Prezzi sotto il 2% nel 2023, la Bce rinvia la stretta
Dopo la fiammata dell'inflazione, una frenata nel 2022 e un ritorno sotto il 2% nel 2023: le nuove previsioni che la Bce pubblicherà a dicembre non saranno troppo dissimili dai numeri pubblicati dalla Commissione europea. E forniranno la base per evitare un rialzo dei tassi d'interesse nel 2022. Da settimane la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ripete che i fattori alla base dell'accelerazione dell'inflazione sono perlopiù "temporanei", dal caro-energia alle strozzature al commercio globale. Lagarde si è fermata a un passo dallo smentire i mercati - che tuttora prezzano un rialzo dei tassi a fine 2022 - e due giorni fa il suo capo economista Philip Lane ha spiegato che una stretta monetaria anticipata sarebbe "controproducente": manca però il suggello formale allo scenario che, nei piani dei componenti 'colombe' del Consiglio Bce, dovrebbe permettere un percorso 'soft' di normalizzazione della politica monetaria, riducendo solo gradualmente gli acquisti di bond e rinviando a ben oltre il 2022 il successivo rialzo dei tassi, in coerenza con l'intenzione di essere "pazienti, perseveranti e persistenti" nel cercare l'obiettivo d'inflazione al 2%.
Quel suggello arriverà dalle nuove proiezioni 2021-2024 della Bce che con ogni probabilità indicheranno un'inflazione in discesa sotto il 2% nel 2023. Le previsioni medie degli economisti “esterni”, pubblicate dalla Bce ogni trimestre, viaggiano all'1,7% per il 2023. Un numero, quest'ultimo, importante per i componenti della Bce che vogliono allontanare ogni rialzo dei tassi nei prossimi mesi. Perché in base alla nuova forward guidance sui tassi d'interesse, i tassi non si muoveranno fino a che la Bce non vedrà un'inflazione "che raggiunge il 2% ben prima della fine dell'orizzonte di previsione, e durevolmente per il resto dello scenario" delle sue stime.
Dall’Ecofin il Ministro Franco rilancia l’impegno dell’Italia sul Pnrr
Gli impegni che l'Italia ha preso nel suo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per il 2021 saranno rispettati: il Ministro dell'Economia Daniele Franco, al termine di un Ecofin che vede sul tavolo anche i piani nazionali del Next Generation Ue, torna a ribadire che il Governo Draghi sui milestones (obiettivi qualitativi) e i target (obiettivi quantitativi) non resterà indietro. Al momento ne mancano 23 sui 51 prefissati ma, assicura il titolare del Mef, “tutto il Governo è in prima linea nel monitoraggio” dei progetti. E Roma non starà certamente a guardare neppure nel dibattito, appena iniziato, sulla revisione del Patto di stabilità: la riduzione del debito non si discute ma non deve costringere i Paesi membri alla recessione, è il concetto rimarcato da Franco che torna anche sul dossier Mes certificando che l'impegno del Governo è che la ratifica avvenga “nei tempi programmati”, ovvero entro l'anno. A Bruxelles i ministri Ue si ritrovano di fatto di fronte ad un percorso di ripresa economica, con due incognite, tuttavia, all'orizzonte: la rapida risalita dei contagi e l'inflazione, a cominciare da quella dei prezzi dell'energia.
Il caro-bollette è l'altra incognita che, da qui al summit dei leader Ue di dicembre, animerà un'Europa che non riesce a colmare le sue divisioni. La scommessa, su cui tutti sono tutti d'accordo, è che dopo un picco a fine anno i prezzi dell'energia scenderanno così come calerà, in generale, l'inflazione. “Ma vediamo con quale rapidità”, avverte Franco nel giorno in cui la presidente della Commissione Ursula von der Leyen rilancia la proposta di stock di gas comuni per calmierare i prezzi. Se sul dossier energia l'accordo non è vicino, sulla revisione della governance economica l'intesa non è neppure all'orizzonte: i falchi del Nord hanno già issato una trincea contro qualsiasi modifica delle regole laddove Italia, Spagna e Francia reputano non percorribile il ritorno, nel 2023, allo status quo pre-Covid.
L’UE: l’Italia crescerà del 6,2% ma la sfida del Pnrr sarà cruciale
Le previsioni economiche d'autunno della Commissione UE sorridono all'Italia più di quelle dello scorso luglio. Bruxelles stima una chiusura del 2021 con il Pil al 6,2% (in estate si prevedeva il 5%) mentre nel 2022 la crescita dovrebbe assestarsi al 4,3%. Il Pil italiano, nonostante l'inflazione e lo spettro dei contagi, “è destinato a continuare a espandersi”, spiega l'Ue che, nelle sue stime include anche l'impatto del Recovery. Ed è proprio qui che Roma è chiamata all'ultimo scatto: “Ha una responsabilità particolare perché' ha avuto più risorse, serve concentrarsi su questa sfida”, è il monito del Commissario agli affari economici Paolo Gentiloni. Il tempo stringe e, quasi certamente, Roma non sarà nel primo gruppo di Governi europei a chiedere le risorse del Next Generation Ue per quest'anno, ma c’è anche chi in Europa è più indietro. Come appendice, c’è il rebus dei rebus: il Governo, a febbraio prossimo, sarà lo stesso?
Passando al debito e al rapporto deficit/Pil, le stime di Bruxelles vedono una sia pur lenta uscita dal tunnel: “Il rapporto debito pubblico/Pil dovrebbe scendere dal 155,6% nel 2020 al 151,0% nel 2023, grazie alla ripresa economica e a un favorevole aggiustamento stock-flussi” e anche il rapporto deficit-Pil “trainato dalla ripresa economica e dalla graduale eliminazione delle misure fiscali di emergenza del Governo”, spiega la Commissione. Certo, non tutti gli indicatori ci sorridono: l'inflazione, ad esempio, è destinata a salire da qui a fine anno in Italia come in Europa e la ripresa dell'occupazione è “in ritardo rispetto alla crescita della produzione, poiché la carenza di manodopera in settori specifici, in parte legata al disallineamento delle competenze, è destinata a ostacolarla nonostante la debolezza del mercato del lavoro”, si legge nelle previsioni, che torneranno a fotografare la ripresa Ue il prossimo febbraio quando, tra l'altro, il dibattito sulla revisione del Patto di Stabilità sarà entrato nel vivo.
Industria: Istat, a settembre produzione +0,1%, trainano beni consumo
Produzione industriale in lieve rialzo a settembre, con uno 0,1% in più che porta il dato su base annuale a +4,4%. Lo rileva l'Istat, che registra incrementi tendenziali marcati per i beni intermedi (+7,1%), i beni strumentali (+4,9%) e quelli di consumo (+4,5%); diminuisce, invece, il comparto dell'energia (-4,2%). L'indice destagionalizzato mensile mostra un aumento congiunturale sostenuto per i beni di consumo (+3,3%) e una crescita più contenuta per l'energia (+1,3%) e i beni intermedi (+0,9%); viceversa, si osserva una diminuzione per i beni strumentali (-1,0%). Per il Codacons, i dati "segnano un rallentamento della crescita del comparto, confermato dall'andamento trimestrale che, secondo l'Istituto di statistica, nel terzo trimestre dell'anno registra una crescita inferiore rispetto ai trimestri precedenti". Anche l'Unione consumatori etichetta i risultati come "insoddisfacenti", spiegando che "ci attendevamo un rialzo maggiore, anche se non si può parlare di dati negativi visto che si resta in territorio positivo rispetto ai valori pre-pandemia".
Nel frattempo, la variazione acquisita per il Pil italiano nel 2021 è +6,1%: "nel terzo trimestre, il PIL italiano ha segnato un nuovo deciso aumento che ha ridotto ulteriormente le distanze con i livelli pre-crisi", segnala l'Istituto di statistica che prende nota dell'espansione dell'economia internazionale, nonostante i ritardi nella riattivazione di parte delle catene del valore e l'inflazione dei prodotti energetici costituisca un potenziale freno per la produzione mondiale nei prossimi mesi. Lo scenario globale e i livelli elevati di fiducia di famiglie e imprese, secondo l'Istat, indicano che la fase di recupero dei ritmi produttivi continua, con la possibilità di chiudere il gap rispetto ai livelli pre-crisi nei prossimi mesi. Il mercato del lavoro a settembre è tornato a registrare segnali di miglioramento, con un incremento degli occupati e una riduzione di disoccupati e inattivi. Il lento recupero però, sottolinea l'Istat, si è accompagnato a un ulteriore aumento della percentuale di imprese del settore manifatturiero che hanno dichiarato scarsità di manodopera. Questo disallineamento tra domanda e offerta di lavoro potrebbe implicare un mismatch tra le competenze richieste dalle imprese e quelle disponibili sul mercato.