Draghi, Macron e Scholz hanno incontrato Zelensky: vogliamo Kiev nell’Ue
Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Scholz sono arrivati a Kiev alle 9.30, dopo oltre 10 ore di viaggio in treno. I rispettivi aerei di Stato li hanno lasciati al Rzeszov international airport, in Polonia; da lì tre lunghi cortei, a sirene spiegate, hanno attraversato la campagna polacca fino alla stazione di Medyka, al confine con l'Ucraina, dove hanno proseguito il viaggio. Il premier italiano, il presidente francese e il cancelliere tedesco si ritrovano in una carrozza di testa per un incontro notturno che va avanti per circa due ore. Arrivati in Ucraina i tre visitano la devastazione di Irpin. “Il mondo sta dalla vostra parte”, assicura Mario Draghi alle autorità locali, “Molto di ciò che mi hanno detto riguarda la ricostruzione. Parole di dolore ma anche di speranza e di ciò che vorranno fare in futuro. Ricostruiremo tutto”, è l'impegno. Nel pomeriggio, mentre su Twitter Dmitry Medvedev li deride riferendosi a loro come “mangia rane, salsicce di fegato e spaghetti”, i grandi d'Europa hanno incontrato Volodymyr Zelensky: “Oggi è una giornata storica per l'Europa. Siamo venuti per offrire il nostro sostegno incondizionato al Presidente Zelensky e al popolo ucraino. Un popolo che si è fatto esercito per respingere l'aggressione della Russia, per vivere in libertà”. Mario Draghi ha ribadito che “L'Italia vuole l'Ucraina nell'Unione europea. E vuole che l'Ucraina abbia lo status di candidato e sosterrà questa posizione nel prossimo Consiglio europeo”. Lo stesso faranno anche Macron e Scholz.
A Bruxelles la decisione dovrà essere presa all'unanimità ricorda Draghi “e ci sono tanti Paesi con opinioni diverse, vedremo. Non siamo in condizione di promettere che questo sarà l'esito, abbiamo detto a Zelensky che questa sarà la nostra posizione e credetemi non è poco”. Le diplomazie sono al lavoro, e anche se dall'Olanda e dalle cancellerie del nord non arrivano segnali troppo incoraggianti. Draghi resta in campo anche per quel che riguarda il tentativo di evitare una catastrofe alimentare: “Dobbiamo sbloccare i milioni di tonnellate di grano che sono bloccati nei porti del Mar Nero. Ho appreso che ci sono due settimane per sminare i porti, il raccolto arriverà alla fine di settembre, ci sono una serie di scadenze che diventano sempre più urgenti”. Per il presidente del Consiglio la strada da percorrere resta quella di una risoluzione Onu, ma dopo il primo no di Mosca l'impasse resta. L'ex numero uno della Bce non vede ancora spiragli di pace: “La condizione che l'Ucraina pone è l'integrità territoriale, questa è la premessa”. E se tanto Scholz quanto Macron assicurano a Zelensky l'invio di altro materiale militare, Draghi resta più cauto ed ha poi attaccato la Russia sulla riduzione delle forniture di gas: non verosimile si tratti di tagli tecnici dovuti all'impossibilità di manutenzione a causa delle sanzioni, “La Russia fa un uso politico del gas, come del grano”.
L’intervento della Bce anti spread scatena il ritorno dei falchi contro l’Italia
Ai primi segnali di rischio per la tenuta della zona euro l'Italia torna preda dei falchi del Nord Europa. La decisione annunciata dalla Bce di procedere con un nuovo strumento anti-frammentazione riaccende le tensioni in Ue, con il divario tra rigoristi e colombe che si allarga come gli spread tra titoli di Stato. Da Kiev il premier Mario Draghi, forte dei suoi otto anni alla guida dell'Eurotower, ha puntualizzato che “una reazione in termini di tassi d’interesse è inevitabile”. Ma il primo ad attaccare Roma, in vista del faccia a faccia con Christine Lagarde a Lussemburgo, è stato il ministro delle Finanze austriaco Magnus Brunner secondo cui l'andamento degli spread preoccupa molto Vienna e l'Italia deve “rimettere in ordine” i suoi conti pubblici, anche perché, ha sottolineato, “le regole devono essere uguali per tutti”. A dare man forte a Vienna è arrivata poi Berlino con il falco Christian Lindner che, pur predicando la calma sul differenziale tra Bund e Btp, ha sottolineato come non vada “mai messo in dubbio che ogni Paese Ue ha la responsabilità delle proprie finanze pubbliche e del proprio settore finanziario privato”. Si tratta di un messaggio riferito sì al progetto futuro dell'Unione bancaria, ancora in alto mare, ma che lascia poco spazio alle interpretazioni sul debito italiano, il secondo più alto dell'Eurozona dopo quello greco.
Il rischio di frammentazione nell'area euro evidenziato dal rialzo degli spread rappresenta per Christine Lagarde “una minaccia seria” al mandato “della stabilità dei prezzi” di Francoforte. La francese ha cercato di placare i dubbi dei Ministri più rigoristi in un colloquio di oltre due ore illustrando le motivazioni che hanno portato al meeting d'emergenza per annunciare misure contro lo spread, una presentazione per dire a tutti che “dubitare” dell'impegno di Francoforte “sarebbe un grave errore”. Così come lo sarebbe, ha ammonito il Commissario europeo per l'Economia Paolo Gentiloni, anche “credere che la politica monetaria da sola possa affrontare questa situazione” e salvare l'Europa dalle “acque turbolenti”. Quello che serve sono, invece, “politiche di bilancio concentrate su riforme e investimenti” e “prudenti, specie per i Paesi ad alto debito”, ha osservato l'ex premier italiano. Per Gentiloni, la tenuta dell'Eurozona passa da “una forte dimostrazione di unità”, una delle lezioni apprese durante il Covid. E allora la discussione sul remake del Sure o del Next Generation Eu per fare fronte tutti insieme al caro energia è “legittima”, anche se “non ancora matura”. Ciò che conta, affinché l'emissione di nuovo debito comune abbia speranze di riuscita, è implementare “nel modo e nei tempi giusti” il Pnrr.
Di Maio lancia l’offensiva contro Conte: “Basta attacchi al governo”
La parola scissione non la pronuncia ancora nessuno ma dentro il M5S è partito l'attacco alla leadership di Giuseppe Conte. L'ex capo politico e ora Ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha atteso i risultati delle amministrative, ha pesato la risposta del Presidente del M5S e, prima che si aprisse una nuova frattura interna nei 5 stelle sulla risoluzione sul Consiglio europeo della settimana prossima, è partito con il suo altolà alle “ambiguità” del Movimento: “Non credo che possiamo stare nel Governo e poi, per imitare Salvini, un giorno sì e uno no, lo si va ad attaccare” dice il Ministro rivendicando allo stesso tempo le ragioni del collocamento euroatlantico dell'Italia: “Non credo siano opportune decisioni che disallineino l'Italia dalle proprie alleanze storiche. L'Italia non è un Paese neutrale”. Ma non è solo sulla posizione della maggioranza del M5S che Di Maio ha da ridire: dopo aver assistito per mesi in silenzio, è sceso in campo anche per criticare la gestione del Movimento e il risultato del voto che “non è mai andato così male” come sotto la guida di Conte; “Credo che il M5S debba fare un grande sforzo nella direzione della democrazia interna” attacca Di Maio dallo stesso luogo, in piazza del Parlamento, in cui, lo scorso gennaio, appena rieletto Sergio Mattarella, si era scagliato contro il “fallimento di alcune leadership” nella gestione della partita quirinalizia. Il tenore della sfida è lo stesso: “Parlo qui perché non esiste un altro posto dove poterlo dire”.
La replica di Giuseppe Conte non si fa attendere: “Quando era leader Luigi Di Maio come organismo del M5S c'era solo il capo politico: che ci faccia lezioni lui oggi fa sorridere”. Poi rivendica l'assunzione di “responsabilità” sul risultato delle comunali e definisce una “stupidaggine” il riferimento sull'anti-atlantismo del M5S sostenuto da Di Maio. Ma soprattutto Conte punta l'indice sulla questione del doppio mandato: “Fibrillazioni erano prevedibili perché ci sono in campo questioni che riguardano le sorti personali di tanti nel M5S” allude l'ex premier che invita Di Maio a chiarire se abbia o meno intenzione di fare un nuovo partito: “Questo ce lo dirà lui in queste ore”. Lo scontro, che si è giocato senza che nessuno dei due contendenti nominasse mai l'avversario, è stato anche una resa dei conti su attacchi personali: “La diplomazia lavora sette giorni su sette, non lavora solo la domenica” chiarisce Di Maio riferendosi a una vecchia frase di Conte, “Io la campagna elettorale l'ho fatta da nord a sud e non soltanto in due Comuni” rintuzza l'ex premier riferendosi al ministro. Che a sua volta rimprovera Conte di aver “risolto l'analisi del voto facendo risalire i problemi all'elezione del presidente della Repubblica”. E anche se Di Maio prova a chiarire che “non c’è alcun processo interno”, nell’attesa di atti che formalizzino la frattura che ormai non è più possibile ignorare è partita la conta: i parlamentari vicini a Di Maio sono usciti allo scoperto per sostenere la battaglia governista del Ministro e i contiani hanno fatto altrettanto. I prossimi giorni ci diranno che forma prederà lo scontro, quello che però sembra certo che la crisi del M5S da ieri è ancora più profonda.
Pd e M5S si accordano sulle primarie in Sicilia
Pd e M5S hanno dato il via libera alle primarie per la scelta del candidato governatore in Sicilia, trasformando l'isola nel campo di prova dell'alleanza in vista delle elezioni politiche del 2023. L'accordo locale sulla consultazione è arrivato nel pieno del botta e risposta tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. Nello scontro fra i due c’è in ballo il futuro del Movimento, ma anche quello del campo largo, cioè dell'alleanza cui sta lavorando Enrico Letta per unire le forze che vanno da Leu ad Azione e Iv. Si tratterebbe, quindi, di una coalizione più larga di quella che ha detto sì alle primarie siciliane, cui partecipano solo Pd, M5S e Sinistra perché Matteo Renzi e Carlo Calenda non vogliono allearsi con i pentastellati. Se gli equilibri 5 stelle cambiassero, però, nell'area centrista qualche valutazione potrebbe cambiare per ovvie opportunità politiche.
Comunque sia, le primarie siciliane si terranno il 23 luglio per individuare chi guiderà la corsa alle elezioni regionali in programma per autunno. Sarà la prima volta che Pd, M5S e le altre forze della Sinistra sceglieranno un candidato comune. Il passo decisivo c’è stato con l'accordo fra i dirigenti siciliani dei partiti; la coalizione sta definendo una sorta di carta dei valori, poi lavorerà alla stesura del programma: per sabato a Palermo è stata convocata una conferenza stampa per illustrare i dettagli della consultazione. Le candidature potranno essere presentate dal 23 al 30 giugno. Al momento, l'unico concorrente ufficiale è Claudio Fava; nel M5S circolano i nomi del sottosegretario Giancarlo Cancelleri e del deputato regionale Luigi Sunseri, nella rosa dei nomi Pd ci sarebbe quello dell'eurodeputata Caterina Chinnici.
Caos centrodestra a Verona: Sboarina dice no a Tosi. Fi e Lega contro la Meloni
Il sindaco uscente di Verona Federico Sboarina rifiuta l'apparentamento con Flavio Tosi e il centrodestra va nel caos, tra accuse e veleni che arrivano anche a Roma. La mossa ha esacerbato il clima già pesante all'interno della coalizione, con Lega e Forza Italia irritatissimi con Giorgia Meloni, accusata, prima, di aver imposto agli alleati un suo uomo, malgrado il dissenso del resto dell'alleanza, e ora, dopo che è arrivato secondo, di non essere stata in grado di convincere un suo sindaco uscente ad agire per il bene dell'alleanza, rischiando seriamente di regalare la città agli avversari. E dire che la leader di Fratelli d'Italia ha fatto di tutto per convincere il primo cittadino scaligero a trovare un accordo. Poco prima della conferenza stampa in cui Sboarina ha sancito la rottura, FdI aveva diffuso una nota contenente un ultimo accorato appello: “I vertici nazionali del partito hanno dato mandato a tutta la classe dirigente di Fdi veronese e veneta di adoperarsi in ogni modo affinché si determini nella migliore forma possibile la sostanziale unità delle forze politiche di centrodestra”.
Ma come s’è visto, si trattava di parole vane che non hanno scalfito minimamente la determinazione di Sboarina ad andare da solo. Malgrado le fortissime pressioni nazionali, alla fine ha fatto di testa sua, spiegando così: “Sì al contratto con i veronesi. No agli accordi di Palazzo: la nostra è una scelta di coerenza, senz'altro coraggiosa, però rispettosa dell'elettorato”. Altrettanto vigorosa la reazione di Flavio Tosi, da pochi giorni l'uomo forte di Forza Italia in Veneto, che accusa esplicitamente Sboarina e FdI di “aver offerto un pericoloso assist alla sinistra”: “Nonostante gli sforzi profusi con senso di responsabilità da Fi per il dialogo e l’unità del centrodestra, in primis dal Presidente Berlusconi, Sboarina e Fdi hanno deciso di spaccare il centrodestra”.