Draghi vedrà separatamente i partiti della maggioranza a Palazzo Chigi

Il percorso di discussione della legge di bilancio appena incardinata in Senato si annuncia in salita: le tensioni sulla scelta dei relatori tra i gruppi di maggioranza rischiano di essere solo un assaggio di un cammino accidentato con tempi strettissimi e con troppa carne al fuoco. Il presidente del consiglio Mario Draghi ha perciò deciso di convocare i partiti, con l'obiettivo di garantire una discussione il più possibile ordinata e senza contraccolpi; da proteggere c’è anche l'intesa raggiunta al Mef tra il ministro dell'Economia Daniele Franco e i responsabili economici dei gruppi che sostengono l'esecutivo sul taglio delle tasse. In tre giorni, la prossima settimana, il premier vedrà a Palazzo Chigi i capigruppo e i capi delegazione dei partiti della maggioranza, insieme al ministro dell'Economia Daniele Franco e a quello dei Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà

Si inizia lunedì 29 alle 17.30 con il M5S; martedì alle 12.00 vedrà la Lega, alle15.30 Forza Italia e alle 17.30 il Partito Democratico; mercoledì 1° dicembre sarà la volta di Coraggio Italia alle 12.00, Italia Viva alle 15.30 e Leu alle 17.30. Il confronto appare necessario, dopo i numerosi campanelli d'allarme di queste ore: indicativo il braccio di ferro sui relatori tra Leu-Pd da una parte e M5S dall'altra, che si è risolto scontentando però Forza Italia che ora minaccia di non partecipare ai lavori della Commissione Bilancio. I senatori non nascondono la loro delusione sull'andamento del decreto fiscale: pochi i giorni rimasti (l'approdo in Aula è previsto per martedì prossimo) senza che ancora siano iniziate le votazioni e pochi i margini per modifiche salvo al momento quelle su cui sta lavorando il Governo con i relatori, ad esempio su patent boxfisco e risorse per Comuni e Regioni

I partiti della maggioranza trovano l’accordo sulla riforma fiscale

Dopo quattro incontri, il primo passo verso la riforma fiscale si è compiuto: anche se per ora c’è solo un accordo politico che andrà confermato dai partiti all'inizio della prossima settimana, il tavolo di maggioranza convocato al Mef ha definito la struttura dell’intervento di riduzione da 8 miliardi: l'imposta sui redditi, l'Irpef, passa da cinque a quattro scaglioni, favorendo soprattutto il ceto medio, mentre le aziende individuali e gli autonomi non dovranno più compilare il quadrante Irap perché per loro e per le start up la tassa viene abolita. I due interventi costeranno rispettivamente sette miliardi e un miliardo, ovvero resteranno all'interno di quanto stanziato dal Governo in manovra. Se verrà confermata dai partiti, la riforma dell'Irpef interviene su un modello che risale alla grande riforma tributaria del 1970, e che introdusse gli scaglioni di reddito, poi modificati nel tempo: dal 2012 ce ne sono cinque e dall'anno prossimo diventeranno quattro. Questo significa che cambiano anche le aliquote: per la fascia di reddito fino a 15milaresta al 23%, per quella tra 15-28mila scende dal 27% al 25%, quella 28-50mila cala dal 38% al 35%, mentre oltre i 50mila si passa direttamente a una tassazione al 43% che invece attualmente è riservata ai redditi sopra i 75mila euro. In sostanza viene abolito lo scaglione al 41%, e viene abbassata da 55mila a 50mila euro la soglia di uscita del terzo scalino, per concentrare l'impatto della riforma sul ceto medio. I benefici potrebbero arrivare fino a 700 euro annui. 

Ci sarà poi un riordino delle detrazioni, che riassorbiranno anche il bonus Renzi; su questo, il lavoro di limatura è ancora in corso. Per quanto riguarda l'Irap, il taglio sarà verticale, cioè saranno esonerate ditte individuali, persone fisiche e start up, “Oltre un milione di soggetti esonerati” secondo il viceministro del Mise Gilberto Pichetto, presente al tavolo per Forza Italia e soddisfatto dell'accordo che sostiene “famiglie, giovani e imprese”. Anche per Luigi Marattin di Italia Viva si tratta di un “buon accordo sul metodo e sul merito”, perché contiene due “interventi strutturali”. Un lavoro “molto positivo” con interventi “percettibili” secondo il vice ministro dell'Economia Laura Castelli in rappresentanza del M5S. Anche il senatore Alberto Bagnai, presente per la Lega, è soddisfatto perché le tre richieste del suo partito (abolire l'Irap per autonomi e professionisti, ridurre l'Irpef per tutti, semplificare il fisco) sono state accolte. Il responsabile economico del Pd Antonio Misiani si dice “molto soddisfatto”. 

L’intesa sul fisco non accontenta Confindustria e sindacati

L'accordo raggiunto in maggioranza sulla destinazione degli 8 miliardi stanziati in manovra per il fisco soddisfa i partiti ma non Confindustria e sindacati che sottolineano la mancata convocazione a palazzo Chigi. Per l’associazione degli industriali l’intesa raggiunta sarebbe “senza visione per il futuro” e disperderebbe “risorse limitate” con effetti “impercettibili” sui redditi delle famiglie: senza, continua Confindustria, “certezze che tali benefici potranno essere mantenuti nelle annualità future”, non dà “alcuna risposta” a poveri e incapienti, limita l'intervento sull'Irap alle persone fisiche “senza migliorare la competitività delle imprese”, e “non interviene in alcun modo a favore di giovani e donne”. 

Il giudizio è durissimo: sommando l'intervento sul fisco “agli errori sin qui compiuti sulla revoca d’importanti agevolazioni, quali il Patent Box e la rivalutazione e il riallineamento dei valori patrimoniali degli asset d'impresa, e al calo pluriennale degli incentivi Industria 4.0, significa inequivocabilmente non tenere in alcuna considerazione le imprese che garantiscono l'occupazione nel Paese e che stanno trainando la ripresa economica”. Di qui la speranza che “il Mef e il Governo tutto si renda conto di quanto sta accadendo e convochi al più presto congiuntamente le parti sociali, così come più volte richiesto”. La richiesta è condivisa anche dai sindacati, che lamentano il mancato coinvolgimento nell'accordo politico: “Restiamo in attesa di un confronto con il Governo. Gli 8 miliardi dovrebbero andare tutti a lavoratori dipendenti e pensionati e ribadiamo con nettezza la nostra contrarietà alla riduzione dell'Irap”, dice la Cgil. L'ipotesi di una revisione delle aliquote e degli scaglioni Irpef “non risponde all'esigenza di aumentare le detrazioni per dipendenti e pensionati”, insiste la Uil, che invita “il Governo e le forze politiche a realizzare un intervento realmente utile agli italiani”. 

Il super green pass agita la Lega, ma per ora nulla cambia

Il giorno dopo il via libera al super green pass le forze politiche fanno i conti con la stretta imposta dal governo “per salvare il Natale”. Il malessere evidente è nella Lega: fonti parlamentari del partito di via Bellerio raccontano di tensioni fortissime all’interno del partito e che lo stesso Giancarlo Giorgetti era pronto a disertare il Cdm. La norma che prevede il green pass rafforzato anche in zona bianca era ampiamente osteggiata dai leghisti riuniti per decidere il da farsi, anche perché in un primo momento sul tavolo c'era pure la possibilità di estenderlo ai minori di 12 anni e allargare l'obbligo dei vaccini sui luoghi del lavoro. Poi con la mediazione nel Cdm sul limite temporale del super green pass nelle regioni dove è basso il contagio, è arrivato il via libera anche del ministro dello Sviluppo Economico che ha votato “per senso di responsabilità”. Alla Lega non sarebbe piaciuto, per esempio, quel riferimento del presidente del Consiglio Draghi in conferenza stampa sulla necessità che chi non è vaccinato rientri nella società; per molti il rischio è che si alimentino gli scontri nel Paese, tesi condivisa anche in Fratelli d'Italia: “Il Super green pass è divisivo”, insiste Giorgia Meloni

Mercoledì, proprio per evitare strumentalizzazioni, il segretario della Lega ha scelto la strada del silenzio, ha lasciato che fosse il presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga a esporre la linea e a negare attriti interni; chi ha partecipato all'incontro tra i governatori e l'ex ministro dell'Interno riferisce che non c’è stata divergenza. Ora si tratterà di capire quali saranno le prossime mosse del Governo: fino a febbraio non mancherà il sostegno del partito di via Bellerio poi si vedrà, è il ragionamento che ripetono in tanti all'interno della Lega. Il voto per il Quirinale potrebbe fungere da “detonatore” e in ogni caso comporterà ulteriori fibrillazioni. Ad ogni modo, il virus resta un fattore da tenere in considerazione in vista dell'elezione del presidente della Repubblica: i parlamentari che non vogliono in alcun modo le urne hanno gioco facile a sostenere che con la pandemia non è possibile staccare la luce alla legislatura. Il Pd, Iv, Leu e Forza Italia e gran parte del Movimento 5 Stelle seguono la linea dell'esecutivo sulla battaglia anti-Covid ma l'ipotesi delle elezioni anticipate non sarebbe esclusa. E se Renzi è convinto che nel 2022 si vada a votare, Berlusconi ai suoi ripete che le elezioni sarebbero una sciagura per l'Italia in questa fase. 

Arriva il primo semaforo verde in Ue al salario minimo. Ora partono negoziati

Arriva il primo via libera in Unione europea al salario minimo. La proposta di direttiva, dopo aver avuto due settimane fa luce verde della commissione Occupazione dell'Europarlamento, incassa anche l'ok della plenaria di Strasburgo con una netta maggioranza ed è un sì che di fatto indirizza Bruxelles su un percorso che potrebbe portare all'approvazione della direttiva già nel 2022, sotto il semestre di presidenza francese. Il testo sull'introduzione di un salario minimo in Europa è passato con 443 voti a favore, 192 contro e 58 astensioni. Ed è il M5S tra i primi a esultare per il passo avanti: “Ho un messaggio per tutti i leader delle forze politiche che siedono in Parlamento. Una domanda che esige una risposta chiara: volete alzare e rendere dignitosi gli stipendi degli italiani?”, è l'appello lanciato da Giuseppe Conte, a capo di un Movimento che fa notare come, sul testo a Strasburgo, abbiano votato a favore tutti i partiti italiani della maggioranza Draghi. 

“Le battaglie per la dignità pagano sempre”, chiosa il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. I tempi europei per l'ok finale alla direttiva, che va recepita dagli Stati membri, non saranno brevissimi. Il via libera dell'Europarlamento, di fatto, è il punto di partenza dei negoziati sulla proposta, che vanno a culminare nel cosiddetto trilogo che vede al tavolo Parlamento, Consiglio Ue e Commissione. Prima però, serve che il Consiglio europeo concordi la sua posizione. La strada, almeno nella sua parte iniziale, non sembra in salita: la proposta approvata a Strasburgo prevede che si arrivi al salario minimo o attraverso la legge o attraverso la contrattazione collettiva e obbliga i Paesi membri con meno dell'80% dei lavoratori coperti da questi accordi sindacali a promuovere comunque lo strumento. La proposta, che fissa la soglia minima del salario ad almeno la metà della paga media lorda, prevede anche misure per il contrasto del dumping salariale all'interno dell'Ue. 



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