Draghi incontra Mattarella e richiama i partiti: così non si va avanti
Mario Draghi anticipa il rientro da Bruxelles per un chiarimento con partiti. Il Governo, nella notte tra mercoledì e giovedì, è andato sotto quattro volte alla Camera sul decreto Milleproroghe: un blitz del centrodestra, compatto, ha riportato a 2mila euro il tetto massimo per l'utilizzo del contante, mentre anche grazie ai voti di Pd, Iv, FI e Leu i fondi destinati all’Ex Ilva che per il Governo dovevano servire alla decarbonizzazione dell'impianto tornano a essere destinati alle bonifiche e a chi ha subito danni ambientali e sanitari; dietrofront, poi, sulle graduatorie della scuola e i test sugli animali. Per il premier ce n'è abbastanza: “Così non si va avanti”, avrebbe detto ai suoi fedelissimi, che descrivono il premier parecchio “irritato” per quanto accaduto. La contromossa è quella di chiamare ai partiti alla responsabilità e serrare i ranghi. Prima di tornare a palazzo Chigi e riunire i capidelegazione, allora, Draghi ha fatto una tappa al Quirinale da Sergio Mattarella. I due hanno sempre condiviso e condividono la strategia sul futuro, fatta di priorità e riforme da attuare, per rilanciare la crescita, l'impegno dei partiti, però, è l'osservazione, sta venendo meno.
Il premier “a farsi friggere non ci sta” e lo dice chiaro ai diretti interessati, convocando a palazzo Chigi i capidelegazione. È una cabina di regia tutta politica, nella quale al premier bastano 40 minuti per chiedere un “chiarimento” e “garanzie” sui voti in Parlamento. Dura, viene riferito, in particolare la reazione sulle modifiche relative ai fondi ex Ilva, più che sul tetto al contante. Non si possono affossare o stravolgere in Parlamento i provvedimenti approvati in Consiglio dei ministri, magari all'unanimità, è la linea. “Così non si può andare avanti”, ribadisce. E se Draghi chiede “coerenza” in Aula rispetto all'azione di Governo i partiti gli suggeriscono un “cambio di metodo”, con un maggiore coinvolgimento sui dossier, in modo da evitare “simili incidenti”. Il capo del Governo rivendica di aver a lungo coinvolto i gruppi sulla manovra e sulla giustizia, ma poi distinguo ed eccezioni sono arrivate lo stesso: ultimo il caso delle concessioni balneari, con gli emendamenti di modifica approvati all'unanimità in Consiglio dei ministri e i partiti, a cominciare da Lega e Fi, ad annunciare “profonde modifiche” in Parlamento 10 minuti dopo.
In Cdm arriva il decreto contro il caro bollette e sull’automotive
Oggi è atteso il Consiglio dei ministri con il pacchetto energia. Ieri, mentre Mario Draghi era a Bruxelles impegnato sul vertice informale straordinario sull'Ucraina, Daniele Franco e Roberto Garofoli hanno limano il testo. Il Governo punta ad accelerare su estrazione e stoccaggio del gas made in Italy, ma non solo. L'idea è quella di mettere in campo una deregulation forte su rinnovabili e fotovoltaico, puntando su tegole, pellicole e pannelli di ultima generazione che consentono, da una parte, un maggiore accumulo di energia e dall'altra di avere impatti bassi o nulli sull'aspetto delle città, privilegiando le periferie ma, fatte salve le aree monumentali, intervenendo anche sui centri storici, con una forte spinta sugli edifici pubblici e una liberalizzazione importante che riguarda anche i capannoni industriali. Previsti poi interventi sull'automotive e per calmierare i costi dei bandi pubblici, alle stelle con l'aumento delle materie prime. Il rilancio della ripresa, messa “a rischio” dai rincari dell'energia, insomma, per palazzo Chigi e per il MEF non passa solo dal contrasto all'emergenza sul fronte bollette. Il provvedimento dovrebbe pesare tra i 5 e i 7 miliardi: 5 dovrebbero essere destinati alla riduzione delle bollette per famiglie e imprese, con la proroga dell'azzeramento degli oneri di sistema e del credito d'imposta, e gli altri 2 per la parte del pacchetto energia che mira a puntellare e rilanciare la crescita. Nella riunione del Governo di oggi, poi, tornerà sul tavolo il dossier superbonus: l'ipotesi allo studio per sbloccare l'impasse causata dallo stop alla cessione multipla dei crediti è quella di prevedere un codice per ogni singola cessione, da inviare all'Agenzia delle entrate, in modo da rendere monitorabile e verificabile ogni operazione; l'emissione di una matrice potrebbe portare da uno (come consentito adesso) a tre il passaggio di mano dei crediti. Sul tavolo anche la possibilità che a operare la cessione dei crediti possano essere solo gli intermediatori finanziari, come banche e istituti di credito, ma anche in questo caso le tensioni tra i partiti non mancano.
È già battaglia sui referendum: Salvini lancia l'election day con le amministrative
A poche ore dall’ammissione di 5 dei 6 referendum sulla giustizia da parte della Corte Costituzionale è già partita la campagna elettorale e subito scatta la battaglia sull'election day. A intestarsela è il leader della Lega, seguito da Forza Italia. Matteo Salvini è “ottimista” e chiede che si voti lo stesso giorno, accorpando le elezioni amministrative ai referendum, entro l'estate: “Si possono risparmiare 200 milioni di euro”, è la leva su cui spinge il leghista. Ma nasconde il vero traguardo da centrare: il quorum per far passare i referendum, un miraggio per ora, vista la natura molto tecnica degli argomenti. Tutti temi che si sovrappongono alla riforma del Csm messa a punto dalla ministra Cartabia e ora al vaglio del Parlamento: anche la Lega sa bene che se quelle norme passassero, i referendum diventerebbero carta straccia e così addio traino elettorale. In ogni caso sull'election day la parola spetta al Governo, che però non avrebbe ancora approfondito la questione. Tecnicamente la normativa elettorale prevede l'abbinamento delle politiche e amministrative, ma non di una di queste con i referendari. E un eventuale accorpamento richiederebbe una norma ad hoc. Più facile sarebbe stato per il partito di via Bellerio se, tra i quesiti ammessi, si fosse salvata la responsabilità civile dei magistrati.
Sul tavolo invece restano gli altri 5, compresi quello sulla custodia cautelare e l'abolizione della legge Severino, gli stessi che Fratelli d'Italia non appoggerà. Non li ha sostenuti nemmeno per le firme e Giorgia Meloni lo ribadisce: “Non condividiamo la soluzione a questi quesiti, perché non si può buttare il bambino con l'acqua sporca”, spiega la leader e cita il caso della custodia cautelare che, se abrogata, rischierebbe di lasciare liberi criminali gravi. “E questo diventa un problema”, sentenzia. Ennesima prova, insomma, delle divisioni nel centrodestra. Salvini ignora i no: “Se su due quesiti la pensiamo in maniera diversa, evviva la libertà”, taglia corto. E sottolinea: “Contiamo che nessuno giochi contro”. Anzi, rilancia puntando sulla riscossa della coalizione: “Sarebbe molto bello se il centrodestra ripartisse sulla spinta riformista di questi quesiti e se si ricreasse un centrodestra che guarda avanti”. Immediata la ribattuta della Meloni: “Spero che il centrodestra si possa ricostruire ma gli altri ci dicano a che condizioni ci vogliono stare”. Possibilista, al contrario, è FI, favorevole all'election day e non solo. Per la Ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini, “il centrodestra si deve ritrovare oggi nel sostengo unitario a questi referendum”. Da qui l'auspicio a far nascere “da subito Comitati unitari per il sì”, idea condivisa da Salvini attento però a non farne una battaglia di parte. Non la vedono così nel centrosinistra: la linea è che ora tocca al Parlamento. Va giù pesante la capogruppo dei Dem al Senato, Simona Malpezzi: “Anche Salvini dovrebbe sentirsi protagonista di questo processo riformatore della giustizia, invece di fare propaganda e usare un tema sensibile come questo in modo strumentale”. Le fa eco Mariolina Castellone, presidente dei senatori grillini: “Per il M5S i quesiti referendari non migliorano il sistema giudiziario. In particolare è inopportuno modificare la legge Severino e le misure cautelari”.
La Camera boccia gli emendamenti soppressivi del centrodestra sul fine vita
Sul fine vita la Camera va avanti. Nonostante lo scrutinio segreto chiesto dal gruppo di Fratelli d'Italia, il testo unico sulla morte volontaria medicalmente assistita supera il primo, grande ostacolo del suo iter. Gli emendamenti interamente soppressivi dell'articolo 1, a firma rispettivamente di Alessandro Pagano (Lega) e Pierantonio Zanettin (Forza Italia), che di fatto avrebbe chiuso la partita, non passano in aula, che li respinge con 262 voti contrari rispetto ai 126 favorevoli. “Un segnale positivo che spero venga accolto da quel vasto pezzo di società che si è sentito deluso per la non ammissione del quesito referendario”, commenta a caldo il presidente della commissione Giustizia di Montecitorio Mario Perantoni, che comunque mantiene i piedi ben piantati per terra: “Gli emendamenti soppressivi, i più insidiosi, sono stati respinti dalla maggioranza che sostiene il provvedimento, spero si vada avanti così”. La partita, però, è stata tutt'altro che semplice finora. Nel dibattito che ha preceduto il voto, infatti, i partiti del centrodestra, dalla Lega a Forza Italia e FdI oltre ai centristi di Coraggio Italia, hanno subito espresso la contrarietà al testo, sostenuto, invece, da Pd, Leu e Movimento 5 Stelle, mentre Italia viva ha lasciato libertà di coscienza ai propri parlamentari. “Copre il vuoto normativo che sta generando tante situazioni drammatiche. Il testo consente di recuperare tutte le indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale del 2019”, il pensiero espresso su Twitter dal segretario dem Enrico Letta, con una convinzione forte: “È un dovere legiferare in questo campo”. Resta forte l'eco del dibattito dopo la decisione della Corte costituzionale di dichiarare inammissibile il referendum sull'eutanasia, un colpo per i partiti del fronte progressista, alcuni dei quali comunque poco convinti della efficacia del quesito, come, ad esempio, il Movimento 5 Stelle: Giuseppe Conte martedì scorso, in assemblea congiunta con deputati e senatori del suo partito, aveva infatti spiegato come, a suo modo di vedere, “creava un vuoto legislativo” perché “il consenso poteva essere acquisito senza controllo”. Ecco perché, visto l'esito delle valutazioni della Consulta, ha sottolineato che “Riteniamo che la risposta migliore debba darla il Parlamento”, cosa che accadrà dal prossimo mercoledì 23 febbraio.
La riforma del regolamento della Camera limiterà il trasformismo
L’obiettivo è chiaro: contrastare il trasformismo in Parlamento. La proposta di modifica al regolamento della Camera è stata presentata alla Giunta dai relatori Simone Baldelli (FI) ed Emanuele Fiano (Pd), che puntano a condividere il proprio lavoro con i colleghi del Senato, a loro volta vicini a varare una riforma nella stessa direzione, per avviare la discussione sul testo a inizio marzo. Fra le proposte più significative, vicepresidenti e segretari della Camera che cambiano Gruppo decadono dall'incarico, a meno che si tratti di scioglimento o fusione con altri Gruppi parlamentari; viene inoltre codificata la prassi per cui cessano dalla carica i componenti dell'Ufficio di Presidenza chiamati a far parte del Governo. Le riforme dei regolamenti delle due Camere sono da tempo allo studio così da adeguare le norme di funzionamento agli effetti del taglio dei parlamentari che scatterà a partire dalla prossima legislatura.
Negli ultimi mesi sono arrivati dai partiti diversi input per intervenire sul fenomeno del trasformismo, che in questa legislatura ha fatto registrare oltre 280 cambi di casacca, con un'emorragia in particolare dal gruppo del M5S e una crescita esponenziale del gruppo Misto. In particolare sul Misto incideranno alcune delle novità in esame, come i disincentivi ai gruppi parlamentari che ora aumentano le proprie risorse attirando una manciata di deputati: lo stanziamento finanziario destinato annualmente dalla Camera ai Gruppi verrà ripartito non più solo in base al numero di componenti ma un quarto sarà diviso in misura uguale tra i Gruppi e per la restante parte in misura proporzionale alla loro consistenza numerica a inizio legislatura. Le modifiche tutelano le evoluzioni nei partiti, prevedendo che la ripartizione sarà rideterminata solo in caso di cessazione o nuova costituzione di un gruppo e che quella della quota proporzionale sarà ricalcolata solo se la consistenza di un gruppo cambia di almeno un terzo e, se aumenta, con l'arrivo di almeno altri dieci deputati. Per quanto riguarda il Gruppo misto, in questo calcolo non rientrano i nuovi arrivati non iscritti ad alcuna delle sue componenti. Il presidente della Camera Roberto Fico ha definito questo passaggio “una tappa importante”, chiarendo che si andrà “avanti a passi spediti verso la riforma”. Ora si apre il confronto con i gruppi.