Oggi c’è il Consiglio Europeo ma non saranno prese decisioni sul piano di rilancio
Sarà un Consiglio Europeo senza sorprese e senza decisioni la discussione, in videoconferenza, che i capi di Stato e di governo dei ventisette avranno oggi sul pacchetto da 1.850 miliardi di euro che combina il Piano di rilancio post Covid-19, Next Generation EU da 750 miliardi di euro, e il nuovo Quadro di finanziario pluriennale (Qfp), ovvero il bilancio comunitario 2021-2027, da 1.100 miliardi. È solo una tappa, nel cammino verso un difficile accordo all'unanimità, possibilmente entro luglio, ma è una tappa importante: perché per la prima volta, da quando la Commissione ha presentato il suo pacchetto, il 27 maggio, i leader dell'Ue avranno una discussione collettiva, uno scambio politico, in cui ognuno di loro potrà presentare le posizioni del proprio paese, con le richieste, le critiche o il sostegno al Recovery Plan. Il negoziato vero partirà dalla settimana prossima, quando il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel presenterà un box negoziale e degli orientamenti riguardo al processo da seguire e alla tempistica, e in particolare alla data del vertice Ue di luglio, che dovrà svolgersi, questa volta, con la presenza fisica dei leader. Perché l'esperienza ha mostrato che è molto più difficile arrivare a un compromesso, ottenere l'impegno politico dei capi di Stato e di governo, senza una trattativa faccia a faccia. Ed è anche possibile che ci sia bisogno non di uno, ma di due vertici a luglio.
Quello che è sicuro è che c'è una volontà generale di arrivare all'accordo prima dell'estate, non solo per i tempi strettissimi necessari perché il Piano di rilancio sia efficace, ma anche per evitare di complicare ulteriormente le cose a settembre, quando ci sarà un'altra questione prioritaria da risolvere: il negoziato sulle relazioni future fra l'Ue e il Regno Unito dopo la Brexit, che va risolto entro novembre. Molto importante, alla videoconferenza dei leader, sarà l'intervento in cui la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, spiegherà la logica soggiacente al pacchetto, l'analisi dei bisogni economici, del gap di investimenti, dei danni che la pandemia e il lockdown hanno provocato alle diverse economie degli Stati membri; danni che vanno riparati in fretta, nell'interesse di tutti, per evitare che portino a una frammentazione del mercato unico. Questa logica è stata accettata ormai anche dai quattro paesi cosiddetti frugali (Svezia, Danimarca, Austria e Olanda. E questo è un grande passo avanti verso un possibile compromesso.
Gli elementi su cui ci sono ancora divergenze sono invece: l'ammontare dei finanziamenti e la durata dei vari elementi del Piano di rilancio; la chiave di ripartizione dei fondi e in che misura debbano essere divisi fra prestiti e sovvenzioni; le questioni relative alla condizionalità, ovvero alle condizioni che gli Stati membri dovranno rispettare per poter usare i finanziamenti, e alla governance, cioè la gestione e approvazione dei piani di spesa che i paesi beneficiari presenteranno alla Commissione; le dimensioni e il contenuto del Qfp e dei relativi finanziamenti. Per il momento i nodi rimangono, i “Frugal Four” insieme ad altri paesi, come Belgio e Irlanda, criticano la chiave di distribuzione dei fondi Ue del Piano di rilancio, che privilegia in particolare Italia, Spagna e Grecia, perché fra i parametri presi in considerazione c'è l'alto tasso di disoccupazione negli ultimi cinque anni, considerato come un fattore di debolezza strutturale e di bassa resilienza che potrebbe impedire una rapida ripresa dopo la crisi del Covid-19. Gli olandesi, in particolare, considerano che questo contraddice la logica del Recovery Plan, che dovrebbe riparare solo i danni provocati dalla pandemia e non i problemi strutturali preesistenti.
Mattarella sprona il Governo ad usare rapidamente i fondi europei
L'Italia deve farsi trovare preparata all'appuntamento con l'Europa dopo il fortissimo lavoro diplomatico fatto per convincere Bruxelles della necessità di finanziare la ripresa. Per questo servono risposte concrete e in tempi rapidi. Ne è convinto il presidente Giuseppe Conte, impegnato negli Stati Generali, e ne è convinto il capo dello Stato Sergio Mattarella, che al Colle ha ricevuto i rappresentanti del governo, come tradizione alla vigilia di un vertice europeo. Un summit che non sarà risolutivo ma rappresenterà piuttosto una tappa in vista dell'appuntamento di luglio. Un tema affrontato dallo stesso Conte durante l'ora e un quarto di colloquio al Colle al quale hanno partecipato i ministri degli Esteri, dell'Economia e degli Affari europei Luigi di Maio, Roberto Gualtieri e Vincenzo Amendola, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro.
Proprio durante la sua introduzione Conte ha posto il problema dell'utilizzo dei fondi europei, insistendo molto su quella che ha definito una sfida considerando le difficoltà incontrate in passato nell'assorbire i fondi di coesione. La posizione del premier ha trovato ovviamente d'accordo il capo dello Stato ed è suonata alle orecchie di molti anche come un messaggio a parte della sua coalizione di governo. Se infatti dal Recovery fund potrebbe arrivare una pioggia di miliardi per l'Italia, i tempi, com’è noto, saranno piuttosto lunghi. Ammesso che tutto vada come si sono augurati in mattinata sia il commissario all'Economia Paolo Gentiloni che la cancelliera tedesca Angela Merkel per rendere realmente disponibili i fondi del Next Generation Eu si dovranno aspettare i primi mesi del 2021. In mezzo c’è solo il Mes sanitario (con i suoi 36 miliardi quasi a tasso zero già disponibili) e le resistenze all'interno dei Cinque Stelle nei confronti dei quali continua il fortissimo pressing del Partito Democratico e di Italia Viva.
Errore su numero legale, oggi si ripete voto di fiducia sul decreto elezioni
Il voto sulla fiducia al Senato è nullo: mancava il numero legale. Tutto da rifare. L'Aula è già convocata per questa mattina alle 9,30. Nell'ultimo giorno utile prima della decadenza del decreto elezioni c’è il rischio della mancata conversione in legge visto che il voto sulla fiducia posta dal governo deve essere ripetuto. E se tutto non dovesse filare liscio, il decreto che fissa l'election day a settembre, accorpando elezioni comunali, regionali e suppletive al referendum sul taglio del numero dei parlamentari, diventerebbe carta straccia con enormi ripercussioni politiche. Al termine di una giornata convulsa, con il governo che al Senato si salva per soli due voti, arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia che il numero legale nel voto di fiducia non c'era e, quindi, il voto non è valido. Già subito dopo l'esito della votazione le opposizioni, che non hanno partecipato alla fiducia, hanno sollevato dubbi sulla validità del voto. Poi, in serata, dopo una accurata verifica, la notizia diventa ufficiale: il numero legale non era a 149, come erroneamente valutato, ma 150. L'errore sarebbe dovuto, spiegano fonti di palazzo Madama, a un errato calcolo dei senatori in congedo. Un incidente che non si verificava “da una trentina d'anni”.
A far deflagrare la situazione è stata la proposta di Roberto Calderoli di votare per alzata di mano sulla richiesta di non procedere all'esame degli articoli del decreto. Si procede al voto e nella confusione più totale, nella maggioranza effettivamente si teme l’imboscata, la presidente Elisabetta Casellati dichiara che “la proposta è accolta”. Scoppia la bagarre. La maggioranza protesta e chiede la controprova del voto elettronico. Il che prevede che possano partecipare al voto solo i senatori presenti alla precedente votazione. L'esito del voto viene ribaltato: governo e maggioranza si salvano per soli due voti. Il centrodestra non ci sta e chiede la verifica video di quanto accaduto. La verifica dà ragione alla maggioranza per due voti, ma nelle opposizioni resta il dubbio su quello che definiscono un “voto controverso” tanto che in serata scoppia il caso del numero legale. Quanto accaduto ieri al Senato lascia strascichi nella maggioranza, dove alcuni senatori dem lamentano le “troppe assenze in Aula”. Per Italia Viva non c’è alcun dubbio: il governo è salvo grazie ai loro voti. “Al Senato c’è stato un voto importante, la maggioranza ha tenuto per poco. Iv è stata decisiva per la tenuta del governo ma ovviamente questo ci preoccupa per il futuro”, afferma Maria Elena Boschi. E Matteo Renzi rivendica: “In questo periodo il nostro mestiere è salvare il governo. Oggi al Senato hanno voluto fare la prova di forza e i numeri non c'erano. Dobbiamo chiedere al governo di stare più attento alle procedure parlamentari ed essere più concreto”.
Scontro nel centrodestra sulle regionali. Berlusconi apre ad un’atra maggioranza
“Se ci fossero le condizioni per trovare in Parlamento una maggioranza diversa con un programma diverso varrebbe la pena di provarci, a una condizione: che non sia un tentativo di spaccare il centrodestra che deve rimanere unito anche per il futuro”. Parola di Silvio Berlusconi che, volendo malignare, suonano come un chiaro messaggio agli alleati della coalizione. Il Cav è ancora in Provenza mentre a Roma il centrodestra si mostra unito pubblicamente contro il governo, ma poi nelle segrete stanze si divide. L'intesa nel vertice convocato per stabilire i candidati alle Regionali e delle comunali per le prossime elezioni non c'è. Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani, dopo poco più di un'ora, abbandonano, defilandosi, gli uffici in Senato del leader del Carroccio. La motivazione ufficiale è impegni inderogabili con la promessa, poi disattesa, di rivedersi al termine della votazione in a palazzo Madama. La riunione non si aggiorna e sulle prossime elezioni è ancora fumata nera. Le dichiarazioni del Cav quindi fanno pensare, anche se in diretta su Rete 4 ribadisce: “Al momento non vedo le condizioni per un governo liberale e garantista, se ci saranno le condizioni ne discuteremo con gli alleati”.
Le distanze restano e i nodi non si sciolgono. Secondo fonti presenti al vertice le posizioni sono rimaste immutate, con Fdi e Forza Italia che hanno difeso i rispettivi candidati rispondendo picche alla richiesta di cambiamento di Matteo Salvini. Indiscutibili quindi per Meloni i nomi di Francesco Acquaroli e Raffaele Fitto, rispettivamente per Marche e Puglia, e per Tajani quello di Stefano Caldoro, designato da Berlusconi per la Campania. Il leader della Lega è tornato a insistere, chiedendo un cambio di passo oltre che di cavalli. La sua via maestra è quella di proporre delle personalità lontane dalla politica, senza tessera del partito, quindi dei civici, senza nascondere quelle mire verso una regione del Sud che al momento manca alla Lega. Nessuna concessione neanche quando il Capitano mette in dubbio la tenuta della coalizione contestando la poca affezione per il tema dell’Autonomia differenziata. L'unico accordo raggiunto è quello sulla manifestazione del 4 luglio.