Migliorano le prospettive di crescita internazionali, ma la zona euro è ancora troppo lenta

Le prospettive economiche internazionali, sebbene ancora caratterizzate da elevata incertezza, sono in graduale miglioramento, beneficiando anche dell'avvio delle campagne vaccinali in molti paesi. Nel quarto trimestre, il Pil cinese e quello degli Stati Uniti hanno entrambi segnato un aumento rispetto ai tre mesi precedenti. Nello stesso periodo, il Pil dell'area euro è diminuito, sintetizzando andamenti eterogenei tra paesi, con flessioni dell'attività sia in Francia sia in Italia e incrementi in Germania e Spagna. È quanto emerge dalla stima sull'andamento dell'Economia dell'ISTAT di gennaio. Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al rialzo le previsioni del Pil mondiale per il 2020 e il 2021: dopo un calo del 3,5% l'economia è attesa crescere del 5,5%. A novembre, il commercio mondiale di merci in volume, che ha oramai recuperato i livelli pre covid, ha continuato ad aumentare (+2,1% in termini congiunturali). Tuttavia, il PMI globale sui nuovi ordinativi all'export, che a dicembre e gennaio è sceso sotto la soglia di espansione, suggerisce una moderazione della domanda mondiale nei prossimi mesi. 

La stima preliminare del Pil dell'area euro nel quarto trimestre indica una flessione congiunturale (-0,7%), che segue il rimbalzo dei mesi estivi. Nel dettaglio nazionale, il Pil francese è diminuito (-1,3%) mentre quello spagnolo e tedesco hanno registrato modesti incrementi (+0,4% e +0,1% rispettivamente). Nel complesso, nel 2020, l'attività economica dell'area euro, misurata in termini destagionalizzati e corretti per gli effetti di calendario, si è ridotta del 6,8% e le recenti previsioni del Fmi indicano che quest'anno il recupero sarà solo parziale (+4,2%). Le misure di contenimento sanitario imposte negli ultimi mesi dell'anno in quasi tutti i paesi dell'area hanno colpito soprattutto il settore dei servizi anche se a dicembre le vendite al dettaglio sono cresciute (+2,0% rispetto al mese precedente), portando il calo annuo per il 2020 a -1,2%. Il tasso di disoccupazione si è stabilizzato all'8,3%. A gennaio, l'indice di fiducia economica della Commissione europea (ESI) ha mostrato una leggera flessione caratterizzata da andamenti settoriali divergenti. La fiducia è migliorata di circa un punto nell'industria e, solo marginalmente, nelle costruzioni, mentre è decisamente peggiorata nel commercio al dettaglio e, in misura più contenuta, nei servizi. A livello nazionale, l'ESI è diminuito in Francia (-2,6) e Germania (-2,3) mentre ha registrato un recupero in Spagna (+2,4) e Italia (+0,4). 

Crolla la produzione industriale -11,4%, mai così male da 2009

Dal Covid un pesantissimo colpo di scure sulla produzione industriale italiana. Per l’Istat, il 2020 si chiude con una diminuzione rispetto all’anno precedente dell’11,4%, il secondo peggior risultato dall’inizio della serie storica (che parte dal 1990), dopo la caduta registrata nel 2009. La flessione è estesa a tutti i principali raggruppamenti di industrie e, nel caso dei beni di consumo (-9,8%) è la più ampia mai registrata. Il progressivo recupero dopo il crollo di marzo e aprile ha subito una battuta d’arresto nei mesi recenti, impedendo il ritorno ai livelli produttivi precedenti l’emergenza sanitaria: nella media del quarto trimestre l’indice destagionalizzato è, infatti, ancora inferiore del 3,1% rispetto a febbraio 2020. L'istituto di statistica stima così che l’indice destagionalizzato della produzione industriale, sempre a dicembre, diminuisca dello 0,2% rispetto a novembre. L’indice destagionalizzato mensile mostra invece un aumento congiunturale sostenuto per l’energia (+1,8%) e un più modesto incremento per i beni intermedi (+1%), mentre diminuzioni contraddistinguono i beni strumentali (-0,8%) e, in misura più contenuta, i beni di consumo (-0,3%). 

Corretto per gli effetti di calendario, a dicembre 2020 l’indice complessivo diminuisce del 2% su base annua (i giorni lavorativi di calendario sono stati 21, contro i 20 di dicembre 2019). Su base annua si registra un incremento solo per i beni intermedi (+4,1%), mentre i restanti comparti mostrano flessioni, con un calo pronunciato per i beni di consumo (-9,8%) e meno marcato per gli altri aggregati (-2,1% per i beni strumentali e -0,7% per l’energia). Un de profundis anche nella stima Prometeia-Intesa Sanpaolo, per cui l'industria manifatturiera italiana chiuderà il 2020 con un calo tendenziale del giro d'affari del 10,2%, pari a 132 miliardi di euro in meno rispetto al 2019. La contrazione, inferiore a quella subita con la crisi 2009 (-18,8%), riflette il progressivo recupero dal punto di minimo del ciclo toccato durante il lockdown primaverile. La dinamica negativa della produzione ha inevitabili riflessi sull'andamento dell'occupazione. Sempre l'Istat segnala infatti, nella nota mensile sull'andamento dell'economia, come dicembre abbia mostrato decisi segnali negativi, con un calo congiunturale dell'occupazione e un aumento della disoccupazione e dell'inattività, interrompendo il processo di recupero dei mesi precedenti. 

L’emergenza Covid ha fatto perdere 12,5 mld di crediti al sistema bancario

Nonostante l'anestetico delle moratorie sui crediti e dei prestiti garantiti abbia fino ad ora attutito l'impatto del Covid-19 sui bilanci bancari, gli effetti della pandemia e di uno scenario macroeconomico brutalmente trasformato hanno lasciato le prime ferite sui conti degli istituti di credito. Nell'anno del Covid le perdite su crediti delle principali banche quotate (Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Mediobanca, Bper, Credem, Creval, Pop. Sondrio, Mps, Ifis) hanno registrato un balzo del 5,9% sul 2019, salendo da 7,9 a 12,5 miliardi di euro. Con l'effetto di contribuire in maniera decisiva all'azzeramento degli utili del sistema, che nel 2019 erano ammontati a 8,7 miliardi. Intesa e Unicredit sono gli istituti che, in virtù della loro dimensione, hanno registrato l'impatto più consistente in valore assoluto, con poco più di 2 miliardi di rettifiche aggiuntive a testa attribuibili al Covid, e un costo del credito analogo, di poco superiore ai 100 punti base (per ogni 100 euro prestati 1 non ritorna). Banco Bpm, con un costo del rischio di 122 punti, è quello che ha fatto le pulizie più profonde, mentre il Creval, in cerca di un ritocco all'opa del Credit Agricole, è l'unica banca che ha ridotto gli accantonamenti, da 157 a 113 milioni. 

“I bilanci bancari non hanno ancora risentito in misura significativa della crisi pandemica”, ha ricordato il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, davanti alla Commissione banche. L'attesa è che, complice la pandemia, nel prossimo biennio le banche possano essere investite da una nuova ondata di npl, fino a 100 miliardi di euro. Un ammontare certamente consistente ma comunque inferiore sia ai 225 miliardi ipotizzati dalla Bce che allo stock generato dalla crisi finanziaria del 2007. Un colpo che le banche, ha ricordato Visco, sarebbero oggi meglio equipaggiate a gestire, avendo irrobustito il patrimonio e smaltito buona parte degli stock. L'elemento di maggior preoccupazione, in uno scenario condizionato dai progressi della campagna vaccinale, sono le moratorie su crediti che scadranno il prossimo 30 giugno e che stanno proteggendo i settori maggiormente fiaccati dalla crisi. 

Il Parlamento Europeo approva il Recovery fund

Il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza il Recovery fund, il maxi piano da 672,5 di miliardi di euro per un'Europa più resiliente. E lo ha fatto grazie anche ai voti della Lega che si è staccata dal resto del gruppo dei sovranisti di Identità e democrazia (Id) per certificare la propria conversione all'europeismo e consolidare i rapporti con Mario Draghi. I voti a favore sono stati 582, i contrari 40 e gli astenuti 69; tra cui gli eurodeputati di Fratelli d'Italia che non hanno votato come il resto del gruppo Ecr; i tedeschi dell'Afd hanno scelto una convinta bocciatura mentre i francesi del Rassemblement national, il partito di Marine Le Pen, hanno preferito una cauta astensione. Chiusa quella del voto, si apre una partita ancora più importante. “Ora la parola passa agli Stati membri per far partire il Next Generation Eu. Ci attendiamo che i parlamenti nazionali accelerino la ratifica dell'aumento delle risorse proprie dell'Unione, essenziale per emettere bond e finanziare la ripresa. Non c’è tempo da perdere e ogni ritardo sarebbe un danno enorme a cittadini e imprese”, ha messo in chiaro il presidente dell'Europarlamento David Sassoli, parole sottoscritte anche dalla presidente della Bce Christine Lagarde e ovviamente dalla Commissione che punta alla pubblicazione del testo del Recovery nella Gazzetta ufficiale già il 18 febbraio. Da quel giorno, fino al 30 aprile, gli Stati membri potranno ufficialmente consegnare i loro piani. Il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni ha definito l'approvazione in Parlamento “un passo storico” che avvicina il traguardo di “un'opportunità unica per l'Europa”. 

 



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