Il Governo ha inviato alle Camere la Nota di aggiornamento al Def
L'Italia deve crescere “più rapidamente del resto d'Europa e recuperare il terreno perso negli ultimi vent'anni”, un obiettivo che il Ministro dell'economia Giovanni Tria ha definito “ambizioso ma realistico" al punto che i paletti fissati ieri dal Governo nella nota di aggiornamento al Def potrebbero addirittura, assicura, essere superati. E così, nonostante le stime del Pil per quest'anno vengano riviste al ribasso, quelle del prossimo triennio sono confermate rispettivamente all'1,5% per il 2019, l'1,6 per il 2020 e 1,4% nel 2021. Confermate anche alcune delle promesse gialloverdi, dal reddito di cittadinanza alla riforma della Fornero per un totale di 21,5 miliardi d’impegni il prossimo anno.
La coperta delle risorse è però corta e quindi l'esecutivo riuscirà a sterilizzare solo in parte l'aumento dell'Iva: non salirà nel 2019 mentre s’innalzerà parzialmente nel biennio successivo. A una settimana esatta dal Consiglio dei ministri che ha approvato la Nadef, il documento è stato pubblicato e trasmesso alle Camere che la prossima settimana dovranno ingaggiare una corsa contro il tempo per riuscire a esaminarlo e approvarlo entro la scadenza fissata, al momento, per mercoledì 10 ottobre; le misure viaggeranno su un doppio binario, sfruttando anche i cosiddetti disegni di legge collegati.
Dopo la guerra di cifre che si è consumata nelle ultime ore fra gli alleati di Governo, viene confermata la dote di nove miliardi per reddito e pensioni di cittadinanza e sette per la quota cento, cui vanno aggiunti un miliardo per i centri per impiego, due per la flat tax, un miliardo per le forze dell'ordine e un miliardo e messo per i truffati delle banche. Vengono ipotizzati anche incentivi per aumentare le auto elettriche e ridurre le diesel e a benzina. Con gli interventi previsti in manovra il Governo spingerà la crescita di 0,6 punti percentuali nel 2019, di 0,5 nel 2020 e di 0,3 nel 2021.
Tornando al quadro macro, il Def mostra come a peggiorare sia il deficit strutturale, cioè la misura su cui l'Ue valuta i miglioramenti dei conti pubblici dei Paesi: questo numero peggiorerà il prossimo anno di 0,8 punti percentuali passando dallo 0,9% di quest'anno all'1,7% per poi rimanere stabile su questo livello anche nel 2020 e nel 2021. Rinviato poi il pareggio di bilancio strutturale, previsto in precedenza nel 2020, a quando la crescita e la disoccupazione saranno tornati ai livelli pre-crisi. Il Governo per contro prevede una progressiva discesa del debito pubblico che passa dal 131,2% del 2017 al 126,7% del 2021, attestandosi al 130,9% di quest'anno. L’esecutivo non esclude la possibilità di una riduzione più accentuata qualora si realizzi una maggior crescita.
In vista della manovra Draghi è salito da Mattarella
Nei giorni scorsi Mario Draghi è salito al Colle per un incontro riservato con Sergio Mattarella. I due si consultano il più delle volte al telefono, ma con l’innalzarsi dello spread e il Governo di Giuseppe Conte sotto pressione hanno preferito incontrarsi personalmente. Lo rivela La Stampa secondo la quale il Presidente della Banca centrale europea avrebbe voluto rappresentare di persona i rischi cui andrebbe incontro l'Italia nel caso in cui i mercati iniziassero ad accanirsi contro i titoli pubblici.
Secondo la ricostruzione del quotidiano, Draghi avrebbe ribadito al Presidente che nel Governo italiano ci sia una forte sottovalutazione del contesto in cui si sta scrivendo la prossima legge di bilancio, anche perché la scommessa dell'ala più radicale della maggioranza gialloverde sbaglia bersaglio: più che l'atteggiamento delle istituzioni Ue, l'Italia deve temere il declassamento da parte delle agenzie di rating che potrebbe arrivare a fine ottobre e provocare danni incalcolabili, moltiplicando la sfiducia sui mercati.
Senza contare che con lo stop al quantitative easing gli strumenti a disposizione di Draghi sono terminati: dal primo gennaio l'Italia sarà senza una rete che possa attenuare la caduta. In caso di difficoltà avrebbe come unico salvagente il ricorso al cosiddetto Omt, lo strumento di sostegno finanziario che costringerebbe Roma a un programma concordato con la Commissione europea e il Fondo salva-Stati.
Mattarella ha firmato il decreto sicurezza con alcune condizioni
Ieri Sergio Mattarella ha firmato il decreto sicurezza, ma è evidente che la lunga interlocuzione tra Governo e Capo dello Stato, e le rifiniture apportate non sono sufficienti. Il via libera del Presidente della Repubblica per la trasmissione alle Camere e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale infatti sono stati accompagnati da una lettera che l'inquilino del Colle ha inviato al premier Giuseppe Conte: un altolà secco e preciso, a 10 giorni dal varo del Consiglio dei ministri, che richiama ai principi Costituzionali e ai trattati internazionali cui il decreto dovrebbe rifarsi.
“Avverto l'obbligo di sottolineare, ha scritto il Presidente, che, in materia, come affermato nella Relazione di accompagnamento al decreto, restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo”. Mattarella ha evidenziato la norma che potrebbe tradire la salvaguardia dei migranti con riferimento alla presunzione d’innocenza. Un appunto quindi rivolto non solo al Governo, ma anche a chi, come i magistrati, dovrà attuare la legge, trovandosi a dover applicare norme al limite dei principi dalla Costituzione.
Matteo Salvini esulta: “La settimana prossima il Parlamento incomincerà a votare. Dopo tante polemiche, dopo che i giornali, soprattutto quelli di sinistra. Ciapa lì e porta a ca', se dise a Milàn”. Il Ministro dell'interno ha risposto alla lettera del capo dello Stato: “Ho detto al Presidente che rispettiamo la Costituzione ma non vogliamo passare per fessi". Comunque sia, ora la parola passa al Parlamento: il Senato sarà chiamato a esaminare il testo con l'obiettivo di portarlo in Aula a partire dal 16 ottobre prossimo.
Crollo ponte Morandi: il commissario sarà il Sindaco di Genova Bucci
A 50 giorni dal crollo del Ponte Morandi e a quasi una settimana dall'entrata in vigore del Decreto Genova è arrivata la fumata bianca sul nome di Marco Bucci, sindaco della città, nominato Commissario per la ricostruzione. Dopo una girandola di nomi che aveva bruciato negli ultimi giorni figure eccellenti della società genovese, giovedì pomeriggio il premier Giuseppe Conte ha firmato l'atteso decreto di nomina. A svelare per primo il nome di Bucci è stato in mattinata il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Si rafforza così un tandem, quello tra il governatore ligure e il primo cittadino di Genova, che nella prima fase dell'emergenza ha dimostrato un solido affiatamento. In capo alla Regione rimarrà il Commissariato per l'emergenza e il “Sindaco Bucci potrà concentrarsi sulla ricostruzione", ha sottolineato Toti; “Ciò consentirà di dare piena continuità al lavoro già iniziato che ha permesso la riapertura delle linee ferroviarie merci e passeggeri sotto il ponte Morandi con il ripristino del collegamento con le banchine del porto”.
Matteo Richetti si candida alla segreteria del PD
L'annuncio di Matteo Richetti della propria candidatura al congresso Pd, rende a questo punto certo lo svolgimento delle primarie per la scelta del prossimo segretario: la presenza di almeno due contendenti indebolisce infatti in maniera forse definitiva la posizione di chi fino a ieri proponeva di far slittare il voto a dopo le Europee. Richetti aveva lanciato la propria candidatura sin da giugno in un incontro a Roma, cui erano seguiti altri meeting a livello locale in diverse Regioni. È tra gli amministratori locali, infatti, che il “diversamente renziano” Richetti sta costruendo la base elettorale. Dopo un lungo silenzio, che alcuni hanno interpretato come una rinuncia, Richetti ha confermato in un’intervista al Corriere della Sera e in serata da Lilli Gruber.
“In molti, dopo l'annuncio della mia candidatura mi hanno chiesto se fossi matto. La vera follia è starsene con le mani in mano mentre questo Paese è governato da Salvini e Di Maio. Sì, perché con M5S non vedo elementi di compatibilità, su come intendono istituzioni, la democrazia”. Il giudizio lo avvicina a Matteo Renzi, così come la prospettiva europea: “Il mio PD tiene insieme Corbyn e Macron; in Europa è necessario visto che Salvini sta con Orban”. Ma Richetti non vuole essere il candidato renziano: “Deciderà Renzi se appoggiarmi o no. Abbiamo lavorato insieme, ma da dirigente del PD non ho mai evitato di criticare le mancanze del mio partito".