Il governo vorrebbe far approdare il disegno di revisione costituzionale nell'aula del Senato entro il 24 settembre. Un intendimento che al momento potrebbe apparire come un'illusione. Le distanze tra le varie anime del Partito democratico sono ancora tantissime e – almeno in teoria – ci sarebbero da votare oltre mezzo milione di emendamenti. Una quantità incredibile di proposte di modifica che potrebbe essere superata solo con qualche stratagemma in punta di regolamento. Dopo qualche dichiarazione avventata, Palazzo Chigi ha fatto capire che non intende apporre la questione di fiducia. Scelta che avrebbe rappresentato una prima volta nella storia della Repubblica e che avrebbe senza dubbio scatenato fortissime polemiche. Intanto Pier Luigi Bersani si mostra pessimista su quelle che potrebbero essere le prossime evoluzioni e fermo sulle sue posizioni relative all'elettività della “nuova” Camera alta: “Voto la riforma solo se si supera lo stallo sull'articolo 2, ma la vedo dura”. Matteo Renzi, che domani terrà a Verona la seconda tappa del suo tour in cento teatri d'Italia, ha provato a spostare il confronto sul terreno della “responsabilità”. Anche per questo ha passato per ora la palla a un tavolo “istituzionale permanente” dei gruppi Pd, che nella giornata di ieri ha dato il via ai suoi lavori negli uffici del gruppo a Palazzo Madama. Ne fanno parte Boschi e Pizzetti, la presidente della commissione Affari costituzionali Finocchiaro, i capigruppo Rosato e Zanda, i capigruppo in commissione Lo Moro e Fiano, i responsabili istituzionali Pollastrini e Tonini. Ieri i nove si sono limitati a un primo giro di tavolo. Da oggi si proverà a entrare nel vivo, mettendosi innanzitutto al lavoro per trovare un'intesa sul tema delle competenze del futuro Senato; sulla questione delle competenze, che i senatori - anche su richiesta dei presidenti di Regione - vorrebbero aumentare, un accordo è possibile. Non solo nel Pd ma anche, spiegano dalla maggioranza Dem, con gli altri partiti. Su quel piano si sta tra l'altro lavorando - con qualche spiraglio, assicurano i renziani - per persuadere Roberto Calderoli a ritirare gran parte dei suoi 500 mila emendamenti. Sul metodo di elezione dei futuri senatori, invece, le posizioni restano inconciliabili: i 28 della minoranza Pd chiedono di cambiare l'articolo 2 della riforma, governo e maggioranza dicono che la richiesta è irricevibile perché vorrebbe dire ripartire da capo. Per questo Lo Moro, che insieme a Pollastrini rappresenta la minoranza al tavolo istituzionale, sottolinea che un'intesa dirimente può venire solo da “fuori”, da un accordo politico e non tecnico. La prossima settimana la presidente di commissione e relatrice Anna Finocchiaro potrebbe dichiarare irricevibili tutti gli emendamenti all'articolo 2, creando un precedente per la scelta dirimente che il presidente Pietro Grasso dovrà compiere quando la legge sarà in Aula. Intanto, con il clima più sereno di confronto, con alcune concessioni su temi come le funzioni del Senato e il suo ruolo di garanzia, la maggioranza Pd confida di riuscire a toccare le corde dei più “responsabili” tra i senatori della minoranza Dem. Se l'opera di convincimento dovesse fallire c'è già chi pensa a raggiungere lo scopo altrimenti. Tanto che si inizia a vociferare di alcuni senatori di Forza Italia disposti ad abbandonare l'Aula durante le votazioni più delicate. Nuovi problemi potrebbero però arrivare dai banchi del Nuovo centrodestra. Tra i ranghi dei centristi serpeggia infatti il malumore. A pesare non è solo il dibattito in commissione Giustizia del Senato sulle unioni civili. Molti parlamentari, che a suo tempo scelsero di abbandonare Forza Italia per seguire Angelino Alfano, si chiedono oggi quale sarà il futuro di questo movimento politico. Formazione condannata all'irrilevanza in tantissime zone del Paese. Per questo motivo, lo strappo definitivo potrebbe arrivare proprio durante l'iter della riforma costituzionale.
Nei prossimi giorni andrà avanti il confronto tra la presidenza del Consiglio e il ministero dell'Economia in merito alla prossima legge di stabilità. Le previsioni sulla crescita riviste al rialzo potrebbero consegnare al governo maggiori margini di manovra. La crescita del Pil fa automaticamente calare il rapporto con il deficit, ma mantenendo il deficit invariato all'1,8% (come previsto nel quadro programmatico per il 2016), un aumento del Prodotto interno lordo dello 0,1% “libera” circa 1,6 miliardi di euro di risorse. Se la crescita dell'economia fosse anche maggiore, lo 0,2% in più del previsto ad esempio, il “tesoretto” salirebbe a 3,2 miliardi. Per il momento resta fermo l'obiettivo di maturare risparmi di 10 miliardi attraverso la spending review. Il commissario Yoram Gutgeld ha comunque fatto una piccola marcia indietro sul taglio delle partecipate.