Il Senato continuerà a confrontarsi con il voto sugli emendamenti presentati al disegno di legge di riforma costituzionale. Quella di ieri è stata una giornata tesissima che si è conclusa con una senatrice in ospedale (trauma contusivo al braccio) e un senatore in infermeria (svenimento dovuto forse ad un calo di pressione), infortuni causati da una delle tante bagarre registrate nel corso di una seduta caratterizzata da interruzioni, insulti e minacce. Fatti che potrebbero portare all'apertura di una serie di fascicoli contro i senatori più scalmanati, così come annunciato dallo scranno più alto dell'assemblea, dopo che ieri la stessa presidenza del Senato aveva invitato i questori a comportarsi come “la polizia”. Oggi si dovrebbe tenere una riunione dell'Ufficio di presidenza per decidere come comportarsi nei confronti delle diverse decine di parlamentari che ieri sono riusciti a paralizzare la discussione lanciando cori o arrivando allo scontro fisico con altri colleghi. È plausibile che si decida di non usare severità, menomare l'opposizione durante il confronto sulla modifica della Costituzione rischierebbe di avvelenare ulteriormente un clima già  pesantissimo. Gli oppositori del ddl fortemente voluto da Renzi si sono infatti coalizzati contro il presidente Grasso, ritenuto colpevole di aver piegato il regolamento alle esigenze della maggioranza. La polemica è nata intorno al voto segreto: la presidenza di Palazzo Madama ha cambiato idea su un emendamento che inizialmente doveva essere votato a scrutinio segreto. Un cambio di passo forse influenzato dalla sconfitta del governo e della maggioranza – incassata proprio grazie al voto segreto – sull'emendamento del leghista Candiani relativo alle competenze del nuovo “Senato delle Autonomie”, che sarà competente anche sui temi aventi portata etica o connessi con il diritto alla salute. Nonostante il parere contrario del governo, l'emendamento è stato approvato con 154 voti a favore, 147 contrari e 2 astenuti. Il sottosegretario alle riforme Ivan Scalfarotto, ha sottolineato che con l'emendamento la riforma “non è intaccata”. Il che è vero fino a un certo punto. Il testo uscito dalla commissione Affari costituzionali infatti, ha concepito il futuro Senato come una Camera delle Regioni, come una Camera di compensazione tra le stesse Regioni e lo Stato, con conseguente elezione dei senatori da parte dei Consigli regionali. Attribuire poteri legislativi di natura politica significa invece farne un organismo ibrido. Anche i dissidenti del Pd guidati da Vannino Chiti sostenevano questi poteri, ma coerentemente proponevano un Senato che fosse una Camera politica eletta dai cittadini. Inoltre il bicameralismo ha finora bloccato una serie di leggi in questi settori e lo stesso sottosegretario Scalfarotto ha paventato il pericolo che questa situazione si protragga anche quando le riforme entreranno in vigore. A rendere più amara la giornata del governo ci ha pensato poi la commissione Giustizia di Palazzo Madama, che ha modificato il decreto Carceri, contro il parere dell'esecutivo. Anche questa volta con il voto di alcuni dissidenti sulle riforme. Insomma, il cammino del testo con cui si intende modificare la seconda parte della Costituzione e il Titolo V non potrà essere affrontato come se fosse una passeggiata. La doppia lettura imposta dal procedimento di revisione costituzionale e le maggioranze qualificate necessarie fanno presagire una conta che potrebbe vedere sconfitto chi oggi si dice convinto di poter archiviare definitivamente il bicameralismo paritario. I tempi – approvazione del ddl entro la fine del 2015 – potrebbero poi non essere quelli previsti da analisi viziate da eccessivo ottimismo.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi deve poi fare i conti con una ripresa economica che stenta a prendere piede, così come ieri è stato costretto a riconoscere durante un'importante direzione nazionale del Partito democratico. Nella tarda serata di ieri Palazzo Chigi ha riaperto la partita delle nomine nella nuova Commissione europea; Renzi ha deciso di portare avanti una strategia che sino a questo momento non ha dato particolati frutti. L'esecutivo, attraverso una lettera firmata dal segretario del Pd, ha infatti rilanciato il nome di Federica Mogherini come Alto rappresentante dell'Ue e vicepresidente della Commissione. “Caro presidente, desidero informarla che il governo italiano ha deciso di designare Federica Mogherini, attuale ministro degli esteri, come candidato al ruolo di Alto rappresentante e vicepresidente della Commissione europea”, ha scritto Renzi in una lettera a Juncker. Il presidente del Consiglio ha voluto così puntualizzare anche la carica che richiede l'Italia. Secondo quanto si apprende in ambienti diplomatici, poco prima sarebbe stata la Polonia a indicare esplicitamente il suo candidato Radoslaw Sikorski, un popolare, alla poltrona di ministro degli Esteri dell'Europa nella lettera inviata a Juncker. Le tensioni sono sempre legate ai rapporti privilegiati dell'Italia con la Russia; un braccio di ferro con i Paesi dell'est che potrebbe rilanciare i nomi di Massimo D'Alema ed Enrico Letta, entrambi appoggiati da diversi ambienti dei socialisti e dei popolari. Nonostante le difficoltà sul fronte dei conti pubblici, Renzi si dice ancora più determinato di prima affermando che settembre non gli fa paura. Il rientro dalle vacanze sarà caratterizzato dalla nota integrativa del Def e del deposito della legge di stabilità. Secondo le opposizioni mancherebbero però 15 miliardi.



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