La Banca centrale europea starebbe esaminando da vicino i conti italiani. Secondo gli inquilini dell'EuroTower di Francoforte ci sarebbero forti dubbi sulla tenuta dei saldi di finanza pubblica: la gelata del prodotto interno lordo e la deflazione rischiano di allontanare sempre di più la ripresa economica. I collaboratori del governatore Mario Draghi terranno d'occhio anche il programma riformista avviato da Palazzo Chigi; la Bce utilizzerà tutti i mezzi a sua disposizione a patto che a livello comunitario vengano avviate importanti modifiche alle normative vigenti. Revisioni in grado di portare a nuova cessione di sovranità a favore della Banca centrale e della Commissione europea.
Il presidente Matteo Renzi non sembra particolarmente preoccupato dei richiami che potrebbero arrivare da Francoforte. La sua strategia economica non cambia di una virgola, a Roma come in ambito comunitario. In entrambi i casi cercherà di portare a casa delle decisioni in grado di favorire ripresa e crescita. Entro pochi giorni, aspetta per iscritto l'esito del monitoraggio dei bilanci dei singoli ministeri per capire quanto i ministri siano riusciti a tagliare gli sprechi. E quanto invece la Presidenza del Consiglio e il ministero dell'Economia dovranno intervenire per riuscire a raggiungere quel 3 per cento di risparmi in ogni dicastero che consenta di avere margini di manovra per costruire una legge di stabilità che non sia depressiva. Il futuro dei conti italiani allarma però il Pd. La minoranza del partito vuole chiedere una direzione nazionale prima che l'esecutivo presenti alle Camere il suo testo, uno scontento che cresce di giorno in giorno. Dopotutto, presentato una proposta di legge per la cancellazione del principio del pareggio di bilancio dalla Costituzione, sono stati proprio i parlamentari vicini a Bersani a manifestare tutta la loro insofferenza verso quei vincoli europei che Renzi vuole invece rispettare alla lettera. Frizioni e mal di pancia che però non cambiano la ricetta del premier per uscire dalla crisi: rispetto degli impegni con Bruxelles e riforme in cambio di una maggiore flessibilità europea. Cambiamento più facile – almeno secondo l'ex sindaco di Firenze – dopo il “Patto del tortellino” siglato dai leader del Partito socialista europeo. Il premier è convinto di avere in mano la ricetta giusta per far ripartire il Paese ma, tra proteste per i tagli e resistenze dentro il Pd, si è andato convincendo che la legge elettorale deve tornare in cima alle priorità, alimentando i sospetti di chi pensa che Renzi non abbia mai archiviato la possibilità di un ritorno anticipato alle urne. Mossa a sorpresa che vanificherebbe il programma di legislatura dei “Mille giorni”. Prima della pausa estiva, il governo aveva chiesto e ottenuto di incardinare nella commissione Affari costituzionali del Senato la riforma della pubblica amministrazione e, a seguire, la legge elettorale. Nei giorni scorsi però, a quanto si apprende da fonti interne al Pd, il ministro Maria Elena Boschi avrebbe chiesto al presidente Anna Finocchiaro di invertire lo schema e di rimettere in testa la riforma dell'Italicum. Davanti alle obiezioni dell'ex diessina su un calendario già stabilito con l'accordo tra i gruppi, ieri Renzi ha voluto incontrare a Palazzo Chigi la presidente della I commissione, insistendo sul fatto che la riforma della legge elettorale vada prima di quella sulla pubblica amministrazione per viaggiare in parallelo alla riforma del Senato incardinata alla Camera. Un'accelerazione che accende i sospetti non solo dentro il Pd. Perfino tra i fedelissimi cresce l'insofferenza per le difficoltà a mandare in porto in Parlamento le riforme messe in cantiere dal governo. E anche sul fronte interno, è evidente che la mano tesa del leader Pd ad una segreteria unitaria non sta raccogliendo l'entusiasmo ad uno sforzo comune che Renzi si aspettava. Pierluigi Bersani torna ad incalzare il premier sulla decisione di non lasciare la segreteria del Pd e sulla necessità di definire un documento unitario prima di tutto il resto. E anche sulle scelte economiche, l'ex segretario fa capire di aspettare il premier al varco: “Se si parla di cifre intorno ai 16-20 miliardi, non si tratta certo di noccioline”. Parole a cui si è aggiunta l'ennesima stoccata di Massimo D'Alema su un premier sempre più lontano dal mondo degli ex-Ds.
Insomma, i conti non tornano e la vicenda delle elezioni regionali in Emilia-Romagna potrebbe indebolire ulteriormente un partito in forte difficoltà. Nelle opposizioni la situazione non è migliore, i voti per l'elezione dei componenti del Csm e di due giudici della Corte costituzionale stanno dimostrando quanto i gruppi parlamentari siano lontani dai voleri dei leader. Uno scontento trasversale che rischia di far fallire le riforme costituzionali. Il decreto-legge sulla giustizia, arrivato ieri al Quirinale, potrebbe essere un casus belli perfetto per rompere il Patto del Nazareno.