Alle 18 il Consiglio dei Ministri è convocato per l’approvazione della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. Passo che darà il via al dibattito sulla prossima Legge di stabilità. Palazzo Chigi rialzerà le stime di crescita per avere più possibilità di manovra in sede di definizione dei saldi di finanza pubblica. Il 2015 si chiuderà con un Pil in aumento dello 0,9%. Per l'anno prossimo le stime dovrebbero invece mantenersi ancora una volta prudenti, in attesa di capire come evolverà la situazione internazionale e come l'Italia reagirà agli stimoli esterni e, soprattutto, a quelli in arrivo sul fronte interno con la prossima Legge di stabilità, volta a stabilizzare, consolidare e fortificare il più possibile proprio quel +0,9%. L'asticella 2016 potrebbe quindi ondeggiare tra il +1,5% e il +1,6%, una previsione comunque migliore rispetto al +1,4% inserito nella programmazione di aprile, ma ancora cauta, soprattutto se, come riferiscono alcune fonti governative, il testo finale dovesse effettivamente fermarsi sul livello più basso della forchetta. Più crescita significherà meno deficit, sia per quest'anno sia per il prossimo. Un effetto automatico che si concilia con le indicazioni arrivate dalla Bce, tornata – nella giornata di ieri – ad invitare l'Italia ad usare i risparmi derivanti dai minori interessi sui titoli di Stato “per ridurre il deficit” anziché aumentare la spesa. Al momento il quadro programmatico indica nel 2015 un rapporto deficit/Pil del 2,6% e nel 2016 dell'1,8%. Con un'economia più forte le percentuali scenderanno, ma per l'anno prossimo un rialzo al 2,1% o al 2,2% sembra ormai scontato. In questo caso sembra però ancora difficilissimo dire quale dei due numeri sia il più probabile, anche perché durante la mattinata è previsto un incontro tra il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, e il commissario Ue agli Affari monetari, Pierre Moscovici. L'intenzione già dichiarata più volte dal governo è comunque di fare ricorso alla flessibilità Ue sia in materia di riforme sia di investimenti, con l'idea di fondo, che anche il Fondo monetario internazionale definisce “la doppia sfida” per l'Italia, di trovare un equilibrio tra l'esigenza di far scendere deficit e debito e allo stesso tempo di introdurre misure espansive. Usare quei margini di deficit, rimanendo saldamente sotto il 3% e confermando il ribasso del debito (per la prima volta dal 2007), significherà poter dare al Paese la spinta necessaria per crescere dall'interno. Gli interventi necessari allo scopo saranno evidenti nella Legge di stabilità, ma lo scheletro è già definito: taglio delle tasse sulla casa (anche per gli inquilini), disinnesco delle clausole di salvaguardia, misure per il Sud con un occhio agli investimenti pubblici, probabile replica degli incentivi alle ristrutturazioni, rinnovo - obbligato - del contratto degli statali, probabile piano anti-povertà e definizione di una graduale diminuzione della pressione fiscale sulle aziende. Il primo punto resta ancora quello più delicato. Il taglio delle tasse sulla prima casa si riverserà infatti tutto sui Comuni. Ieri l'Anci ha chiarito che pretende dalle casse dello Stato una compensazione pari a 5 miliardi di euro. Somme che serviranno a prendere il posto del gettito garantito dall'imposizione sulla prima casa. Per quanto concerne l'impianto complessivo della manovra di finanza pubblica restano comunque da trovare circa 23-25 miliardi.

Nella mattinata riprenderà al Senato il dibattito sul disegno di legge di revisione costituzionale. Il clima a Palazzo Madama non è dei più sereni. Anche ieri si sono rincorse per tutta la giornata accuse e rivendicazioni tra il Senato e la presidenza del Consiglio. E, secondo alcune fonti vicine a Renzi, ci sarebbe un piano-B per proporre l'abolizione della Camera alta se Pietro Grasso dovesse considerare emendabile l'articolo 2 del ddl Boschi. Mossa che si andrebbe comunque a scontrare contro il milione di emendamenti che il leghista Roberto Calderoli minaccia di presentare in Aula, proposte di modifica che si andrebbero a sommare a quelle già in programma tra i banchi di Forza Italia e Sel. Nonostante le difficoltà, Matteo Renzi è convinto di poter incassare un successo pieno al Senato. I “sì” al ddl governativo dovrebbero essere tra i 159 e i 165. Numeri che potrebbero essere più che sufficienti soprattutto se – come si inizia a vociferare – qualche esponente della sinistra Dem dovesse preferire l'assenza tattica al voto negativo in sede di scrutinio finale. Le prossime ore e i prossimi giorni serviranno a intensificare i rapporti dei pontieri renziani con le varie anime delle opposizioni. Intanto i tre senatori “tosiani” di Fare hanno smentito di voler andare in soccorso di Renzi.



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