Draghi riparte dall’agenda di Governo: priorità a Pnrr e Covid

Il premier Mario Draghi non è intenzionato a perdere tempo e decide di convocare un Consiglio dei Ministri per voltare pagina dopo la difficile partita del Quirinale; lo fa mostrandosi tranquillo e mettendo subito l'accento sul capitolo più corposo ma anche meno divisivo: i 24,1 miliardi di fondi del Pnrr da ottenere nel primo semestre di quest'anno raggiungendo i 45 obiettivi prefissati. Tra i suoi Ministri le scorie della battaglia politica sul Colle si avvertono; ad esempio, Giancarlo Giorgetti, che si è detto tentato dalle dimissioni, viene descritto scuro in volto e usa toni gravi. Draghi in apertura di Cdm ringrazia il capo dello Stato Sergio Mattarella per aver accettato il bis e si pone nel suo solco, indicando “la lotta alla pandemia e la ripresa economica e sociale” come priorità del presidente della Repubblica e del Governo. Al tavolo del Consiglio il premier rivede i suoi Ministri, alcuni dei quali hanno lavorato contro la sua elezione al Quirinale, ma stringe la mano a ognuno di loro e non fa nessun cenno alla vicenda, se non per citare il finale gradito. Alla fine, viene visto allontanarsi con Dario Franceschini, con cui si ferma a parlare prima di riunire Patrizio Bianchi e Roberto Speranza per discutere le nuove regole sulla quarantena a scuola che saranno domani in Cdm. 

Apre la riunione del Consiglio, di appena mezz'ora, con un breve intervento. Parte dai risultati ottenuti, dal Pil che sale 6,5% nel 2021 e una copertura vaccinale arrivata al 91% di prime dosi, poi chiede ai Ministri di consegnare entro domani un report sull'attuazione degli investimenti e delle riforme di loro competenza e di indicare se servono norme o correttivi. La pressione è altissima in particolare su tre ministeri tecnici: InfrastruttureTransizione ecologicaTransizione digitale. Entro giugno si dovranno realizzare 45 obiettivi e poi, in tutto, entro giugno 2023 ben 127 target, per 64,3 miliardi. 

Tra le riforme previste ci sono anche temi ad alta tensione politica come il Csm, rinviato a dopo la partita del Colle. Domani in Cdm si farà l'agenda dei prossimi sei mesi. I partiti già chiedono, lo fa il M5S ma anche il Pd, un nuovo scostamento di bilancio per intervenire contro il caro bollette. Il dossier è aperto, spiegano dal Governo, ma con cautela: far nuovo deficit è considerato probabile ma è difficile che si arrivi ai 30 miliardi chiesti da Matteo Salvini. Il leader della Lega, così come Giuseppe Conte, ha chiesto al premier un incontro: non è in agenda, ma probabilmente si farà. 

Il Governo lavora per terminare lo stato di emergenza il 31 marzo

Nel Cdm di ieri il Governo ha rinnovato le misure anti Covid in scadenza ma ha scelto una linea soft, dando un primo segnale del cambio di passo che ci sarà nelle prossime settimane con un graduale allentamento delle restrizioni e un ritorno alla normalità, a partire da domani quando si metterà mano agli interventi per semplificare le norme sulla scuola. La proroga delle misure è contenuta in un'ordinanza del Ministro della Salute Roberto Speranza che avrà poi la necessaria copertura normativa di un decreto legge che dovrebbe arrivare al termine del Cdm di domani e che potrebbe contenere non solo le misure sulla scuola ma anche interventi come la distinzione tra i ricoverati per covid e con covid, il sistema dei colori e la durata del green pass. 

Dunque, per altri dieci giorni rimarrà l’obbligo di mascherina all’aperto anche nelle zone bianche. La scelta del Governo ha sostanzialmente l'obiettivo di prendere tempo e vedere l'andamento della curva dei contagi, che da giorni mostra una tendenza a calare ma non si è ancora stabilizzata: se i dati si consolideranno, i divieti non verranno prorogati. Il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri conferma la linea, spingendosi oltre: “Credo che il 31 marzo lo stato d'emergenza non sarà prorogato e per la fine del mese avremo abbandonato tante di quelle restrizioni che oggi abbiamo” sottolinea ipotizzando anche un “ripensamento” del pass. Certo, per il momento, c’è che nel Consiglio dei ministri di mercoledì ci sarà un’ulteriore rimodulazione delle regole che da mesi condizionano la vita degli italiani, a partire da quelle nella scuola. Poi ci sarà l'estensione della durata del green pass poiché chi ha fatto il booster a settembre si vedrà scadere il certificato a marzo senza poterlo rinnovare. Quanto alla richiesta delle Regioni di eliminare il sistema dei colori, l'esecutivo ha aperto alla possibilità di modifica ma non alla cancellazione: resterà la zona rossa e la discussione tra i tecnici è se le restrizioni debbano valere per tutti o solo per chi non ha la completa copertura vaccinale. 

In Parlamento

La seduta comune per il giuramento e il messaggio del Presidente della Repubblica si terrà giovedì 3 febbraio alle 15.30. Per quanto riguarda i lavori, le aule di Camera e Senato sono convocate a domicilio. Anche le rispettive Commissioni al momento non si riuniranno ad eccezione delle Affari Costituzionali Bilancio della Camera che oggi esamineranno il decreto sulle disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, il cosiddetto proroga termini.

Salvini lancia federazione del centrodestra. E va da Berlusconi. Meloni critica

Matteo Salvini, dopo la disastrosa prova per l’elezione del Capo dello Stato, tenta di uscire dall’angolo e rilancia la federazione del centrodestra, proposta rivolta innanzitutto ai partiti di governo ed in particolare Lega e Fi. Il segretario della Lega scrive una lettera al Giornale per illustrare il progetto. E poi in serata piazza un colpo: la visita da Silvio Berlusconi appena dimesso dal San Raffaele, al termine del quale fonti sia leghiste che azzurre sottolineano la vicinanza “umana e politica” tra i due e il fatto che la federazione sul modello dei Repubblicani Usa fosse un'idea che Berlusconi “aveva lanciato tempo fa”. Ma Giorgia Meloni guarda ancora ai giorni scorsi: la scelta di Salvini è “folle”, e dopo quanto successo “non intendo fare buon viso a cattivo gioco”, dice in serata, minacciando addirittura: “Insieme alle elezioni? Oggi oggettivamente ho delle difficoltà. Voglio chiedere chiarezza, perché se si sta nel centrodestra si deve fare il centrodestra e non ogni volta scegliere il centrosinistra”. 

La giornata si era aperta con la lettera al Giornale, in cui il segretario leghista scrive: “Ci troviamo a un bivio: vivacchiare può significare morire, decidersi per un cambiamento e federarsi è un rischio, ma anche un'opportunità. È l'occasione per cambiare il centrodestra e, con esso, trasformare, finalmente e in modo sostanziale, anche l'Italia. Ora o mai più”. Nello schieramento del centrodestra “non basta sommare le nostre forze ma è necessario che si cominci a ragionare in un'ottica veramente unitaria. È giunto il momento di federarci. Solo un nuovo contenitore politico delle forze di centrodestra, a cominciare da quelle che appoggiano il governo Draghi, può agire in modo incisivo”. Intanto Forza Italia lavora al consolidamento del centro della coalizione con l'Udc: dunque nessuna “Opa” della Lega sugli azzurri, chiariscono fonti parlamentari, ma un ragionamento che potrà svilupparsi con “pari dignità” tra le gambe della possibile federazione. 

Scontro totale nel M5S, attacco a Di Maio sui social

In attesa del “chiarimento politico” sulla gestione delle trattative per il Colle lo scontro tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte si fa di ora in ora più intenso. La battaglia oggi è sui social: il Ministro degli Esteri viene colpito da un attacco via Twitter con l'hashtag #DiMaioOut, subito tacciato dai suoi fedelissimi come una campagna fake, orchestrata dagli avversari interni per screditarlo. Il caso “tweet bombing” (si tratta di cinguettii gestiti da profili fake), infiamma la battaglia tra l'ala contiana e l'ala dimaiana del Movimento, e alimenta i sospetti incrociati tra le due anime dei 5S. 

Apre la batteria d’interventi a difesa di Di Maio Sergio Battelli, che stigmatizza la tattica delle “picconate social”. Seguono poi i sottosegretari Dalila Nesci e Manlio Di Stefano, il questore della Camera Francesco D'Uva. Battelli, a sostenere la lettura dell'attacco pianificato, cita anche l'analisi di un esperto, Pietro Raffa, che nota come questo hashtag diventato tendenza su Twitter sia stato usato da “solo 289 profili”, che “i primi 10 account per numero di tweet sono fake” e che in “125 twittano dall'America”. Ma tra i contiani circolano invece analisi opposte. Insomma, “nessun tweet-bombing, né bot creati da computer, ma azioni di persone vere, magari mobilitate da un ordine concertato, come spesso accade in rete, specialmente in ambito politico e di militanza”. Rimane il fatto che dentro il movimento è guerra tra i due leader. L’impressione è che la tensione non riguardi solamente l’elezione del Capo dello Stato, ma che sia più profonda e riguardi la stessa direzione politica del Movimento 5 Stelle. C’è chi parla di scissione ma al momento sono ancora in poco a scommetterci. 

Letta riapre il dibattito sulla legge elettorale proporzionale con soglia al 5%

L'elezione del Presidente della Repubblica riapre il dibattito sulla legge elettorale, con lo scongelamento di alcune posizioni che rendevano impraticabile il confronto: il fermo no della Lega e di Fi al proporzionale, perorato invece dal M5S, bloccava qualsiasi discussione, come anche le ripetute dichiarazioni di Letta in favore del maggioritario, che avevano fatto parlare nei mesi scorsi di un asse con Giorgia Meloni. Ora la richiesta di riaprire il dossier fatta dal segretario del Pd e le prime aperture sul proporzionale da parte di Fi e perfino nella Lega permettono almeno di ricominciare il dibattito. Sullo sfondo c’è il Germanicum, cioè un proporzionale ma con una soglia altissima al 5%, che è la bozza accolta come testo base in Commissione affari costituzionali della Camera, ma ferma da mesi. 

Domenica Enrico Letta ha inserito la legge elettorale tra le priorità, con l'obiettivo di superare le liste bloccate. Non ha dunque parlato esplicitamente di superamento della parte maggioritaria contenuta nel Rosatellum (il 36% dei seggi), che spinge a coalizioni definite prima del voto. Ma all'ultima Direzione quasi tutte le correnti (Base riformista, AreaDem, la sinistra di Orlando e i Giovani turchi) hanno sostenuto il proporzionale, e il segretario si è dichiarato pronto al confronto. La trattativa per scegliere l'inquilino per il Colle, in cui Giuseppe Conte si è spesso smarcato dai Dem, spinge molti esponenti del Pd a insistere su un sistema proporzionale in cui Pd e M5S corrano ognuno per conto suo, senza impelagarsi in dispute sui collegi uninominali. Per questo modello anche Leu, come ha spiegato il capogruppo Federico Fornaro, il quale ha ricordato gli altri punti aperti, come il metodo di selezione dei parlamentari (preferenze o collegi?) e soprattutto quello della soglia: il 5% del Germanicum, proprio come nel sistema tedesco, è un freno alla frammentazione e quindi non piace ai piccoli, da Leu a Coraggio Italia, favorevoli a un proporzionale. Questa senza dubbio sarà la questione che più verrà dibattuta visto che, proprio per via della frammentazione, ci sono molte forze politiche sotto l’ipotetica soglia del 5%, da Iv ad Azione e +Europa, da Coraggio Italia a Leu e Verdi.



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