L'assemblea del Senato non si riunirà. La commissione Affari costituzionali svolgerà una serie di audizioni connesse all’esame di alcuni ddl sulla regolamentazione dell'attività di rappresentanza di interessi. Per tutta la giornata le commissioni Industria e Ambiente porteranno avanti l'esame del disegno di legge di conversione del dl sull'Ilva. Gli emendamenti del governo saranno affrontati oggi durante un importante vertice a Palazzo Chigi. Riunione alla quale parteciperanno il presidente del Consiglio, il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, i vertici di Cassa depositi e prestiti e Fsi, i commissari straordinari, il consigliere economico della presidenza del Consiglio Andrea Guerra. I vertici Cdp, il presidente Franco Bassanini, l'amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini e l'amministratore delegato del Fondo Strategico Italiano Maurizio Tamagnini, affronteranno il nodo del passaggio dei fondi Fintecna – circa 150 milioni di euro – alla contabilità ordinaria dell'Ilva Spa in amministrazione straordinaria. Sempre Cdp e Fsi saranno coinvolti nella strategia per la costituzione della società di servizio per la patrimonializzazione e ristrutturazione delle imprese prevista dal DL sull'Investment Compact. In base ai piani dell'esecutivo l'Ilva sarà infatti la prima prova del fuoco del nuovo strumento messo a punto per risanare le imprese in “temporanei squilibri patrimoniali o finanziari”. La società, che dovrebbe operare come una società “a termine”, dovrebbe intervenire nel capitale della Newco. Quest'ultima, come previsto dal decreto, potrebbe acquisire o - più probabilmente - prendere in affitto gli stabilimenti dell'Ilva e in particolare quello di Taranto.

A mezzogiorno il governo si presenterà nell'aula di Montecitorio per rispondere ad alcune interrogazioni. Alle 15 prenderà il via il question time, solitamente svolto nel primo pomeriggio del mercoledì. La commissione Affari costituzionali e la commissione Bilancio porteranno avanti il dibattito sulla conversione del decreto-legge Milleproroghe. Ieri i lavori sono proseguiti a rilento a causa dell'ostruzionismo messo in campo dalle opposizioni, Forza Italia in particolare. Parecchie proteste, nel metodo e nel merito, sono arrivate anche dal Movimento 5 Stelle. Mentre i lavori si sono interrotti anche per le rimostranze della Lega verso il socialista Lello Di Gioia, “colpevole” di non indossare la giacca, abbigliamento considerato “poco rispettoso” dai colleghi. Diatriba che ha impegnato i deputati per una decina di minuti, con gli esponenti del Carroccio che hanno ricordato che “persino Marchionne” per parlare alla Camera, nonostante il regolamento non lo preveda più, ha rinunciato al suo abituale maglioncino blu. Probabilmente i lavori delle due Commissioni si protrarranno nel fine settimana del 14 e 15 febbraio, per riuscire a licenziare il testo in tempo per l'Aula lunedì 16. Il primo semaforo verde di Montecitorio dovrebbe arrivare intorno al 20 febbraio, lasciando così al Senato il mero compito notarile di confermare il testo proveniente da Montecitorio (il decreto va convertito entro il prossimo 1° marzo). Non avrà più luogo la seduta della commissione Lavoro relativa all'espressione dei parere sui due schemi di decreto legislativo attuativi delle deleghe contenute nel “Jobs Act”.

Il Patto del Nazareno si è rotto. Partito democratico e Forza Italia non intendono più collaborare sul fronte delle legge elettorale e della revisione della Costituzione. Il “casus belli” è sempre lo stesso: l'elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. Un voto capace di spaccare i berlusconiani e gli ex azzurri del Nuovo centrodestra. A decretare la fine dell'accordo firmato un anno fa da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi è il comitato ristretto del partito del Cavaliere, convocato in tutta fretta di notte dopo un faccia a faccia tra Fitto e Berlusconi e Verdini. E in cui i vertici azzurri, a cominciare da Renato Brunetta, sono arrivati a rassegnare le dimissioni, poi respinte dal Cavaliere. “Il patto del Nazareno così come lo avevamo interpretato fino ad oggi, noi lo riteniamo rotto” annuncia a fine riunione il consigliere politico del Cavaliere, Giovanni Toti, spiegando che Forza Italia non si sente “più impegnata a seguire il governo sul cammino delle riforme”. “L'accordo era: sulle istituzioni si sceglie insieme, e dunque anche sul capo dello Stato”. Un punto di svolta politico molto rilevante che non sembra preoccupare i dirigenti del Pd, che sono apparsi quasi sollevati dalle parole arrivate dal centrodestra. Renzi si dice convinto di portare a casa le riforme anche in solitaria. Per farlo dovrà riuscire a trovare una maggioranza alternativa in Senato. I voti del Nuovo centrodestra restano fondamentali per la tenuta del governo.



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