Al Consiglio Europeo tengono banco il tema energia e la questione polacca

Gran parte della discussione della prima sessione di lavoro è stata occupata dalla questione del caro-bollette, che ha preso più tempo del dovuto e portato i leader a ritardare e rivedere le conclusioni finali. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha insistito sulla necessità di essere più ambiziosi e accelerare sui prossimi passi: occorre, sostiene il premier, “lavorare sul fronte delle interconnessioni, e sul fronte delle riserve. E produrre subito degli inventari delle riserve presenti in Europa, con lo scopo di proteggere tutti gli Stati membri dalle pressioni del mercato. Bisogna intervenire al più presto per limitare gli aumenti del prezzo dell'energia, per preservare la ripresa e salvaguardare la transizione ecologica”. 

Se la parte sul Covid è passata senza grandi colpi di scena o modifiche alla bozza delle conclusioni, l'altro tema scottante è stata la crisi polacca e la questione dello stato di diritto. L'argomento Polonia doveva essere solo toccato al Consiglio europeo. Per la prima volta da quando è stata emessa la sentenza del Tribunale costituzionale polacco è intervenuto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel; il suo è stato un invito al dialogo prima di avviare una guerra legale che possa spaccare l'Europa: “Siamo fermi sui principi dello stato di diritto. Abbiamo strumenti legali e istituzionali che dovremmo usare ma pensiamo anche che dobbiamo essere impegnati nel dialogo per poter raggiungere un risultato”, ha detto Michel al suo arrivo al Consiglio. Il premier olandese Mark Rutte spinge sulla necessità di tenere una linea dura chiedendo alla Commissione europea di non approvare il piano di ripresa e resilienza di Varsavia e al Consiglio europeo e di togliere i diritti (tra cui quello di voto) agli Stati che violano i principi fondamentali ma per l'articolo 7 serve l'unanimità e l'Ungheria continua a spalleggiare il governo amico della Polonia con cui condivide gli stessi problemi sullo stato di diritto. È intenzionata a tenere il punto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, chiamata a districarsi nella delicata questione legale delle varie opzioni a disposizione, cui ora si è aggiunta anche la causa che il Parlamento vuole avviare per la mancata attuazione del regolamento sulle condizionalità dello stato di diritto. 

Il centrodestra è compatto su Berlusconi al Quirinale

Il centrodestra dà il suo placet al sogno di Silvio Berlusconi al Quirinale; il più diretto ora è il segretario della Lega: “Berlusconi sta decidendo. Ovviamente se decidesse di scendere in campo, avrebbe tutto il nostro sostegno”, garantisce secco Matteo Salvini. Che però in un audio fuori onda carpito dal quotidiano il Foglio attacca il modo di stare all'opposizione di Giorgia Meloni (“C'è modo e modo di stare all'opposizione” e non “come è accaduto negli ultimi mesi, per mettere in difficoltà la Lega e il centrodestra” avrebbe detto il leader del Carroccio), riaccendendo il contenzioso, mai sopito, con la leader di Fdi sulla leadership nel centrodestra. Tace per ora Meloni, ferma però all'impegno all’unità sottoscritto nella nota comune a fine vertice. E lo ribadisce Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera: sulla partita del Colle “il centrodestra si muoverà come un sol uomo”.  

Del resto l'ambizione dell'ex premier può andare avanti anche grazie all'assoluzione del tribunale di Siena. Per i giudici del processo Ruby ter, “il fatto non sussiste” rispetto alle accuse di corruzione in atti giudiziari. In caso di condanna, la sentenza avrebbe potuto ipotecare una candidatura. E non a caso la vicinanza di Salvini e Meloni si fa sentire con una telefonata all'alleato: “Sollevato e soddisfatto” per il verdetto e nel giorno del suo ritorno a Bruxelles al vertice dei Popolari, Berlusconi si smarca dall'eventuale salita al Colle per garbo istituzionale. Ma si svela un po' quando ammette che Mario Draghi “sarebbe certamente un ottimo presidente della Repubblica”; però aggiunge: “Mi domando se il suo ruolo attuale non porterebbe più vantaggi al nostro Paese”: in altre parole, meglio che continui a fare il premier. 

C’è tensione in FI. Gelmini, Carfagna e Brunetta attaccano l’ala sovranista

Silvio Berlusconi torna a Bruxelles, si riaccredita nel panorama europeo dopo mesi di assenza, vede Angela Merkel e derubrica senza dar loro troppo peso le parole al vetriolo di Mariastella Gelmini scandite durante la riunione per l'elezione del capogruppo di FI alla Camera, stilettate dettate dall'impeto per aver perso la battaglia del post-Occhiuto, è la lettura, condita dalla paura di perdere la governabilità del gruppo ora che sarà un uomo di Antonio Tajani, Paolo Barelli, a dover gestire i deputati che, tra le altre cose, hanno come appuntamento l'elezione del presidente della Repubblica. Il Cav tuttavia sente di non doversi preoccupare: “Non succede assolutamente niente, nella maniera più assoluta, sono veramente sereno al 100%, non so cosa gli ha preso a questi qua”. Il tutto accompagnato da quella mimica che praticamente relega i dissensi dei Ministri Carfagna, Gelmini e Brunetta nell'alveo della inconstistenza e soprattutto non costituisce fonte di verità. Le parole dette a Bruxelles viaggiano più veloci e arrivano come un terremoto a Roma. 

Mara Carfagna esce dal silenzio e replica: “La Ministra Gelmini ha espresso un disagio che è diffuso e profondo” e “far finta che tutto va bene credo che non sia la migliore soluzione per chi vuole bene al proprio partito”; i malumori la Ministra li ha registrati nel corso del vertice con i colleghi azzurri di governo, a palazzo Vidoni. Non è un caso che a stretto giro arrivi anche la bordata di Renato Brunetta: “Inutile ignorare quanto accaduto ieri tra persone che ambiscono solo a rilanciare Forza Italia, che ha un'occasione da cogliere ma vive un momento di difficoltà innegabile”, rimarca il titolare della Pa, facendo fronte comune con le due azzurre e contemporaneamente ponendosi a difesa di Gelmini. I tre azzurri non hanno infatti nessuna intenzione di “farsi cacciare” ma sono decisi ad imporre con tutte le proprie forze i valori europeisti, moderati e liberali che Forza Italia dice di rappresentare. Il fuoco alle polveri, dunque, è stato acceso e ora i rivali si guardano da lontano. Per Berlusconi la faccenda è chiusa e non intende tornarci ma forse è solo l’inizio sottotraccia di uno scontro che si annuncia senza esclusione di colpi tra l’ala governista e quella più sovranista vicina a Lega e FdI.

Prove disgelo alla Camera, FdI apre a scioglimento Fn

Dopo giorni di accuse incrociate e il duro confronto al Senato, alla Camera arriva quello che appare un inizio di disgelo sul tema del fascismo fra centrosinistra e centrodestra. Se è definitivo lo dirà il tempo, intanto la svolta ha preso forma quando Tommaso Foti, vicecapogruppo di FdI, accolto da un applauso al ritorno in Aula dopo una lunga assenza per motivi di salute, ha anticipato che ci sarebbe stato un “voto distensivo” sulle mozioni in discussione. Foti ha annunciato che il suo partito “non ha riserve a condannare fascismo, nazionalsocialismo e comunismo” e che “se il Governo ravvede le condizioni della legge Scelba per procedere con decreto all'immediato scioglimento di Forza nuova noi non abbiamo alcuna difficoltà, perché noi come FdI non abbiamo nulla da spartire con questa gente”. Dal punto di vista del Pd è la condanna attesa sin da quando è andato in scena l'assalto alla Cgil il 9 ottobre. “Il centrodestra ha fatto un passo avanti importante”, ha riconosciuto Debora Serracchiani, annunciando a quel punto l'astensione sulla mozione di centrodestra che impegnava il Governo contro “tutte le realtà eversive”. 

A sua volta il centrodestra si è astenuto sulla mozione delle forze progressiste che chiedeva al Governo lo scioglimento di Forza nuova: il testo era lo stesso passato ieri al Senato, con un ordine del giorno anziché una mozione, non per ammorbidire la richiesta, hanno chiarito i dem, ma solo per sintetizzare le quattro presentate da forze di centrosinistra. Per ogni valutazione il premier Mario Draghi attende i provvedimenti della magistratura sull'assalto alla Cgil per cui sono stati arrestati alcuni leader di Fn. Intanto, caduto il tabù dello scioglimento anche da parte di FdI, la strada del disgelo fra i due fronti politici può apparire in discesa, almeno finchè i toni non tornassero a quelli da campagna elettorale. È decisamente presto, però, per parlare di pacificazione o armonia politica, che rischia di saltare al primo distinguo, ad esempio quello con cui in serata la leader di FdI Giorgia Meloni chiedeva perché “Pd, M5S e tutta la sinistra non hanno avuto il coraggio di votare insieme a noi” la mozione “contro estrema destra, estrema sinistra, centri sociali e black bloc, no Tav, organizzazioni anarco-insurrezionaliste e legate al radicalismo islamico impegnate nella propaganda antisemita contro lo Stato d'Israele”.

Conte rilancia la sua squadra e rilancia il rapporto con il Pd

Dopo mesi di attesa il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte lancia la nuova squadra e presenta ai parlamentari i 5 vicepresidenti: si tratta di Paola Taverna, Michele Gubitosa, Riccardo Ricciardi, Alessandra Todde e Mario Turco, mentre Vito Crimi, già capo politico reggente, sarà il responsabile dei dati sensibili del Movimento. L'ex presidente del Consiglio ha rivelato la squadra dopo aver parlato ai parlamentari del risultato delle amministrative e della prospettiva politica di M5S 2.0. Lo ha fatto chiudendo a Calenda e Renzi e lasciando aperto al dialogo con il Pd: “Questa tornata elettorale è stata segnata dal mancato rinnovo della fiducia dei cittadini” che ci aveva consentito “di governare città importanti. Questo al di là dell'impegno di Virginia e di Chiara, cui va il nostro ringraziamento”, dice Conte. Per cui niente caccia alle streghe, niente “singoli a cui addossare il marchio dei colpevoli”, serve una grande assunzione di “responsabilità collettiva”, spiega. Poi inquadra il perimetro in cui il suo partito potrebbe collocarsi: usa l'ironia per Carlo Calenda ed è più duro con Matteo Renzi per ribadire il concetto che con loro un’alleanza strutturale non sarà mai possibile. Invece, “un ragionamento a parte merita il Pd, siamo disponibili a continuare il confronto e ad alimentare il dialogo”, prosegue, ma non si deve pensare che la spinta innovatrice del Movimento “possa spegnersi o accomodarsi in una funzione ancillare o accessoria a chicchessia”. Questo dialogo interessa nella misura in cui generi “una prospettiva di governo”, che abbia l'obiettivo di “realizzare una effettiva trasformazione del Paese", e cita tre i pilastri intoccabili per il Movimento: transizione ecologica, transizione digitale e inclusione sociale

Nel frattempo Conte compatta i suoi gruppi Parlamentari: “Non è questo il tempo delle lamentele, del piangersi addosso, dobbiamo e dovete essere voi i primi a credere nella ripartenza. Noi siamo il Movimento, non abbiamo bisogno di scimmiottare i modi della vecchia politica”. E ancora: “Dobbiamo tornare ad un impegno autentico e ognuno deve chiedersi che cosa non ha fatto per il proprio territorio e che cosa ora può fare”. Dall'assemblea si levano alcune voci critiche sui risultati delle amministrative, quella di Giulia Sarti, ad esempio, che ha fatto una dichiarazione sui risultati in Emilia Romagna sulla stessa linea della vicepresidente della Camera Maria Edera Spadoni. Poi c’è l'ex ministro Vincenzo Spadafora che ha chiesto a Conte se veramente vuole che si vada al voto, ipotesi allontana da Conte ma non esclusa nel caso le istanze del M5S non venissero prese in considerazione da Mario Draghi. 



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