Renzi e Calenda trattano, ma l’accordo sembra vicino
Il dialogo è stato aperto e ci sono le premesse, ma come in tutte le trattative sono i dettagli a fare la differenza. L'accordo tra Matteo Renzi e Carlo Calenda è a buon punto, ma ancora non è stato siglato. I due leader si incontreranno probabilmente oggi e solo dopo potrà arrivare l’accordo. Viste le personalità, un tema di confronto è stata la leadership del neo-nascente terzo polo. Per Calenda “ci sarà una leadership, lo o magari un terzo, o magari una terza, chi lo sa?”. Una dichiarazione che ha immediatamente fatto scattare il toto leader. E in Transatlantico, in un inconsueto 9 di agosto lavorativo per la Camera, già impazzano le ipotesi. Il nome più gettonato è quello di Mara Carfagna. L'ex Forza Italia, corteggiata sia da Renzi che da Calenda molto prima della crisi, oggi convintamente in Azione, è il volto naturale su cui entrambi potrebbero convergere, ma lei esclude l’ipotesi: “Mi tiro fuori. Vorrei uscire subito dall'equivoco: Azione ha un leader che è stato eletto dal congresso e ha dimostrato che il terzo polo ha grande spazio ed è Carlo Calenda”.
Il punto su cui, tuttavia, si sta giocando la partita tra i due leader è quella delle firme. Azione ha ricevuto il parere del costituzionalista Sabino Cassese che conferma il diritto del partito a essere esentato dalla raccolta dalla sottoscrizione, visto che nella lista Pd-Siamo europei nel 2019 Calenda fu eletto al Parlamento Eu. Una certificazione che, però, non metterebbe al riparo il simbolo da rischi, su cui l'ultima parola spetta al Viminale. Se Azione volesse stare tranquilla dovrebbe, in pochi giorni, riuscire a raccogliere 36.750 firme, una sfida difficile ma non impossibile. Un tema su cui Renzi sta alzando la posta, riproponendo nella trattativa la lista unica.
“Quando abbiamo lavorato insieme abbiamo lavorato bene. In particolar modo durante il periodo in cui abbiamo condiviso responsabilità varie di Governo. Se Azione ci sta, siamo pronti a ricominciare insieme, senza primogeniture ma puntando al bene dell'Italia. Io e Carlo insieme possiamo fare il botto”. Un modo per mettere alle strette il partito di Calenda per puntare immediatamente alla nascita di un terzo polo vero e proprio. Il tempo comunque stringe, entro il 14 agosto dovranno essere depositati non solo i simboli, ma anche le dichiarazioni di apparentamento (leggi lo speciale sul Timing del voto). Questa mattina Matteo Renzi dovrebbe riunire gli organi di Italia Viva e tutto lascia presagire che al massimo questa sera o al più tradì domani si dovrebbe tenere l'incontro con Calenda per sancire la nuova alleanza.
Il Pd archivia lo strappo di Calenda, e punta su liste e programma
Archiviata la difficile fase delle alleanze il Partito Democratico è al lavoro sulle liste e sul programma. L'obiettivo è mettere da parte le polemiche con Carlo Calenda e puntare sulla campagna elettorale. Il lavoro di stesura dei nomi e dei temi si dovrà chiudere entro questo fine settimana: per sabato e domenica è in programma la direzione nazionale. Per il segretario Enrico Letta“Dobbiamo parlare al Paese e del Paese per derubricare in fretta lo strappo di domenica scorsa e recuperare il tempo perduto dietro ai cortocircuiti emotivi del leader di Azione”. Sul terzo polo i giudizi al Nazareno sono tranchant: “Per stile, rispetto della parola data e serietà Renzi e Calenda sono quanto di più lontano da Draghi, che pure invocano come loro punto di riferimento”. Secondo le previsioni di alcuni big del Pd, il patto Azione e Iv potrebbe non pesare troppo perché il pronostico del campo progressista è che possa erodere voti più a destra che a sinistra.
Sulle liste, al Nazareno si lavora a un rinnovamento della classe dirigente che guardi a donne, come la vicepresidente dell’Emilia-Romagna Elly Schlein e l'ex segretaria della Cisl Annamaria Furlan, e ai giovani radicati sul territorio. Si fanno i nomi del segretario provinciale di Napoli Marco Sarracino, della segreteria di Milano Silvia Roggiani, del segretario regionale in Calabria Nicola Irto. Il programma avrà come temi lavoro, casa, scuola, “questioni vicine ai bisogni delle persone”, spiegano dal Nazareno. Dopo l'addio di Carlo Calenda, ci sono da rimodulare le percentuali dei seggi fra Pd, Si-Verdi, Più Europa e Impegno civico. Ma non sono previste particolari difficoltà. L'uscita di Azione ha rimesso in campo la possibilità di candidare negli uninominali i leader delle forze della coalizione. Potrebbe essere così per Luigi Di Maio, magari in un collegio in Campania. E anche per i vertici di Più Europa che, come Impegno civico, rischia di non superare la soglia del 3%. Il tempo stringe. “L'esito del voto non è scontato, i pronostici si possono ribaltare”, è il refrain. E c’è l'impegno a correre per essere il primo partito.
Sullo sfondo, i rapporti con gli ex alleati del M5S. La rottura è netta e non si torna indietro. Le alleanze sono definite e non si cambiano. Nella coalizione guidata dal Pd, però, c’è chi medita una tregua, seppur armata. Il ragionamento di base è: l'avversario comune è la destra. In questa ottica, per M5S e Pd “le elezioni politiche possono essere fatte su binari paralleli”, ha detto al Corriere della Sera il responsabile enti locali del Nazareno, Francesco Boccia. Dall'area sinistra della coalizione è arrivata una spinta anche più forte: il segretario di Si Nicola Fratoianni ha ribadito: “Per il M5S le porte restano aperte”. Lo scenario è quello del dopo-voto: perché adesso, ripete Letta, la sfida è fra il campo del Pd e Meloni, non ci sono vie di mezzo.
Il centrodestra ha chiuso il programma. A Ferragosto i nomi dei collegi
Il centrodestra ha chiuso il tavolo di confronto sul programma elettorale anche se l'ok finale sui 15 punti spetterà ai leader della coalizione. Il testo mantiene il titolo della prima bozza circolata “Italia domani”, che ricalca quello scelto dal governo Draghi per il portale sul Pnrr, e aggiunge alcuni interventi su giustizia e ambiente, in linea con la riforma del processo penale e quella del Csm, e per usare gli oltre 70 miliardi del Pnrr per garantire la transizione ecologica ma anche la riconversione dell'industria pesante. Nel dettaglio, al primo punto del programma resta il posizionamento internazionale: l'Italia è parte dell'Europa, della Nato e dell'Occidente. Segue la riforma del presidenzialismo e la lotta all'immigrazione irregolare, affidata ai decreti sicurezza e a un generico blocco degli sbarchi. Non si cita quello navale, invocato da sempre da Giorgia Meloni.
Nero su bianco è pure il taglio del cuneo fiscale e la flat tax ma senza indicare la percentuale dell'aliquota, probabilmente per evitare scontri su promesse che pesano sui conti pubblici. In particolare, Forza Italia chiede la tassa piatta sia per tutti 23% mentre la Lega insiste sul 15%. E nel dibattito entra anche Beppe Sala che smonta la proposta: “è economicamente insostenibile per un Paese già enormemente indebitato”. E attacca: “Non credete a queste balle”. Matteo Salvini non demorde: "Noi non stiamo promettendo una cosa inesistente, bensì qualcosa che già funziona” citando i “2 milioni di lavoratori che hanno questo sistema fiscale”.
Ancora aperto è il cantiere sui candidati ma Salvini è fiducioso: “Le candidature sono sostanzialmente definite, regione per regione. Mancano i nomi e ci arriviamo a cavallo di Ferragosto”. In effetti il 14 agosto è la deadline per presentare i simboli elettorali ed entro il 26 agosto vanno presentate le liste delle candidature. Più difficile è la partita sui collegi uninominali: manca la quota assegnata ai centristi, prima divisi e ora tentati dalla strada della lista unica che raggrupperebbe Udc, Coraggio Italia, Noi con l'Italia e Italia al centro. In ogni caso nel centrodestra si respira ottimismo, specie di fronte ai tira e molla che dominano lo scenario a sinistra e nel polo di centro. In più, c’è il buon vento dei sondaggi. L'ultimo di Swg mette Giorgia Meloni sul podio del gradimento dei leader con il 32%, staccando Matteo Salvini (appaiato a Enrico Letta al 23%) e Silvio Berlusconi al 19%. Per il fondatore di FI c’è da decidere se si candiderà o meno. "Vedremo”, si limita a dire ma confessa: “Nel mio partito mi hanno assalito, mi hanno detto che è importante che mi candidi”. E in effetti Antonio Tajani racconta che il pressing esiste e che l'ipotesi di un Cavaliere capolista “sarebbe giusta e utile” e il giusto risarcimento dopo la “cacciata” dal Senato.
Conte è al lavoro sulle liste. Di Battista attacca Grillo e i leader del M5S
I vertici del M5S sono alle prese con la scrematura delle auto-candidature per le parlamentarie che si terranno il 16 agosto. A Giuseppe Conte toccherà poi risolvere il rebus della composizione delle liste, a partire dalla scelta dei capilista: fonti di vertice assicurano che in questo caso il leader M5S potrebbe tenere conto delle preferenze ottenute dai candidati alle parlamentarie. L'ex premier, ritornato al lavoro nella sede del Movimento dopo alcuni giorni trascorsi a San Felice Circeo, per ora non si sbilancia e preferisce mantenere il massimo riserbo. Nel frattempo, si susseguono i rumors sui possibili nomi della società civile che Conte starebbe sondando per una eventuale candidatura: dal sindacalista Aboubakar Soumahoro al magistrato ed ex Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, passando per il giornalista e storico volto tv Michele Santoro.
Quel che è certo, è che non sarà della partita Alessandro Di Battista, che ieri in un duro video-messaggio ha spiegato le ragioni della sua mancata candidatura alle parlamentarie: “Non c'erano le condizioni”, si sfoga l'ex deputato del M5S, raccontando di aver parlato con lo stesso Conte. “Ho compreso che ci sono molte componenti nell'attuale M5S che non mi vogliono. Da Beppe Grillo passando per Roberto Fico. Forse temono che io sia poco imbrigliabile, perché forse temono giustamente che io possa ricordare degli errori politici che sono stati commessi negli ultimi due anni da vari esponenti: Grillo, Di Maio che poi se n'è andato, Fico. Coloro che in un certo senso sono stati i principali promotori dell'entrata del Movimento nel governo Draghi”, attacca. L'ex leader pentastellato punta il dito contro quasi tutti i dirigenti M5S (escluso Conte), da parte dei quali non avrebbe avvertito la necessaria fiducia per fare un passo avanti: “Ho letto interviste di vari esponenti del M5S che mi tiravano in ballo, non proprio carine. Nessuno mi ha detto abbiamo bisogno di te”.
“Le più gentili erano se torna si deve allineare. Le meno gentili erano non abbiamo bisogno di lui perché è un distruttore, tipo Attila il re degli Unni. Forse i disboscatori di consenso sono stati altri: alcuni sono ancora all'interno del M5S, altri se ne sono andati”. E se per l'ex premier spende buone parole non le manda a dire invece a Grillo: “Politicamente oggi non mi fido di Beppe Grillo, che ancora in parte fa da padre padrone. E io sotto Grillo non ci sto”. L'ex parlamentare romano poi annuncia nuovi progetti per il futuro: “Nei prossimi mesi insieme ad altre persone creerò un'associazione culturale per fare politica insieme da fuori, per darci una struttura e un'organizzazione civica per fare cittadinanza attiva. Poi si vedrà”.