Georgieva (Fmi): calo della crescita globale per guerra in Ucraina e Covid

Lo shock inflazionistico globale causato dall'invasione della Russia in Ucraina e dalla pandemia di Covid in corso porterà a un calo della crescita economica nel 2022 e nel 2023. Lo ha dichiarato la direttrice del Fondo monetario internazionale (Fmi) Kristalina Georgieva in un discorso pronunciato prima della riunione di primavera dell’Fmi prevista per la prossima settimana. La Georgieva ha dichiarato che l'Fmi declasserà le sue previsioni di crescita globale per il 2022 e il 2023 a seguito dell'invasione della Ucraina da parte della Russia che ha avuto conseguenze sulle catene di approvvigionamento con aumento dei prezzi di cibo, energia e materie prime a livello globale. “Siamo di fronte a una crisi che si aggiunge a una crisi”, secondo cui questa è la prima volta in molti anni in cui il mondo ha dovuto affrontare un “pericolo chiaro e presente” dovuto all'elevata inflazione

La guerra in Ucraina ha provocato un'onda d'urto in tutta l'economia globale, alimentando i tassi di inflazione più alti degli ultimi quattro decenni nelle economie avanzate. Russia e Ucraina insieme forniscono il 28% delle esportazioni globali di grano, mentre Russia e Bielorussia (principale alleato di Mosca) forniscono il 40% di potassio, un fertilizzante fondamentale per l'agricoltura. I prezzi del grano e del mais sono aumentati vertiginosamente in conseguenza del conflitto, alimentando le preoccupazioni per l'impatto per i Paesi più poveri. La Georgieva ha dichiarato che la guerra è stata una “massiccia battuta d'arresto per la ripresa globale” dal Covid-19, osservando che la pandemia continua a rappresentare un grave rischio per il commercio internazionale e la prosperità a livello globale. A gennaio, il Fmi ha ridotto le sue previsioni di crescita globale al 4,4% per il 2022 a causa dell'impatto della variante Omicron del Covid-19 sulle attività a livello globale. Nel suo discorso, la Georgieva ha infine affermato che ridimensionerà ulteriormente le sue previsioni che saranno pubblicate nel World Economic Outlook la prossima settimana. 

La Bce cerca soluzioni contro il rialzo dei prezzi e dello spread

La Bce corre ai ripari con un “whatever it takes per frenare l'inflazione, e allo stesso tempo prepara uno scudo anti-spread, per mettersi al sicuro dall'impatto che la stretta avrà sui rendimenti dei paesi fragili come l'Italia o la Grecia. La svolta arriverebbe in estate. Dopo il balzo dell'inflazione al record del 7,5% a marzo, il Consiglio della Bce è pronto a “qualsiasi azione necessaria per adempiere il mandato di perseguire la stabilità dei prezzi” e i dati “rafforzano l'aspettativa che gli acquisti netti nell'ambito del Programma di acquisto di attività dovrebbero concludersi nel terzo trimestre”. Christine Lagarde anticipa che la Bce prenderà una decisione definitiva nel meeting di giugno: “non è deciso, ma è altamente probabile, per assicurarci che l'inflazione si stabilizzi al 2%”. Fonti della Bloomberg parlano di un rialzo dei tassi quasi immediato, sempre nel terzo trimestre, dopo lo stop agli acquisti netti. Nel frattempo la Bce continuerà a reinvestire il capitale dei bond che arriva a scadenza almeno fino a tutto il 2024. Una sterzata significativa, segno che la “guerra economica” con la Russia di Putin rischia di innescare una stagflazione simile a quella causata dallo shock energetico degli anni '70. 

L'invasione dell'Ucraina e le sanzioni hanno causato un +45% dei prezzi energetici in un anno e Lagarde evoca “conseguenze enormi” da un embargo totale sul gas. Ma già così, “i rischi al rialzo per le prospettive d'inflazione si stanno intensificando”, e stanno iniziando a trascinare al rialzo anche le aspettative d'inflazione più a lungo termine, un campanello d'allarme a Francoforte. Le pressioni sempre più forti della Germania, ma anche di alcuni Paesi nordici alle prese con un'inflazione a doppia cifra, verrebbero accolte mettendo sull'altro piatto della bilancio uno scudo anti-spread. Al momento c’è già la flessibilità che, con i reinvestimenti, consentirà acquisti mirati di debito per spegnere fiammate di rendimenti di singoli Paesi. Come due anni fa allo scoppio della pandemia, “faremo esattamente lo stesso, ci muoveremo prontamente”, rassicura Lagarde. Ma c’è di più, gli uffici tecnici dell'Eurotower starebbero studiando uno scudo contro rialzi eccessivi dei rendimenti: “possiamo progettare e mettere in campo un nuovo strumento per assicurare la trasmissione della politica monetaria”. 

L’Istat certifica la crescita della produzione industriale +4% a febbraio 

A febbraio l'indice destagionalizzato della produzione industriale è aumentato del 4% rispetto a gennaio. Corretto per gli effetti di calendario, a febbraio l'indice complessivo aumenta in termini tendenziali del 3,3%. I giorni lavorativi di calendario sono stati 20 come a febbraio 2021. Nella media del trimestre dicembre-febbraio il livello della produzione diminuisce dello 0,9% rispetto al trimestre precedente. L'indice destagionalizzato mensile mostra aumenti congiunturali in tutti i raggruppamenti principali di industrie: variazioni positive caratterizzano, infatti, i beni di consumo (+5,2%), i beni intermedi (+3,5%), i beni strumentali (+2,7%) e, in misura inferiore, l'energia (+0,9%). Incrementi rilevanti, su base annua, caratterizzano i beni di consumo (+5,8%), l'energia (+4,5%), e i beni strumentali (+2,8%); più contenuta è la crescita per i beni intermedi (+1,6%). I settori di attività economica che registrano gli incrementi tendenziali maggiori sono la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+16,8%), le industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (+11,7%) e la fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+8,3%). 

Flessioni tendenziali si registrano nelle attività estrattive (-15%), nella produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (-3,8%) e nella fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche (-2,9%). Pur non avendo recuperato pienamente la caduta vista tra dicembre e gennaio, l'output nell'industria è tornato al di sopra dei livelli di febbraio 2020 (+2,5%, contro un +0,7% registrato in Spagna e cali di oltre -4,5% in Germania e Francia). La crescita tendenziale è salita al 3,3% dal -2,7% precedente (in termini corretti per gli effetti di calendario), anche se il confronto annuo è viziato dal fatto che nei primi mesi del 2021 erano in vigore ancora significative restrizioni alle attività economiche e alla mobilità. 

Per l’Istat cala del 12% la fiducia delle famiglie 

Per l’Istat, nella nota mensile di marzo sull'andamento dell'economia, ha spiegato che l'impatto della guerra sul sistema economico rimane di difficile misurazione e si innesta all'interno di una fase del ciclo caratterizzata da miglioramenti di alcuni settori economici, degli investimenti e delle condizioni del mercato del lavoro. Le reazioni allo shock determinato dal conflitto sono al momento eterogenee tra gli operatori. Le famiglie mostrano maggiori preoccupazioni: a marzo l'indice di fiducia è sceso di circa 12 punti rispetto al trimestre precedente, condizionato dai giudizi negativi sul clima economico e su quello futuro. Tra le imprese, l'andamento della fiducia è differenziato tra comparti. Quella nel settore delle costruzioni è ancora a livelli massimi mentre è diminuita la fiducia delle imprese manifatturiere e dei servizi, anche se nel turismo si segnala un deciso miglioramento. In particolare, le imprese manifatturiere hanno evidenziato un aumento della quota di chi segnala ostacoli all’attività di esportazione. 

L'Istat ha inoltre riferito che, ipotizzando per marzo un livello dell’attività economica uguale a quello di febbraio, nel primo trimestre 2022 la produzione industriale segnerebbe un calo dello 0,9%. L'attuale tasso di investimento, sui livelli del 2008, e l'ancora elevata propensione al risparmio potrebbero rappresentare dei punti di forza per la ripresa della crescita economica, incidendo sulle aspettative degli operatori. Infine, l'Istat ha concluso lo scenario delle prospettive e ha affermato che in questo scenario, la forte accelerazione dell'inflazione, condizionata dall'andamento dei prezzi dei beni energetici, costituisce ancora il principale rischio al ribasso a cui si associano i possibili effetti negativi legati al rallentamento del commercio internazionale e all'apprezzamento del dollaro. 



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