Dal salotto di Vespa una Meloni a tutto tondo ribadisce la vicinanza all’Ucraina
Giorgia Meloni non esclude di essere a Kiev sabato, quando ha convocato la prima riunione del G7 in video conferenza sull'Ucraina a due anni dall'invasione. La premier, ospite del salotto di Bruno Vespa a “Porta a porta”, affronta i vari temi sul tavolo, a partire proprio dalla questione Ucraina: “Penso che l'Occidente non debba dare segnali di stanchezza”, dice. E al conduttore che le chiede se sarà nella capitale ucraina, la premier sembra dare un’indiretta conferma, sorridendo e rispondendo “Si vedrà”. Nel corso della riunione del G7, anche se non ufficialmente, si parlerà anche di Medio Oriente; su questo, spiega, “penso che oggi un cessate il fuoco umanitario sia necessario” e occorre “far capire che questa escalation non aiuta, non aiuta nessuno, non aiuta neanche Israele”. Per quanto riguarda la politica interna, Meloni assicura che “l'Italia viene percepita come il Governo più stabile in Europa perché è il Governo più stabile” che “durerà 5 anni”, con una maggioranza compatta. Dunque, derubrica la 'spaccatura' avvenuta sul terzo mandato per i governatori.
Sulle riforme, ribadisce che il premierato non è “una deriva autoritaria” e che del premio di maggioranza “se ne discuterà, va rimandato alla legge elettorale ma per dare stabilità bisogna garantire una maggioranza”. Alla fine, comunque, ci sarà il referendum“perché la stanno osteggiando perché la temono”, ma “non sarà sul Governo”, e allora “avremo un'occasione storica”. Meloni è dura con Elly Schlein, per il “silenzio” che l'ha “molto colpita” sugli “insulti e sui metodi di Vincenzo De Luca”; per la presidente del Consiglio “gente che fa lezioni di morale e poi non si assume le responsabilità non mi convince”. Toni alti anche nei confronti di Giuseppe Conte, secondo cui il nuovo Patto di stabilità costerà 12 miliardi all'anno all'Italia, parole che dimostrano, per lei, che da parte del leader M5S c'è “ignoranza o demagogia”. Tra le questioni affrontate anche il caso dell'ex Ilva: “Non voglio statalizzare l'Ilva, credo che ci sia margine per trovare investitori che abbiano interesse a far viaggiare la società. Vorrei fare una cosa simile a quella fatta per Mps: l'abbiamo risanata, ha cominciato a fare utili e piano piano lo Stato uscirà”.
L’emendamento su terzo mandato viene bocciato. La maggioranza si spacca
La commissione Affari Costituzionali del Senato ha bocciato il terzo mandato per i governatori e come da pronostico la maggioranza si è spaccata. I parlamentari di Fratelli d'Italia e Forza Italia votano contro l'emendamento al decreto elettorale con cui la Lega ha tentato di aprire la strada alla ricandidatura di Luca Zaia in Veneto. Il risultato finale è schiacciante: i voti favorevoli alla proposta leghista sono solo quattro, i contrari 16; al fianco dei senatori leghisti si schiera soltanto Italia Viva. A respingere l'emendamento, con FdI e Fi, sono invece le opposizioni, con Pd, M5S e Avs che si compattano. La premier Giorgia Meloni ricorda che il terzo mandato “non era inserito nel programma” di Governo e rassicura: “Non è una materia che crea problemi alla maggioranza”. Ma la Lega non molla e il presidente del Veneto Zaia tiene a precisare che “la strada è ancora molto lunga”. E a confermare che da via Bellerio non c'è alcuna intenzione di lasciarla vinta agli alleati ci pensa il segretario e vicepremier Matteo Salvini, che avverte: “Se ne parlerà nell'Aula del Parlamento che è sovrana”. Una frase lanciata poco dopo la spaccatura in Commissione e in cui molti leggono l'ipotesi che la Lega possa ripresentare l'emendamento quando il decreto approderà nell'Aula di Palazzo Madama, eventualità che secondo alcuni porterebbe allo scontro frontale in maggioranza.
Dalle parti di Fdi e Fi c'è l'auspicio che con il voto in Commissione si possa scrivere la parola “fine” a giorni di battibecchi e frizioni con la Lega. Da qui il tentativo di tenere i bassi i toni, a partire dalla premier, che parla di “opinioni diverse” e discussioni “in massima serenità”. Le fa eco il Ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani di FdI, quando ricorda che “sono cose che succedono, ma l'attività del Governo non viene minimamente toccata”. “Nessuna lacerazione”, assicura Forza Italia con Maurizio Gasparri. La stessa Lega ha evitato di andare all'impatto con l'esecutivo, ritirando in Commissione l'emendamento sul terzo mandato ai sindaci per i Comuni superiori ai 15 mila abitanti su cui era arrivato il parere negativo del Governo. E c'è chi fa notare che anche all'interno della Lega non tutti sarebbero d'accordo ad andare al muro contro muro: sulla linea del presidente del Friuli Venezia-Giulia Massimiliano Fedriga che aveva già invitato a riaprire la discussione dopo le elezioni europee, ci sarebbe anche un gruppo di parlamentari, tra cui il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, che si è tenuto alla larga dalle tensioni in Commissione.
Gli studenti fuorisede potranno votare per le Europee
Gli studenti fuorisede possono guardare alle prossime elezioni con un filo di speranza. Per le elezioni europee dell'8-9 giugno non sarà infatti necessario tornare nel proprio Comune di residenza per votare. Sarà infatti possibile, almeno per questa tornata elettorale, votare in quello di domicilio, in cui si vive e si studia. Un emendamento di FdI al decreto elezioni dà un colpo di spugna ai lunghi viaggi pre-elettorali cui migliaia di studenti si sono sempre sottoposti per compiere il loro dovere civico. “Un importante passo avanti”, commenta la premier Giorgia Meloni che ringrazia tutti i gruppi per la compattezza politica. La proposta viene sottoscritta da tutti i partiti e passa all'unanimità in Commissione Affari costituzionali, dove il decreto-legge elezioni è all'esame. Alle prossime europee, dunque, il voto fuori sede sarà consentito agli studenti che vivono da almeno tre mesi nella località per la quale viene fatta richiesta trentacinque giorni prima della consultazione. La domanda va fatta nel comune di domicilio.
Spiace alle opposizioni che l'opportunità sia solo per gli studenti: “In Aula presenteremo un emendamento che consentirà anche ai lavoratori fuori sede e a chi ha problemi sanitari ed è fuori regione di votare”, è la promessa del capogruppo Pd in Senato Francesco Boccia. Il risultato, seppure parziale, è stato raggiunto “anche grazie al lavoro fatto da Azione”, è il commento di Maria Stella Gelmini mentre per Dafne Musolino “il testo attinge anche al lavoro di Italia Viva alla Camera”. “Una battaglia delle opposizioni che trova uno sbocco”, dice Peppe De Cristofaro capogruppo di Avs. “Noi del 5s lo avevamo promesso alle associazioni”, fa notare la deputata Vittoria Baldino. Per Fratelli d'Italia si tratta di “una vittoria dei movimenti giovanili” del partito, sottolinea il capogruppo alla Camera Tommaso Foti.
Forza Italia riparte dal congresso. Tajani candidato unico
Un migliaio di delegati da tutta Italia, un candidato unico alla segreteria e quattro vice. Forza Italia scalda i motori per il congresso che si riunirà nel weekend a Roma e confermerà la leadership di Antonio Tajani. Con lui saranno eletti quattro vice: Roberto Occhiuto, Deborah Bergamini, Stefano Benigni e Alberto Cirio. “C'è un grande spazio tra Elly Schlein e Giorgia Meloni” scandisce il segretario ricandidato “e noi vogliamo occuparlo”. Si tratta della grande prateria del centro, da sempre serbatoio di quei voti mobili che possono determinare per un partito la sconfitta o la vittoria. Tajani lo sa bene e punta a radicare l'immagine di FI come forza solida, moderata ed europeista dentro la coalizione di Governo. Obiettivo è raggiungere la percentuale del 10% alle europee e raddoppiare questo risultato alle prossime politiche. Il mantra, alla vigilia della convention, è il “voto utile: il Ppe sarà la prima forza politica nel parlamento europeo. Tutto lascia pensare che il prossimo presidente della Commissione e del Parlamento europeo saranno esponenti popolari. Più forte è Forza Italia più forte è l'Italia in Europa”. E la collocazione dentro i popolari europei è tanto radicata che, questa volta, alle urne gli elettori troveranno proprio il Ppe al centro del simbolo azzurro. Il vicepremier riceverà l'investitura ufficiale a leader del partito sabato pomeriggio e non ci sarà gara interna nemmeno tra i vicesegretari (il numero dei candidati è pari a quello dei posti disponibili). L'unica sfida sarà per la carica del sostituto: in caso d’impedimento del segretario, prenderà il suo posto il vice che avrà preso più voti o, a parità, il più anziano.
Occhiuto, Bergamini, Benigni e Cirio sono quattro volti noti del partito: il primo è considerato vicino a Tajani e stando ai pronostici dovrebbe essere il più votato; la seconda ha storicamente buoni rapporti con la famiglia Berlusconi; il terzo viene associato a Marta Fascina; mentre il quarto - governatore del Piemonte - è espressione dei territori. Nelle ultime modifiche allo Statuto è stata poi introdotta la figura del presidente del consiglio nazionale, ruolo che potrebbe essere affidato a Renato Schifani. Tra oggi e domani accanto ad un migliaio di delegati da tutta Italia, varcheranno le soglie del Palazzo dei Congressi dell'Eur cittadini, imprenditori, rappresentanti sindacali (sarà presente anche la Cgil) e volti noti della politica italiana e internazionale, da Ignazio La Russa alla presidente del Parlamento Europeo Roberta Metzola, passando per il numero uno del Ppe Manfred Weber e per l'eurodeputato spagnolo Antonio Lopez Isturiz. Attese in video, invece, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e la premier Giorgia Meloni. Se è probabile la presenza di Marta Fascina, non ci saranno i figli di Berlusconi. “Ci sostengono e in qualche modo si faranno vivi”, ha detto Tajani nei giorni scorsi e, alla vigilia della convention, c'è chi ipotizza che possano mandare una lettera. Nella due giorni ci sarà spazio anche per confrontarsi su otto mozioni, frutto del lavoro dei dipartimenti azzurri coordinati da Alessandro Cattaneo; sarà l'occasione per affinare la linea del partito su lavoro, energia, agricoltura, giustizia, riformismo e tanto altro.
L’Albania dà il via libera all’intesa con l’Italia sui migranti
Il trasferimento di migranti in Albania ora diventa possibile. A conclusione di un iter tormentato, il Parlamento di Tirana ha dato il via libera all'accordo siglato il 6 novembre scorso tra Giorgia Meloni e Edi Rama che prevede lo sbarco di persone salvate da navi italiane nel Mediterraneo in centri di accoglienza dall'altra parte dell'Adriatico. Il protocollo, che richiedeva l'approvazione a maggioranza semplice, è passato con il sostegno di 77 deputati del Parlamento composto da 140 seggi, mentre l'opposizione ha boicottato il voto. A favore si sono espressi 74 deputati della maggioranza socialista del premier e altri tre del Partito per l'Integrazione e l'Unità (Pdiu) all'opposizione. “Di mezzo c'è l'Italia, un Paese amico che ci è stato vicino in tutti i nostri momenti difficili, perciò l'accordo doveva essere sostenuto da tutti”, ha dichiarato al termine della seduta Mesila Doda, parlamentare del Pdiu. Dura, invece, la posizione del Partito Democratico, principale forza dell'opposizione di centro destra, che fin dall'inizio ha contestato il documento e ha presentato un ricorso alla Corte Costituzionale che aveva rischiato di far naufragare il tutto. “La nostra posizione non riguarda le relazioni con l'Italia, né la nostra riconoscenza per quello che ha fatto, ma l'accordo va oltre questo, in quanto viola l'interesse pubblico e minaccia la sicurezza nazionale”, ha dichiarato Gazmend Bardhi, capogruppo parlamentare del Pd, tra i firmatari del ricorso.
In concreto l’accordo prevede un centro d’identificazione dei migranti nell'entroterra, a Gjader, che potrà accogliere “fino a un massimo di 3 mila” persone (esclusi donne, minori, disabili) più un centro di minori dimensioni di primo approdo nel porto di Shengjin, dove far attraccare le navi italiane con i profughi. Il trasporto dal Centro di approdo al Cpr sarà effettuato dall'Italia, che provvederà anche alla sicurezza interna ai due Centri, mentre all'Albania è affidata la sicurezza esterna. “Il Parlamento albanese ha ratificato oggi l'accordo di cooperazione con l'Italia contro l'immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani. Grazie al Primo Ministro Edi Rama, alle istituzioni e al popolo albanese per la loro amicizia e collaborazione”, ha commentato Giorgia Meloni sui social.
In Sardegna la campagna elettorale è al rush finale. Salvini presidia Isola
A poche ore dalla chiusura della campagna elettorale e a una manciata di giorni dal voto in Sardegna, il vice premier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini non ha lasciato l'Isola dopo l'evento di chiusura con Giorgia Meloni e Antonio Tajani mercoledì a Cagliari. Anzi, per lui c’è in programma un'agenda fittissima, da nord a sud: presidia la regione che è stata sotto la bandiera del Carroccio e dei Quattro mori del Psd'Az, per cinque anni, la stessa per cui ora corre Fdi, con il candidato Paolo Truzzu. Sorride e stringe mani di buon mattino al mercato di Cagliari, dove è oggetto anche di una contestazione di una coppia di anziani che fa la spesa. Insieme a lui anche Alessandra Zedda, ex vice presidente della Giunta Solinas e in avvicinamento alla Lega da Forza Italia, con lo sguardo sul Comune di Cagliari. “Le partite si vincono al novantesimo, c'è una buona accoglienza mentre dall'altra parte ci sono solo attacchi; io continuo a fare il mio mestiere, penso che i sardi siano persone molto concrete quindi se uno mantiene gli impegni ti premiano. Non è un voto nazionale, mentre la sinistra è divisa il centrodestra è unito”, continua a ribadire, nonostante la sua campagna nell'Isola appaia tesa più alla tenuta della Lega (nel 2019 all'11,4%) e al sostegno agli aspiranti consiglieri che non al candidato presidente. Dopo Cagliari, una caserma dei carabinieri in provincia di Sassari e un ponte a Oschiri, in Gallura, poi Olbia e Nuoro; l'ultimo tour di Salvini proseguirà a Nuoro e Cagliari. (Speciale Nomos elezioni regionali in Sardegna)