Gualtieri debutta all’Eurogruppo, parte iter della manovra 2020

L'anno scorso fu Giovanni Tria, quest'anno tocca a Roberto Gualtieri. L'Ecofin informale di settembre, che ogni anno riapre le attività dei Ministri economici europei dopo la pausa estiva, avrà un nuovo protagonista: il neo Ministro italiano, che nuovo di Ecofin non è avendo già partecipato a tutte le riunioni degli ultimi cinque anni in qualità di presidente della Commissione Econ del Parlamento Ue. Ma nella sua nuova veste cambieranno sia il suo approccio che quello dei colleghi europei: stavolta dovrà illustrare all'Eurogruppo il programma del nuovo Governo, raccogliendo le prime reazioni. Le premesse sono buone, di certo migliori rispetto allo scorso anno quando Tria mise in allarme i colleghi preannunciando una manovra che avrebbe poi sforato i vincoli. 

Stavolta Gualtieri arriva a Helsinki dopo un colloquio con il presidente del Consiglio a margine del Cdm e preceduto dalle parole già rassicuranti del premier Giuseppe Conte: l'Italia vuole far calare il debito, e attuare il suo programma di Governo restando nei parametri Ue. Vuole aumentare gli investimenti, per rilanciare l'economia e modernizzare il Paese, e su questo chiede la comprensione e l'aiuto dell'Europa, un terreno sul quale la nuova Commissione non può tirarsi indietro, visto che Ursula von derLeyen ha sposato gli stessi obiettivi, tanto che la Presidente ha già affidato al nuovo Commissario agli affari economici Paolo Gentiloni il dossier dello schema di assicurazione contro la disoccupazione. 

A margine delle riunioni di Helsinki, Gualtieri incontrerà il vicepresidente Valdis Dombrovskis, che nella nuova Commissione continuerà a supervisionare i conti pubblici. Con l'ex premier lettone dovrà cominciare a discutere della manovra 2020, quantomeno delle intenzioni sul deficit. La Ue aspetta entro il 15 ottobre la bozza, a cui dovrà dare il via libera entro un mese; l'anno scorso fu rigettata perché sforava vincoli e impegni, ma quest'anno nessuno si aspetta uno scenario simile. 

Conte insiste su sottosegretari: oggi Cdm alle 9.30

Il premier Giuseppe Conte striglia gli alleati e chiede un’accelerata sulla partita dei sottosegretari. Il presidente del Consiglio attendeva per ieri una risposta, con l'auspicio di completare la squadra con il Cdm convocato alle 15.30, ma nulla è accaduto. A margine del vertice sui migranti di oggi, durante un breve colloquio tra Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Dario Franceschini, è stata evidenziata la difficoltà di procedere in fretta, contrariamente a quanto chiesto dallo stesso Premier da Bruxelles, e tutto è stato rinviato alla prossima settimana. La prospettiva è inaccettabile per Conte: la mancanza dei sottosegretari produrrebbe uno stallo, sia in Parlamento sia nell'esecutivo, in un momento in cui si deve andare veloci ed essere presenti. 

Da qui il pressing del premier su Di Maio e Franceschini, al termine della riunione del Cdm, per mettersi a lavoro e sciogliere i nodi, andando anche in notturna, e portare la lista dei nomi entro oggi alle 9.30 per una nuova riunione del Consiglio, prima che Conte parta per la sua visita nelle zone terremotate. Il progetto sarebbe quello di chiudere sulla squadra e poi procedere con il giuramento appena possibile, cercando di incastrare il tutto nella fitta agenda del week-end (sabato Conte sarà a Bari per la Fiera del Levante). Alla deadline entrambi i capodelegazione avrebbero risposto positivamente; le quote restano quelle stabilite: 42 sottosegretari (20 al M5S, 18 alPD e 2 a LeU). 

Le grane restano l'editoria e i servizi segreti, i cui destini sembrano viaggiare di pari passo. Conte ha già annunciato di voler tenere per sé la responsabilità degli 007, mentre Di Maio, con cui al momento non ha dei rapporti buonissimi, vorrebbe piazzarci uno dei suoi. Le pressioni sarebbero per Vito Crimi, che lascerebbe così vacante il posto all'editoria, dove sarebbe tornato in pole Walter Verini e conseguentemente sarebbero scese le quotazioni di Andrea Martella (entrambi del PD). 

Nella squadra M5S sembrerebbero quasi certi Vittorio Ferraresi (Giustizia), Manlio Di Stefano (Esteri), Giancarlo Cancelleri (Mise), Claudio Cominardi o Davide Tripiedi (Lavoro), Stefano Buffagni e Laura Castelli (Economia), Mauro Coltorti (Mit), Giorgio Trizzino (Salute), Carlo Sibilia (Interno), Francesco D'Uva (Cultura), Angelo Tofalo (Difesa), Emilio carelli (Editoria o Mise). In quota Partito Democratico si fanno avanti Anna Ascani (Istruzione), Luigi Marattin (Economia), Emanuele Fiano (Interno), Simona Malpezzi (Istruzione), Salvatore Margiotta, Mario Cociancich e Dario Stefano. Al Nazareno in aggiunta si parla di Antonio Misiani (Economia), Giampaolo Manzella (Mise), Lia Quartapelle e Marina Sereni (Esteri), Roberto Morassut e Debora Serracchiani. A LeU potrebbero andare, invece, due poltrone, a Michela Rostan e Rossella Muroni. 

Franceschini propone un’alleanza alle regionali. M5S chiude: non se ne parla

Il PD ci prova, ma il M5S risponde picche: oltre il Governo non si va. Dopo l'accordo per il Conte bis, Dario Franceschini prova l'en plein lanciando sul tavolo la proposta di correre insieme alle elezioni regionali: “Se lavoreremo bene, potremo presentarci insieme. È difficile, ma dobbiamo provarci. Per battere questa destra, ne vale la pena”. Stavolta, però, va male al ministro dei Beni culturali, nonostante l'appoggio immediato del segretario Nicola Zingaretti. La chiusura del Movimento è netta e non rivedibile: “Il tema non è all’ordine del giorno”, fanno sapere dalla stanza dei bottoni penta stellata, ribadendo che “non c’è in ballo alcuna possibile alleanza con il Partito democratico in vista delle prossime elezioni Regionali”.

Per Luigi Di Maio e i suoi “le priorità sono altre, come i provvedimenti da realizzare in tempi celeri a favore dei cittadini, non certo le dinamiche interne tra forze politiche che non interessano agli italiani e non servono a far crescere il Paese”. In poche parole, il PD sbrighi i suoi problemi da solo. Il capo politico si concentra soprattutto sul taglio dei parlamentari e l’abbassamento delle tasse, tutto il resto non interessa. Dal silenzio pentastellato riemerge intanto Alessandro Di Battista, ma non per rallegrare l'ambiente: “Speriamo bene, non è un segreto di Stato che sia scettico, conosco il Partito democratico”. 

La proposta di Franceschini ha provocato qualche polemica interna anche nel PD. Lo dimostra la presa di posizione di Matteo Orfini, che dice apertamente di non condividere la proposta di Franceschini perché “sarebbe un grave errore di prospettiva”. Meglio rivitalizzare il partito, anche se le grane in casa PD non mancano di certo. È freschissima la ferita dell'addio di Carlo Calenda, seguito a ruota da Matteo Richetti, peraltro con una coda polemica su un presunto ammanco di circa 150mila euro di quote non versate alla struttura emiliana del PD. 



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