La manovra è tornata in Commissione. In serata il Governo ha messo la fiducia 

È una corsa contro il tempo alla Camera per approvare la legge di bilancio entro la Vigilia di Natale, per poi lasciare la parola al Senato che dovrà licenziare la manovra in via definitiva entro il 31 dicembre così da scongiurare l’esercizio provvisorio.  Ieri sera il Governo, verso le 20.30, ha posto la questione di fiducia tramite il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani sul provvedimento uscito dalla Commissione in seguito ai rilievi della Ragioneria dello Stato. La votazione sulla fiducia avrà inizio oggi alle 20:30, mentre le dichiarazioni di voto cominceranno alle 19.00. Tra questa notte e domani mattina l’Aula approverà poi il testo della manovra dopo aver discusso gli ordini del giorno.

Dopo la discussione generale di ieri mattina, l'esame in aula è continuato a singhiozzo, in un clima di tensione tra maggioranza e opposizione: alla fine, dopo varie interruzioni per definire con esattezza il perimetro delle modifiche indicate dalla Ragioneria, l'aula a metà pomeriggio ha approvato la richiesta di rinvio in Commissione della legge di bilancio avanzata dal presidente Giuseppe Mangialavori. Bocciata invece la proposta avanzata da Alleanza Verdi Sinistra di ampliare il perimetro delle modifiche alla norma che autorizza la caccia ai cinghiali nelle aree urbane, stracciandola dalla manovra. “Propongo il rinvio della legge di bilancio in Commissione, esclusivamente al fine di modificare o sopprimere alcune disposizioni che presentano profili problematici dal punto di vista della copertura finanziaria, quali risultanti dalla nota della Ragioneria generale dello Stato” aveva detto in aula il presidente della Commissione Bilancio. A saltare o a subire modifiche per problemi di coperture c’è non solo l'emendamento del Pd che stanziava 450 milioni per i Comuni (approvato per errore in Commissione, per stessa ammissione della maggioranza) ma anche altre 44 correzioni relative ad altrettanti emendamenti giunti dal ministero dell'Economia e delle Finanze.

Seduta tesa dopo il rinvio del provvedimento in Commissione: l'opposizione ha abbandonato i lavori mentre il presidente Mangialavori ha proceduto con la votazione sui singoli emendamenti rivisti alla luce dei rilievi della Ragioneria. Il sottosegretario all'Economia Lucia Albano precisa in una nota: “Alla luce delle critiche emerse, ritengo opportuno sottolineare che le note elaborate dalla Rgs nel percorso di approvazione della legge di bilancio rientrano nella normalità delle operazioni svolte dai tecnici del Mef. Queste osservazioni tecniche sono pervenute anche lo scorso anno e in misura nettamente superiore. Inoltre, mi preme ricordare che negli ultimi due anni la manovra si è chiusa il 30 dicembre e l'esecutivo in carica non si era formato durante l'autunno, come accaduto al Governo Meloni”. A provare a spegnere le polemiche anche il premier Giorgia Meloni che incontrando i parlamentari di Fratelli d'Italia ha sottolineato che “tra mille difficoltà, il rodaggio e questi giorni complessi della legge di Bilancio, e nonostante quello che si può e si deve migliorare, mi pare che rispetto a chi auspicava e prefigurava una partenza di questo Governo e di questa maggioranza come una catastrofe, questo racconto che è stato fatto contro di noi gli sta simpaticamente tornando indietro come un boomerang”.

Meloni dice no al Mes, parla di immigrazione e di sostegno all’Ucraina

Giorgia Meloni dice no all'uso del Mes, ammette e anzi rivendica le “frizioni con la Francia” sui migranti, ribadisce il pieno sostegno all'Ucraina, chiede un Patto Ue che sia “meno di stabilità e più di crescita”. Ieri sera la presidente del Consiglio è volata in Iraq dove porterà il saluto ai militari italiani, ma prima ha affrontato una giornata densa d’impegni: gli auguri di Natale ai suoi parlamentari e ai dipendenti di Palazzo Chigi, l'intervento alla XV Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori alla Farnesina, la prima intervista televisiva da premier nel salotto di Bruno Vespa. Del Mes, il fondo salva-stati, la Meloni parla proprio a Rai1 e senza mezzi termini assicura: “Finché io conto qualcosa l'Italia non accederà al Mes, lo posso firmare col sangue”. Per quanto riguarda la ratifica, però, è più cauta, anche perchè se l'Italia dicesse no sarebbe isolata in Europa: la premier ammette che c'è un problema dovuto proprio al fatto che “se siamo gli unici che non approvano la riforma blocchiamo anche gli altri”, ma sostiene che la ratifica “non è un grande tema”. Il problema, per lei, è che lo strumento è “troppo poco utile”, tanto è vero che “non lo ha mai utilizzato nessuno”. Per questo, ha annunciato, “voglio parlare con il direttore del Mes per capire se c'è un modo per farlo diventare utile”.

Sui migranti, la presidente del Consiglio non smorza minimamente i toni con la Francia, dopo le tensioni tra Parigi e Roma sulle navi Ong. Anzi, in effetti sottolinea che c'è stata una frizione che però “rivendico” perché la reazione transalpina è stata “molto risentita” e ha rivelato quello che era un “tacito accordo” e cioè che l'Italia dovesse essere “l'unico porto di approdo” in Europa. E invece il Governo, dopo aver ottenuto dalla Commissione Ue di indicare la rotta del Mediterraneo centrale come una “priorità”, vuole proseguire con la linea dura: “Quelli che accogliamo noi sono banalmente quelli che hanno i soldi da dare agli scafisti. Io non credo che questo sia un modo intelligente di gestire l'immigrazione”. Per la presidente del Consiglio il modello da “europeizzare” è quello della Spagna: “Apro i consolati in Africa e lì valuto chi ha diritto a essere rifugiato. Ma poi respingo tutti gli altri e non voglio sentire ragioni”.

Altro tema su cui l'Italia può “fare la differenza” nei prossimi mesi è quello della revisione del Patto di stabilità. Fino a ora, ha detto la premier ai diplomatici, “è stato più stabilità che crescita e invece deve essere più crescita e meno stabilità”. Su questo il Governo interverrà facendo “sentire la sua voce senza arroganza e con spirito costruttivo ma con la consapevolezza, che non sempre ho letto, di quello che rappresentiamo, della nostra forza reale”. Meloni ribadisce anche che la collocazione nell'Occidente è “il nostro campo da gioco”, dunque, pieno sostegno a Kiev, dove vorrebbe andare il prossimo anno: “L'Italia ha fatto quel che doveva fare e continuerà a fare quel che deve fare” per l'Ucraina perché “non basta dichiarare la pace per ottenerla”. Quel che per la premier il conflitto ha mostrato è che l'Europa e l'Italia in passato hanno sbagliato le scelte strategiche e oggi emerge chiaramente la “nostra dipendenza energetica dalla Russia ma anche l'eccessiva dipendenza nella sicurezza dagli Usa”. Per questo occorre, nel primo caso, diversificare le fonti di approvvigionamento e, nel secondo, agire come attori forti in politica estera. E quindi “la spesa militare è necessaria per difendere gli interessi nazionali”.

Primo confronto fra i candidati alla segreteria del Pd

Dalla sua nascita nel 2007 il Pd ha perso 7,5 milioni di voti e dopo le elezioni del 25 settembre è in caduta libera nei sondaggi, senza contare quelli che saranno gli effetti del Qatargate. È questa l'atmosfera in cui si svolge il primo confronto tra i candidati alla segreteria del Pd, Stefano BonacciniPaola De Micheli ed Elly Schlein, un dibattito ampio da cui emerge la necessità di non liquidare il Partito Democratico, ma ancorarsi alle sue radici per affrontare nuove sfide e, soprattutto, scongiurare eventuali scissioni. Enrico Letta cerca di scuotere i suoi insistendo sull'orgoglio del Pd, che oggi viene “attaccato da più parti”, anche “da chi è con noi all'opposizione; eppure, “siamo noi l'opposizione a questo Governo ed è attorno a noi che si può costruire l'alternativa in Lombardia e nel Lazio. Questo dà il senso della centralità che abbiamo”. Una centralità rivendicata “nonostante le difficoltà”; lo scandalo che scuote Bruxelles irrompe con l'intervento durissimo della vicepresidente del Parlamento Ue Pina Picierno: “Coloro che hanno provato a disonorare la nostra comunità devono essere espulsi e questa costituente deve servire da monito per coloro che vorranno infangarla in futuro”. Il segretario le dà manforte: bisogna “reagire con tutta la forza che abbiamo. Siamo una comunità di gente per bene, che vuole pulizia e la trasparenza più totale”.

L'incontro viene aperto dalla sollecitazione di un folto gruppo di democratici, da Walter Verini a Stefano Ceccanti, da Debora Serracchiani a Marianna Madia: “Se la soluzione alla nostra crisi deve essere quella di una riedizione della sinistra dei Ds, con tutto il rispetto per quella storia, credo che sia un errore storico”, avverte Madia. Secondo Graziano Delrio non serve “un nuovo partito”, perché “il Pd c'è già”; Debora Serracchiani avverte: “Dalla fase costituente siamo passati alla fase della liquidazione ed è un errore”. Il dibattito tra i tre candidati è piuttosto stringato. “Guai a fare la fotocopia del M5S e Terzo Polo”, dice Bonaccini, “Noi siamo una forza laburista”, dobbiamo “tornare a fare il Pd e riprenderci lo spazio di un partito a vocazione maggioritaria. Avverto anche io pulsioni al cambiamento con connotati regressivi” e “contrasterò questa tendenza” che segnerebbe “la fine del Pd”. 

Paola De Micheli, molto critica sulla costituente, insiste sulla necessità di anticipare la data del Congresso e rilancia sui temi: “Cambiamo lo statuto in statuto dei lavori” e rendiamo il “femminismo” parte “sostanziale” del dibattito, “non formale come accaduto anche nella nostra comunità”, l'affondo. Elly Schlein, che non si sente affatto un'outsider, usa toni concilianti: “Non siamo qui per fare una resa dei conti ma per costruire il nuovo Pd e farlo insieme, salvaguardare il suo prezioso pluralismo ma senza rinunciare a un'identità chiara, a un profilo netto”; con la deputata è schierato anche Mattia Santori, delle Sardine, che ha preso la tessera del Pd. L'autocritica tra i dem non manca, ma per il gruppo dei promotori dell'incontro non bisogna rinnegare le radici del partito, anzi, Verini sprona a “ricercare tra i principi fondamentali dell'Ulivo '96 e del Lingotto 2007”. Letta concorda e precisa: “Non dobbiamo riscrivere un programma ma sapere che quanto accaduto in questi 15 anni, l'impatto della tecnologia, la vicenda climatica e il tema delle disuguaglianze oggettivamente ci portano ad aggiornare la riflessione”.



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