Nonostante le fibrillazioni politiche, Draghi è pronto per il rush finale sul Pnrr

Mario Draghi porta in Consiglio dei ministri un Piano nazionale di ripresa e resilienza da 221,5 miliardi totali, di cui 191,5 riferibili al Recovery fund e 30 miliardi per finanziare le opere “extra Recovery”; la spinta stimata alla crescita è di 3 punti di Pil nel 2026. L'obiettivo, secondo le slides inviate dal ministro Daniele Franco ai colleghi Ministri, è non solo “riparare i danni della pandemia” ma affrontare anche “debolezze strutturali” dell'economia italiana. Il grosso del piano è definito, con 135 linee di investimento e “non cambierà”, sottolineano dal Governo, di fronte alla mole di richieste che emerge in queste ore dai partiti. Il M5S annuncia battaglia sul Superbonus, il Pd vuole vederci chiaro sulla Rete unica, FI chiede welfare per le famiglie, la Lega annuncia che presenterà in Cdm “altri progetti da aggiungere” al Pnrr. E resta da sciogliere il nodo della governance, che agita i Ministri, in un clima sempre più teso in maggioranza, dopo l'astensione della Lega sul decreto per le aperture. All'indomani del netto stop al tentativo di Matteo Salvini di modificare l'accordo raggiunto nel Governo, Draghi registra un clima costruttivo nella riunione della cabina di regia sul Recovery che ieri mattina ha visto al tavolo tutti i capi delegazione; non si parla del tema aperture ma è chiaro a tutti che il premier non intende tornare indietro: il decreto è quello deciso in Cdm, poi ogni quindici giorni si faranno verifiche sui dati per decidere eventuali ulteriori aperture e dunque il coprifuoco fino alle 22 non durerà fino al 31 luglio. Ma che ci sia un problema è opinione unanime tra gli alleati di Governo. La tensione è altissima; dal Pd trapela irritazione per il metodo leghista, di lotta e di governo: “O dentro o fuori”, è il messaggio di Enrico Letta

Ma la risposta leghista è netta: restiamo assolutamente nel governo. Salvini e Giancarlo Giorgetti negano anche distanze tra di loro: c’è stata, assicurano i loro staff, “sintonia totale” sull'astensione in Cdm. Il tentativo è accreditarsi come interlocutore fondamentale di Draghi in maggioranza. Nel Governo però non sono pochi quelli che ritengono che il precedente è grave. Il rischio è che lo strappo si ripeta presto e alla vigilia dell'approdo in Cdm del Recovery plan la Lega fa trapelare irritazione per la consegna dei documenti a ridosso dell'esame e fa sapere, dopo un vertice di Salvini con i suoi Ministri, che intende aggiungere alcuni progetti al piano, raccogliendo “richieste dai territori” in particolare sulle infrastrutture. Draghi nelle prossime ore farà la sua informativa in Cdm sul Pnrr e ascolterà le proposte che verranno messe sul tavolo, ma il Piano nell'impianto non è destinato a cambiare. Il via libera arriverà solo dopo un secondo Consiglio dei ministri, che si svolgerà a metà della prossima settimana, dopo l’intervento che il premier svolgerà lunedì e martedì alle Camere. Ci sono per la digitalizzazione 42,5 miliardi; per il Green 57 miliardi (il 30% del totale); per infrastrutture 25,3 mld; per istruzione e ricerca 31,9 mld; per inclusione e coesione con 19,1 mld; per la salute con 15,6 mld (in totale 19,7 miliardi, sommando altri fondi). 

È tensione tra Regioni e Governo su scuola e coprifuoco ma il dl non cambia

Stop alla richiesta dei governatori di limare le misure del decreto sulle riaperture. Il provvedimento, bollinato, non cambia. Dopo l'astensione dal voto della Lega proseguono le tensioni nel Governo, alle prese con l'ira dei governatori. Le Regioni avevano chiesto di posticipare il coprifuoco alle 23.00 e una deroga ai servizi di ristorazione, affinché fossero permessi sia al chiuso che all'esterno per le ore di pranzo e cena. Ma è sul nodo scuola che si è consumato lo strappo, annunciato dallo stesso presidente della Conferenza Massimiliano Fedriga: “L'aver cambiato in Cdm un accordo siglato da noi con i Comuni e le Province sulla presenza di studenti a scuola è un precedente molto grave” che ha “incrinato la reale collaborazione tra Stato e Regioni”. Alla sua approvazione, la percentuale sulla presenza in classe dei ragazzi delle superiori in zona gialla e arancione è salita al 70%, rispetto al 60% inizialmente concordato con i governatori, un elemento che ha portato i governatori ad esprimere “amarezza” in una lettera indirizzata al premier Mario Draghi con la richiesta di “un incontro urgente prima della pubblicazione del provvedimento”. Palazzo Chigi ha fa sapere che il Governo darà un chiarimento alle Regioni; l'auspicio dei governatori è quello di poter incassare almeno un tagliando periodico del decreto, se i numeri dei contagi lo permetteranno;resta comunquela deroga, contenuta anche nella precedente bozza, fino al limite minimo del 50% di presenza a scuola nel caso di “eccezionale e straordinaria necessità dovuta alla presenza di focolai”.

Lo spiraglio c’è: l'idea condivisa dall'esecutivo è che sul provvedimento ogni due settimane verrà fatto un check a tutte le misure; il primo sarà a metà maggio. Sul tavolo delle richieste delle Regioni c’è anche la programmazione di riaperture del settore del wedding, delle piscine al chiuso oltre alla ripresa degli allenamenti individuali nelle palestre già da lunedì 26 aprile. Le nuove aperture di lunedì sono già state annunciate con certezza da alcune regioni con dati in netto miglioramento, come Lazio e Liguria. Ma stando ai dati attuali, dovrebbero avere lo stesso colore anche Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Umbria e Veneto, oltre alle province di Trento e Bolzano, avendo un Rt nel valore inferiore sotto l'1 e un rischio basso o moderato, compatibile con uno scenario 1. In zona arancione resterebbero invece Calabria, Sicilia, Basilicata, Campania e Toscana, che hanno un Rt vicino a 1 e un'incidenza sopra 200. A rischiare di restare fuori, e quindi in zona rossa, sono Puglia, Sardegna e Valle d'Aosta, per le quali, qualsiasi siano gli sviluppi sul decreto, almeno prima di maggio potrebbe non cambiare nulla. 

La Lega alza tensione nel governo e nella sfida con Giorgia Meloni

Matteo Salvini mantiene sotto pressione il Governo per non mollare la presa nel centrodestra e far mantenere alla Lega un ruolo di protagonista nel duello a distanza con FdI. Sicuramente ai leghisti non piace per niente la formula “Lega di lotta e di governo” e il leader lo ripete sin dal primo momento in cui ha deciso di entrare nell'esecutivo: si fida di Mario Draghi, ha scelto di “sporcarsi le mani” per aiutare “l'Italia e gli italiani” per uscire dall'emergenza, a scapito dei “sondaggi”. Una scelta che oggi, dopo lo strappo sul tema del coprifuoco, viene ribadita a gran voce, durante i lavori della segreteria, convocata anche per smentire sul nascere voci di divisioni interne e ad attriti con l’ala governista incarnata da Giancarlo Giorgetti. Salvini è chiaro: “Noi siamo i più leali alleati di Draghi e siamo rispettosi dell'appello di Mattarella. Se qualcuno cerca chi vuole rompere  chieda al Pd o pensi alla felpa che abbiamo visto pochi giorni fa”, alludendo all'incontro tra Enrico Letta e il fondatore di Open Arms

Detto questo, una volta assicurata totale fedeltà al premier, nessun passo indietro rispetto all'astensione sul decreto, giudicato insufficiente sul fronte coprifuoco e riaperture. Anzi, quella decisione viene difesa e rivendicata, ribadendo che la Lega non fa i suoi interessi, ma quando chiede il coprifuoco alle 23 non fa altro che “dare voce alle richieste degli amministratori, che non hanno colore politico”. Non lasciare sufficientemente il segno rischierebbe di lasciare troppo spazio elettorale a Fratelli d'Italia nel facile compito di rappresentare il fronte degli scontenti e dei “dimenticati”. Non a caso, Giorgia Meloni, con un pizzico di malizia, ha salutato favorevolmente lo strappo leghista in Cdm: “Sono contenta se la Lega alza il livello del dibattito interno, qui siamo a peggio di Conte: il decreto di ieri non si può definire di riaperture”; come dire, anche voi siete arrivati alle nostre posizioni. Ma con Fratelli d'Italia restano molti fronti aperti, dalla presidenza del Copasir alla mozione di sfiducia al ministro Roberto Speranza. Su ambedue questi temi, è il partito di Meloni a incalzare la Lega, cercando di metterla in difficoltà. 

Scontro tra Macina e Bongiorno, la Lega ne chiede le dimissioni

Il caso Grillo piomba come un macigno sugli equilibri già precari della maggioranza. A far scoppiare la polemica è un'intervista della sottosegretaria M5S alla Giustizia Anna Macina che pur comprendendo “l'urlo di dolore di un papà”, non lesina bacchettate al garante della sua forza politica per quel video, che “doveva essere evitato”. Ma è un altro passaggio a esplodere come una bomba nel dibattito politico: per Macina, infatti, “non si capisce se Bongiorno parla da difensore, o da senatrice che passa informazioni al suo capo di partito di cui è anche difensore”, facendo leva sul doppio ruolo di legale della giovane accusatrice di Ciro Grillo e i 3 suoi coetanei, e di senatrice della Lega di Matteo Salvini. “Mi ha gelato sentirla dire che porterà il video di Beppe in Tribunale, lasciando intendere che il comportamento del papà ricadrà sul figlio. Cosa vuole fare, il processo alla famiglia? Rabbrividisco”, affonda il colpo l'esponente M5S. La reazione dell'ex ministra della Pa arriva quasi in tempo reale, e non è certo un'offerta di pace: “Il sottosegretario alla Giustizia lede gravemente la mia immagine di essere umano, prima ancora che di avvocato, nel provare a insinuare che io abbia reso noti a chicchessia atti del processo” e “dovrà rispondere di queste affermazioni farneticanti in sede giudiziaria”. 

In poche ore la situazione diventa sempre più calda, al punto che il Carroccio chiede “dimissioni immediate” della Macina, perché “ipotizzare che Salvini abbia visto il video di Ciro Grillo attraverso l'avvocato Giulia Bongiorno è inaccettabile”. Poco dopo è Forza Italia a picchiare duro, invocando l'intervento del ministro Marta Cartabia durante le dichiarazioni di voto sul Def alla Camera. La crepa nella maggioranza si allarga fino a Italia viva: “È intollerabile che approfitti del suo ruolo istituzionale per mera piaggeria nei confronti del suo capo, Beppe Grillo”, dice in aula il senatore Giuseppe Cucca, mentre tra i banchi di Palazzo Madama anche Matteo Renzi presenzia fino alla fine dei lavori per criticare il comportamento di Macina. Nel tardo pomeriggio, poi, arriva l'incontro tra la ministra Cartabia e la sua sottosegretaria, un faccia a faccia breve ma intenso, circa 3 minuti. Da fonti via Arenula trapela che la Guardasigilli abbia ricordato all'esponente pentastellata che “una posizione istituzionale richiede il massimo riserbo sulle vicende giudiziarie aperte”. 

Rousseau e i rumors sulla deroga ai 2 mandati scuotono il Movimento 5 Stelle

Nel giorno in cui scade l'ultimatum di Rousseau al Movimento 5 Stelle, i parlamentari grillini si interrogano sul futuro. Oggi l'Associazione di Davide Casaleggio, che fino a ieri ha gestito la piattaforma della democrazia diretta M5S, dirà se intende recidere definitivamente i rapporti con il Movimento, come molti eletti auspicano in queste ore. “Qualora i rapporti pendenti non verranno definiti, saremo costretti a immaginare per Rousseau un percorso diverso, lontano da chi non rispetta gli accordi e vicino, invece, a chi vuole creare un impatto positivo sul mondo”, scrive l'Associazione. Ma in attesa delle comunicazioni di Casaleggio, tra Camera e Senato si susseguono indiscrezioni anche su una possibile deroga alla regola dei due mandati, blindata dal garante Beppe Grillo. Ad alimentarle le voci alcuni incontri che il capo politico reggente Vito Crimi sta avendo in questi giorni con i parlamentari della “vecchia guardia”: alcuni degli eletti che lo hanno incontrato sostengono che Crimi avrebbe dato rassicurazioni sul fatto che nel nuovo statuto ci sarà una sorta di deroga al limite del secondo mandato legata ad alcune caratteristiche che i parlamentari meritevoli dovrebbero avere. Se così fosse, il capo politico in pectore Giuseppe Conte ne sarebbe sicuramente a conoscenza. Ma dall'entourage dell'ex premier smentiscono seccamente.

Forse, si ragiona in ambienti parlamentari, si tratta di voci montate ad arte per motivare parlamentari ormai sfiduciati e dubbiosi sull'opportunità di versare un contributo, 2.500 euro al mese, ancor più sostanzioso rispetto al passato, oltre a evitare nuovi addii. In molti, infatti, sono convinti che il nuovo statuto sarà accompagnato da un'emorragia di eletti, “una non adesione al nuovo corso più che un abbandono”, assicura un deputato che sembra già aver deciso qual è la strada da intraprendere. Le voci su eventuali aperture circa il terzo mandato, ad ogni modo, scatenano l'ira di molti eletti alla prima legislatura: le indiscrezioni, sostengono fonti parlamentari, “mirano esclusivamente a ridurre la fiducia nel progetto di Conte”. E toccherà proprio all’ex presidente del Consiglio accelerare e trovare la giusta via per contemperare tutte le esigenze interne al movimento. L’auspicio di molti è che faccia in fretta ad imprimere quella svolta per la quale è stato scelto. L’impressione però è che la mole di nodi da sciogliere sia ancora estremamente intricata e che serva altro tempo.



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