing di Forza Italia: era stata ridisegnata la modalità del calcolo del tetto dell’imposta ma soprattutto era stata introdotta la possibilità di destinare a riserva non distribuibile un multiplo pari a 2,5 volte l’imposta, un’opzione che, rafforzando il patrimonio delle banche, aveva il pregio di aumentare solidità e capacità creditizia degli istituti e che il sistema bancario italiano ha colto al volo. Le prossime settimane ci diranno se il Governo vorrà intervenire nuovamente almeno per garantirsi una parte delle entrate sperate.
Inflazione, energia e Pnrr: il dossier di Bankitalia sull’economia italiana
Giorgia Meloni ha ricevuto giovedì a Palazzo Chigi il nuovo governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, per un saluto istituzionale e per un primo confronto sul contesto macroeconomico e le sfide del prossimo futuro. Incontro che si verifica nella settimana in cui Bankitalia pubblica il report “L’economia delle regioni italiane. Dinamiche recenti e aspetti strutturali”, che esamina svariati dossier tra cu inflazione, mutui, bollette, andamento del Pil, Pnrr e altri aspetti strutturali dell’economia italiana e di governance europea. Con l’avvio del ciclo restrittivo di politica monetaria deciso dalla Bce, nel 2022 le famiglie che avevano già contratto un mutuo a tasso variabile hanno subito un incremento del servizio del debito. Per i mutui con rate inferiori alla mediana nazionale, contratti soprattutto da famiglie a basso reddito, l’impatto è stato più contenuto, con limitati scostamenti tra aree. Secondo l’indicatore trimestrale dell’economia regionale (Iter), nella prima metà del 2023 la dinamica del Pil si è progressivamente affievolita in tutte le ripartizioni, risentendo del rallentamento della domanda interna ed estera.
I piani di investimento delle imprese si sono indeboliti, pur beneficiando in parte dell’avanzamento dei progetti del Pnrr, che lato pubblica amministrazione, si stima che a settembre del 2023 circa 114 miliardi di euro fossero stati già assegnati a soggetti attuatori pubblici. Il 38 per cento di tali risorse è destinato a enti nazionali, il resto alle Amministrazioni locali; tra queste ultime, la quota maggiore è quella attribuita ai Comuni (26 per cento del totale). Dei 111 miliardi che hanno una chiara destinazione territoriale, il 42 per cento è stato assegnato a soggetti attuatori pubblici localizzati nel Sud e nelle Isole, una quota coerente con l’obiettivo di coesione territoriale del Piano (almeno il 40 per cento dei fondi al Mezzogiorno). Le politiche europee per la coesione sono attuate mediante i Fondi strutturali, le cui risorse – 48 miliardi di provenienza comunitaria e 17 di cofinanziamento nazionale – dovranno essere impiegate entro la fine del 2023 per evitarne il disimpegno automatico, perché se il ritmo di utilizzo nella rimanente parte dell’anno si mantenesse in linea con quello dei primi sei mesi del 2023, la quota di fondi effettivamente erogati risulterebbe di poco superiore al 70%.
Il Governo valuta di modificare la norma sulle pensioni in manovra
La legge di bilancio è blindata ma forse non del tutto: la norma che taglia le pensioni di medici e statali è tornata sul tavolo del Governo che non esclude un possibile intervento. Non c’è infatti solo da arginare la rabbia dei medici, che non arretrano sullo sciopero ma c’è anche da valutare se sussista un profilo d’incostituzionalità, oltre al timore che la misura possa innescare una fuga dei dipendenti pubblici, con possibili contraccolpi non solo in corsia, ma anche per le pratiche del Pnrr aperte negli Enti locali. Sul dossier è stato deciso un supplemento d’indagine: “Si sta lavorando e sono in corso verifiche ulteriori, per trovare possibili soluzioni. C’’è tutta l’intenzione e l’interesse a cercare di rivedere la norma”, rassicura anche il Ministro della Salute Orazio Schillaci in costante contatto con la Ministra del lavoro Elvira Calderone. Il sottosegretario Claudio Durigon si spinge oltre: il governo, dice, sta lavorando perché la norma venga “espunta dalla manovra”. Il tema è molto spinoso e si intreccia con la tenuta dei conti. Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti punta anche sulle pensioni per superare la valutazione delle agenzie di rating: dopo le conferme di S&P e Dbrs, è atteso il giudizio di Fitch, mentre il 17 toccherà a Moody’s.