È tensione sulle riforme istituzionali: per Salvini sono altre le priorità
Nuovo scontro a distanza tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. A rimarcare la differenza di vedute tra i capi politici di Lega e Fratelli d'Italia in gara anche per la leadership del centrodestra, questa volta sono le riforme istituzionali. “Sentivo prima il dibattito sulle riforme istituzionali e sulla Bicamerale, tutto interessante. Ai colleghi di tutti gli altri partiti dico però che l'emergenza stamattina è la bolletta che è triplicata. Per la Lega tutto viene dopo. In questo momento bisogna bloccare gli aumenti di luce e gas”, ha sottolineato il leader del Carroccio. La frase suona come una risposta alla proposta lanciata dalla Meloni di istituire, dopo il voto, una Bicamerale per le riforme, in primo luogo quella sull'elezione diretta del Capo dello Stato. Nonostante i sondaggi che vedono la Lega ben al di sotto del risultato di FdI, Salvini non ha di certo rinunciato a combattere: “Io sono a disposizione del popolo italiano, fare il presidente del Consiglio sarebbe un orgoglio, un'emozione, un onore e la squadra della Lega e del centrodestra è pronta fra 20 giorni a prendere per mano questo straordinario Paese” ma “prima del voto degli italiani non mi permetto di impormi o di propormi”.
Un'idea da subito bloccata da Ignazio la Russa: “Salvini al Viminale? Io lo vedo bene ovunque, in qualunque ministero, tranne che come presidente del Consiglio, perché lì vedo meglio Giorgia Meloni naturalmente”. Ma il dibattito sulle riforme istituzionali si allarga anche agli altri partiti. Per il segretario Pd, la leader di FdI spinge sul presidenzialismo per ottenere “i pieni poteri” perché “il vero obiettivo della destra è mandare a casa Sergio Mattarella”. Uscendo per un attimo dalla “modalità monaco tibetano” dove era entrata per “non rispondere alle provocazioni”, Giorgia Meloni ribatte: “Di fatto già con Draghi abbiamo avuto un sistema semi-presidenzialista, senza contrappesi. Si è lavorato solo per decreto, abbiamo votato 250 miliardi del Pnrr senza che il Parlamento avesse letto il testo e Draghi non è stato neanche eletto dai cittadini”. Dal Terzo polo Carlo Calenda non usa mezzi termini: “Son tutte cazz..e, non si caccerà Mattarella e non si cambierà la Costituzione”, afferma il leader di Azione, rilanciando ai partiti la proposta di fermare la campagna elettorale per concordare un intervento immediato contro il caro bollette. E anche per Matteo Renzi, “l'allarme non c’è”.
Il vicepresidente della Commissione UE Timmermans attacca il centrodestra
Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea ed esponente di spicco dei Socialisti & Democratici, parlando delle elezioni italiane ha dichiarato: “L'agenda sociale della destra fa paura”, parole che hanno riacceso prepotentemente il dibattito su eventuali ingerenze dell'Ue nel caso a vincere fosse la coalizione guidata da Giorgia Meloni. “La Commissione è neutra. Personalmente sono di sinistra, dunque a me viene più facile lavorare con Enrico Letta. Non conosco Giorgia Meloni”, ma “so che abbiamo bisogno di una visione che è quella con cui si è lavorato grazie a Mario Draghi”, ha ammesso con franchezza l'olandese Timmermans. Del resto nel gruppo S&d all'Europarlamento i timori sulla destra in Italia sono ben radicati sin dai tempi del governo giallo-verde.
Le parole di Timmermans hanno fatto letteralmente insorgere il centrodestra: “Non pensi all'Italia, è lui uno dei responsabili del caro bollette” ha sbottato la Lega mentre il co-presidente del gruppo Ecr Raffaele Fitto lo ha invitato a prendere esempio dai colleghi in fatto di neutralità. Il coordinatore di Fi Antonio Tajani ha invece preso carta e penna e ha scritto un'interrogazione alla Commissione in cui denuncia “l'inammissibile e gravissima interferenza" di Timmermans che “offende milioni di cittadini italiani”. “Il Codice di Condotta dei Membri della Commissione Ue” ha aggiunto il vicepresidente del Ppe “stabilisce che devono ritirarsi provvisoriamente dai lavori della Commissione se si candidano o svolgono un ruolo attivo nella campagna elettorale”. Per Palazzo Berlaymont, tuttavia, Timmermans non ha violato alcun codice; interpellato a riguardo il portavoce della Commissione Eric Mamer ha spiegato che “i Commissari, che hanno una loro famiglia politica, hanno il diritto di esprimersi con i media a titolo personale”. Eppure, a Bruxelles, qualche imbarazzo l'episodio potrebbe averlo creato.
Slitta l’intesa sul price cap Ue, verso l’ok sul taglio dei consumi energetici
Non c’è ancora l’intesa sul price cap sul gas. La misura continua a spaccare l'Europa e i Governi hanno bisogno di altro tempo per riflettere su una decisione che dovrà essere assunta dal vertice e quindi a ottobre, prima a Praga e poi a Bruxelles, quando i leader si troveranno faccia a faccia al tavolo di trattativa per due volte nel giro di quindici giorni. Nel frattempo, dall'altra sponda dell'Atlantico Joe Biden ha sollecitato gli alleati al coordinamento davanti alla “manipolazione” sull'energia da parte di Mosca, nell'auspicio di poter garantire forniture sostenibili e convenienti per il vecchio continente. Ai ministri dell'Energia europei, attesi oggi a Bruxelles in seduta straordinaria, non resta dunque che trovare l'accordo su altri interventi più immediati per far scudo a tutela di famiglie e imprese schiacciate dal peso di bollette astronomiche, mentre il gas ha chiuso la giornata sulla borsa di Amsterdam a 220,54 euro al megawattora dopo essere precipitato fino a un minimo di 192,92 euro. La fuga in avanti della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sull'introduzione del price cap al gas russo e le riunioni tecniche di questi giorni non sono servite ad appianare tutte le divergenze sulla misura, che resta il nodo più delicato, anche considerando che c’è chi, Italia in testa, chiede più ambizione, con un price cap generalizzato a tutte le importazioni di gas.
Ma qualcosa, pur con prudenza, inizia a muoversi. L'Olanda, finora apertamente contraria, nelle ultime ore ha fatto sapere tramite Mark Rutte di avere ancora “domande” e “preoccupazioni” ma di guardare “con favore” alla proposta di Bruxelles e la Germania, tradizionalmente scettica, resta più defilata: per arrivare all'accordo a Ventisette sembra allora chiaro che servirà altro tempo. Più immediato, invece, il confronto nelle mani dei ministri dell'Energia sulle altre misure annunciate dall'esecutivo Ue: taglio dei consumi, tassa sugli extra-profitti e aiuti alle utilities in difficoltà. Sulla falsariga di quanto deciso per il gas, Bruxelles punta a una riduzione della domanda e dunque a un taglio dei consumi di energia elettrica del 10%, di cui almeno il 5% nelle ore di punta; ancora tutto da decidere se il target sarà obbligatorio oppure volontario. Analogo il discorso sull'idea di porre un tetto ai ricavi infra-marginali delle compagnie che producono energia elettrica a basso costo da fonti diverse dal gas (come le rinnovabili) per compensare il caro prezzi per i consumatori: la proposta non ha suscitato particolari obiezioni. Per l’Italia la misura rappresenta un primo passo verso la riforma strutturale del mercato elettrico, con il disaccoppiamento (decoupling) del prezzo del gas da quello dell’elettricità. Complementare è poi l'ipotesi del contributo di solidarietà a carico delle società di combustibili fossili. Insomma, l'intesa di massima appare alla portata, salvo sorprese e veti dell'ultima ora.
Il Governo è al lavoro su un nuovo decreto aiuti da 12-13 miliardi
L'obiettivo è quello di recuperare 12-13 miliardi per continuare ad aiutare, con un nuovo decreto da approvare la settimana prossima, famiglie e imprese di fronte al caro bollette. Per farlo Mario Draghi e Daniele Franco possono contare su un tesoretto da 6,2 miliardi in più che deriva dalle maggiori entrate fiscali accumulate fin qui, dato il maggior gettito Iva effetto dell'inflazione che sale. Per utilizzarle e non metterle a bilancio per andare ad abbattere il monte del debito, però il Governo, in affari correnti, deve passare dal Parlamento. Dopo che il Consiglio dei ministri ieri ha approvato la relazione che aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica, la palla quindi passa alle Camere, che dovranno dare il proprio assenso, a maggioranza assoluta, ai nuovi conti. È nel passaggio tra palazzo Madama e Montecitorio che lo sprint cui puntava il premier rischia di subire una frenata: il decreto aiuti bis varato a inizio agosto è infatti bloccato al Senato dal momento che non c'è un accordo tra le forze politiche sugli emendamenti presentati da M5S e Alternativa sul superbonus. Il testo arriverà in aula martedì prossimo e, solo dopo averlo approvato, l'Assemblea esaminerà la relazione sui conti. Alla Camera, che a sua volta deve approvare il decreto aiuti bis, il voto sui saldi non si farà prima di giovedì perché i deputati sono impegnati sul territorio per la campagna elettorale e non è facile farli tornare a Roma.
“Il Governo fa tutto ciò che è nelle sue possibilità per varare tempestivamente i provvedimenti che consentono di erogare aiuti a famiglie e imprese. Ora è tutto nelle mani del Parlamento”; palazzo Chigi si limita a prendere atto mentre, sia in Cdm che poi in una nota congiunta, sono le tre ministre del Terzo polo Elena Bonetti, Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini a mostrare il proprio disappunto: “Si tratta di un ritardo inaccettabile, del quale riteniamo debbano assumersi piena responsabilità le forze politiche che continuano a ostacolare in Parlamento l’azione del Governo a favore dei cittadini in questo momento di estrema urgenza economica, dopo aver già bloccato la conversione del decreto aiuti di luglio”. Nella ex maggioranza è un tutti contro tutti e se la Lega propone di votare prima l'aggiustamento dei conti (così viene chiamato per non dare adito a confusioni con lo scostamento di bilancio che Salvini, Conte e Calenda continuano a invocare), FdI non ci sta: prima il sì al decreto aiuti bis, poi l'altro voto. Intanto Mario Draghi continua a lavorare alla sua uscita di scena, con la precisa volontà di mettere il suo successore nelle condizioni di prendere le redini del Governo in modo rapido ed efficace. Nel corso del Cdm, il premier ha invitato i colleghi a preparare un ordinato passaggio di consegne in modo da fornire al nuovo Governo un quadro organico delle attività in corso, degli adempimenti e delle scadenze ravvicinate. Sarà il sottosegretario Roberto Garofoli a coordinare il lavoro, da consegnare all'indomani del 25 settembre al nuovo Presidente del Consiglio.