La riforma della seconda parte della Costituzione e del Titolo V sbarcherà nell'aula del Senato lunedì. Ieri, dopo una giornata di forte tensione, si è concluso l'iter del disegno di legge nella commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, un primo via libera che non elimina le tensioni tra i contraenti del “Patto del Nazareno” e le minoranze interne al Partito democratico e a Forza Italia. Il mandato ai relatori è arrivato a larga maggioranza. Hanno votato a favore Pd, Ncd, Pi, Scelta Civica, Lega e Forza Italia – tranne Augusto Minzolini che non era presente all'ultimo voto –, hanno votato contro Sel, M5S ed ex M5S. “Abbiamo fatto un passo avanti importante sul percorso delle riforme, con una condivisione per la prima volta così larga tra maggioranza e opposizione. Negli scorsi anni nessuno era riuscito a raggiungere un risultato simile. Il nostro rimane comunque un primo passo, vogliamo andare avanti con un processo riformatore che coinvolga tutte le parti dello Stato” si rallegra il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. Ieri le trattative tra la maggioranza e l'opposizione e tra i relatori Finocchiaro e Calderoli sono durate diverse ore: al centro della discussione uno dei punti più controversi del ddl, l'elezione indiretta dei senatori da parte dei consigli regionali, su base proporzionale. La battaglia per cambiare formulazione al testo precedente - “scandaloso” per Ncd, Lega, Sel – sarebbe passato anche grazie ad un dialogo parallelo dell'esecutivo con i partiti più piccoli sull'Italicum e sull'abbassamento delle soglie di sbarramento decisive per la loro sopravvivenza. Il terreno resta quindi minato e costellato da diverse incognite. “L'approvazione delle riforme è tutt'altro che scontata”, ha sottolineato il pentastellato Luigi Di Maio, in piena sintonia con Beppe Grillo e con i senatori del Movimento 5 stelle. Per Matteo Renzi sarebbe stato importante poter esibire il 16 a Bruxelles, alla cena dei capi di Stato e di Governo del Consiglio Europeo, una maggiore compattezza e magari i primi sì sull'ambizioso progetto di riscrittura della legge fondamentale. Ma l'ipotesi sembra ormai tramontata. Almeno tre sedute ad oltranza, dalle 11 alle 22, serviranno a presentare e votare gli emendamenti e, visti i nodi ancora tutti da sciogliere, al premier non resterà che puntare su un'intesa complessiva comunque raggiunta, per quanto faticosamente, in virtù della sua forza e della debolezza degli altri attori in scena. Sembra comunque molto difficile che si possa registrare l'approvazione in prima lettura entro il 17 luglio, l'ennesimo slittamento è dietro l'angolo. I lavori dell'assemblea potrebbero infatti favorire l'operato di chi è deciso a portare avanti una campagna ostruzionistica senza esclusione di colpi: su tutti i grillini e la minoranza di Forza Italia. I secondi temono anche che negli ambienti del governo e della maggioranza ci sia la volontà di legare il voto sulle riforme costituzionali all'esito del processo d'appello in cui Silvio Berlusconi è accusato di concussione e prostituzione minorile. Intanto la fronda interna al centrodestra – secondo i dirigenti di FI sempre più debole e ridotta nei numeri – ha fatto capire che non farà regali durante la votazione degli emendamenti che partirà lunedì. Gli “irriducibili” hanno inviato una lettera al proprio partito per manifestare la propria contrarietà, i firmatari sono stati ventidue: Aracri, Alicata, Bonfrisco, Bruni, Compagnone, D'Ambrosio Lettieri, D'Anna, Falanga, Fazzone, Liuzzi, Longo, Iurlaro, Milo, Minzolini, Pagnoncelli, Perrone, Ruvolo, Scavone, Sibilia, Tarquinio, Zizza, Zuffada. Ricollegandosi ai tempi della discussione di ieri e alle forzature descritte da qualcuno, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha respinto al mittente le accuse di “autoritarismo legislativo”, parole che ha definito assurde e destituite di ogni fondamento. Insomma, il cammino del ddl voluto da Renzi e Berlusconi potrebbe ancora riservare importanti sorprese. Il suo esito finale – così come regolato dall'articolo 138 della Costituzione – è legato a filo doppio con il dibattito sulla riforma della legge elettorale, provvedimento che sarà calendarizzato al più presto al Senato (con tutta probabilità dopo la pausa estiva).
Ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge delega sulla pubblica amministrazione. Una “rivoluzione copernicana” per la pubblica amministrazione, ha detto il premier Matteo Renzi, spiegando che “alla fine del percorso di riforme, alla fine dei 1000 giorni, il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione sarà rovesciato perché sarà l'amministrazione ad andare a casa dei cittadini, con tutti i certificati online e scaricabili”. Oggi, il contenuto del provvedimento sarà precisato nel dettaglio dal ministro Marianna Madia ma resterà al centro un “rovesciamento dei ruoli” rispetto al passato. Il disegno di legge conterrà anche misure che non saranno indolori, come le nuove regole per i dirigenti pubblici, che già hanno registrato, per le prime scelte messe in campo con il decreto all'esame della Camera, diversi mal di pancia. Palazzo Chigi punta poi ad una riduzione degli uffici di diretta collaborazione con i Ministri e all'istituzione del potere sostitutivo della Presidenza del Consiglio per la pubblicazione degli oltre 800 decreti attuativi di testi di legge che oggi risultano non in vigore.