Angela Merkel si congeda da cancelliera. L’8 dicembre arriverà Olaf Scholz

Ieri sera Angela Merkel si è congedata dal suo incarico di cancelliera nella cerimonia militare dello Zapfenstreich, ringraziando i tedeschi per la fiducia, “il più grande capitale in politica”. Ha esortato a combattere per la democrazia che può rivelarsi “fragile” e ha salutato il potere con l'invito “a guardare sempre il mondo anche con gli occhi degli altri”. “Oggi provo gratitudine e umiltà di fronte all'incarico che ho tenuto così a lungo”, ha esordito; nel suo brevissimo discorso, la Merkel ha rivolto un pensiero a chi in queste ore “sta lottando per salvare vite”, negli ospedali tedeschi sovraccaricati dall'emergenza pandemica. Ha rievocato le sfide che l'hanno impegnata “sul piano politico e umano” e poi si è seduta al centro della scena per ascoltare i brani che aveva scelto. Così fecero prima di lei Helmut Kohl e Gerhard Schroeder, di cui si ricordano le lacrime su My way. “Voglio tutto o nulla”, dice il ritornello della canzone voluta dalla Bundeskanzlerin, in un testo che rispecchia la forza e l’integrità delle ambizioni e delle aspirazioni di una donna che ha impressionato il mondo tenendo testa ai potenti della Terra. C'era poi un brano punk di Nina Hagen, del 1974, “Una hit della giovinezza nella DDR”, ha spiegato in conferenza stampa qualche ora prima. Infine un inno religioso, il Te Deum, prima di quello nazionale. 

Merkel, che a 67 anni si lascia la politica completamente alle spalle, è rimasta concentrata e anche stavolta ha controllato l'emozione. Lo Zapfenstreich è occasione riservata ai leader del Paese e ai ministri della Difesa. Quello di ieri sera, in formato ristretto per la pandemia, con 50 ministri con le mascherine da lei invitati, era un evento atteso con un po' di rammarico da tanti, in una Germania che ancora vede la Bundeskanzlerin indiscutibilmente in testa alle classifiche dei politici più amati. Da oggi è ufficiale anche la data dell'insediamento del successore: il vicecancelliere Olaf Scholz inizierà l'8 dicembre, un socialdemocratico di cui Merkel si fida, che le farà dormire “sonni tranquilli”, fu il commento dopo la clamorosa sconfitta della Cdu alle elezioni di settembre. Grande mediatrice di crisi profonde, come quella dell'euro che mise alla prova l'Ue e quella dei migranti, lascia la sua Germania in preda all'emergenza sanitaria più grave della storia della Repubblica. E a chi le ha chiesto quale fosse il suo stato d'animo, in questo frangente, ha risposto: “Mi sentirei meglio se fossimo nella situazione dell'Italia”. Una delle ultime battute del suo cancellierato segna anche un passo indietro rispetto alla promessa che Berlino non avrebbe mai imposto il vaccino anticovid: “Se sedessi ancora al Bundestag voterei sì”, ha ammesso oggi, compiendo l'ultima svolta. 

Draghi vede i sindacati e difende la manovra. Si tratta sui 2mld di tesoretto

Un miliardo e mezzo di decontribuzione per i redditi al di sotto dei 47mila euro e cinquecento milioni in più contro il caro bollette: Mario Draghi comunica ai sindacati i nuovi interventi che il Governo ha in cantiere per sfruttare il tesoretto di circa 2 miliardi spuntato in manovra. Lo fa nel corso di due ore di confronto a Palazzo Chigi nel quale prova anche a smontare le critiche di Cgil, Cisl e Uil all'impianto dell'accordo per il taglio strutturale dell'Irpef e dell'Irap deciso da Governo e maggioranza: non è vero che avvantaggerà i ricchi ma per quasi la metà andrà ai reddito più bassi, spiega numeri alla mano il ministro Daniele Franco. Ma i leader sindacali si dicono insoddisfatti; il Governo, dopo ulteriore riflessione, tornerà a consultarli questa mattina poi Draghi porterà l'accordo finale sull'emendamento da presentare in manovra in Cdm. Al rush finale della legge di bilancio, il premier prova a blindare l'accordo sul fisco, ma già la Lega chiede maggiori risorse per ridurre gli aumenti delle bollette. 

La manovra, sottolinea il Premier ai segretari confederali riuniti a Palazzo Chigi, “accompagna il Paese fuori dall'emergenza e ha particolare attenzione al contrasto della povertà e al finanziamento degli ammortizzatori sociali”, anche grazie al dialogo con i sindacati. All'accusa di aver agito da “Robin Hood al contrario”, togliendo ai poveri per dare ai ricchi, ribatte il ministro Daniele Franco, con tabelle di simulazioni sull'effetto che il taglio delle tasse impostato dal Governo avrebbe per i lavoratori: il 47% dei 7 miliardi destinati al taglio Irpef andranno ai redditi più bassi, l'85% a quelli sotto i 50mila euro, mentre la fascia tra 50.000 e 55.000 euro di reddito otterrà i maggiori benefici dalla riforma fiscale, con 692 euro; 61 euro arriveranno per redditi fino a 15.000 euro, 150 euro tra 15.000 e 28.000, 417 euro tra 28.000 e 50.000, 468 euro tra 55.000 e 75.000 e 247 euro oltre i 75.000 euro. 

Il tavolo si chiude con una fumata nera e con Cgil, Cisl e Uil ancora sul piede di guerra, anche perché l'accordo sul taglio strutturale di 7 miliardi di Irpef e 1 miliardo di Irap è siglato dall'intera maggioranza e, ribadisce il Governo, non solo è confermato ma è assai difficile possa cambiare. Ma nel 2022 ci sono a disposizione altri 2 miliardi da utilizzare per altre misure una tantum, derivanti dal minor costo nel primo anno della riduzione delle tasse. Come? Destinando circa 1,5 miliardi per il taglio del cuneo fiscale ai redditi dei lavoratori dipendenti: si tratterebbe di un calo dello 0,5%, dall'8,90% all'8,40%, sulla retribuzione della contribuzione a carico dei lavoratori per redditi sotto i 47mila euro. Inoltre circa 500 milioni (da sommare ai 2 miliardi già stanziati in manovra) andrebbero a contenere il rincaro di gas e elettricità. Ai sindacati il Ministro Andrea Orlando garantisce anche che si avvierà presto la discussione sulla riforma delle pensioni. La proposta sul fisco dovrà essere ora discussa con i partiti di maggioranza per essere tradotta in un emendamento alla manovra, non a caso, questa mattina Draghi ha convocato la cabina di regia per poi andare in Cdm con un’intesa.

Conte chiama Salvini in vista del voto per il Colle e apre il confronto nel M5S

Parte la rincorsa di Giuseppe Conte per cercare di riportare il M5S al centro della scena politica e placare le tensioni interne. Il presidente del M5S lavora su più fronti: quello interno dove sta cercando di trovare una quadra in vista delle nomine nella segreteria che continuano a essere rinviate; e quello dell'iniziativa politica, in vista dell'elezione del Capo dello Stato. Il leader M5S, dopo la giravolta su Draghi, prima indicato per il Colle e poi come indispensabile a palazzo Chigi, ha deciso di rilanciare l'iniziativa del Movimento sulla partita del Quirinale, cercando la sponda del centrodestra per provare a cercare insieme un nome che sia di garanzia per tutti. È in questo contesto che è filtrata l'indiscrezione di una telefonata con il leader della Lega Matteo Salvini, con cui i rapporti erano rimasti molto freddi dopo la fine del suo primo governo. Conte, secondo alcune indiscrezioni, avrebbe chiamato il leader della Lega per condividere se non il nome almeno uno schema di accordo per il Quirinale. La telefonata non è però stata confermata da nessuno dei due leader. 

Tra le iniziative prese dal Presidente dei 5 Stelle ci sarebbe stata anche una sorta di chiarimento con Luigi Di Maio: da settimane la cronaca politica ha registrato una sorta di dualismo tra i due. Alcune figure di spicco nel M5S avrebbero chiesto al Presidente di cambiare linea, di cercare di coinvolgere di più i big del Movimento. D'altra parte la strategia attuata nella scelta dei vicepresidenti, tutti di area contiana, è già fallita alla prova della nomina del direttivo al Senato, tanto che per il rinnovo dello stesso organismo alla Camera, che verrà votato la prossima settimana, i candidati in corsa, tra cui Davide Crippa, si giocano proprio la carta opposta: quella dell'inclusione delle diverse anime del Movimento. E mentre Conte continua a rinviare la composizione e quindi il voto della sua segreteria, scoppia pure la grana dei rapporti con Grillo: indiscrezioni parlano di un’intesa naufragata per cercare di veicolare sui canali social e sul blog del fondatore i contenuti del Movimento. I vertici smorzano la querelle ma confermano che la trattativa c’è e che non si è conclusa. E pure la capogruppo del Senato Mariolina Castellone cerca di ricucire lo strappo che si sarebbe alimentato anche con la recente decisione di Conte di mettere ai voti il finanziamento pubblico: “Beppe resta la nostra stella polare. Giuseppe è il nostro capo politico. Entrambi sono per noi figure fondamentali e di riferimento”. 

La Meloni vorrebbe Draghi al Colle, ma non esclude Berlusconi

I tempi per la scelta del nuovo capo dello Stato iniziano a stringersi. A un mese e mezzo circa dall'inizio delle votazioni, i giochi si fanno sempre più intensi. Nessun nome, ovviamente, ma indicazioni sì. Come nel caso di Giorgia Meloni: “Io cerco un presidente della Repubblica che faccia rispettare la sovranità italiana, le regole e la Costituzione”, dice. Il “sogno proibito” sarebbe Mario Draghi, per arrivare alle elezioni anticipate, che “sarebbero più vicine ma non certe, perché conosco l'attuale Parlamento”. Riconosce, però, che pure per l'ex Bce “è difficile”, anche se lancia un macigno nel dibattito politico: “Il mandato di Draghi è legato a quello di Mattarella, lo scenario cambia e il tema delle urne va posto”. La leader di FdI prende la strada larga per spiegare il suo punto di vista, partendo dall'Europa, o meglio, dalla vulgata secondo la quale un'eventuale vittoria del centrodestra, “e significativamente a guida Fratelli d'Italia”, non sarebbe gradita alle istituzioni comunitarie. “Vorrei un capo dello Stato che avesse a cuore la sovranità italiana, la difesa degli interessi del Paese e rispetti la sovranità popolare”. Su questo si troverà un’intesa? “Certo, purché si esca dalla logica della rassicurazione delle consorterie europee”. 

Per il Colle, proprio per le caratteristiche tracciate, non esclude comunque dalla lista Silvio BerlusconiDifenderebbe la sovranità nazionale, è un'ottima carta che va tentata, però ho anche detto al centrodestra che bisogna avere un piano B e, forse, un piano C, perché la partita non è facilissima”; l'importante è conservare compatta la coalizione. La Presidente di FdI poi prosegue: “Oggettivamente il nostro sistema ha dei problemi, al di là di Draghi. Abbiamo un presidente del Consiglio che è un unicum, perché non è stato eletto e se non ci fossimo noi non avrebbe alcuna opposizione”, oltretutto “questo Governo procede esclusivamente a decreti legge e fiducie, siamo in un sistema monocamerale perfetto perché praticamente sempre un ramo del Parlamento non ha la possibilità di analizzare i provvedimenti. Cos'è questo, un presidenzialismo? Io sono presidenzialista, parliamone”. Ad Atreju lo faranno Matteo Renzi e anche il presidente del M5S Giuseppe Conte.

Gentiloni è fiducioso sulla riforma del patto di stabilità. Berlino apre 

Paolo Gentiloni, il Commissario agli Affari economici che ha in mano il dossier sulle nuove regole di bilancio europee, è ottimista. Dalla Germania si aprono degli spiragli sulla riforma delle regole e arrivano proprio dal futuro ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, fino a poche settimane fa indicato come l'ostacolo più grande nella coalizione semaforo che sarà guidata da Olaf Scholz. La Germania ha una responsabilità per l'Europa, e nel contratto della coalizione è scritto che l'Europa va tenuta insieme, è il ragionamento del presidente dei liberali. Lindner, che durante la campagna elettorale aveva definito il Patto di stabilità già sufficientemente flessibile, sul tema si starebbe insomma allineando allo spirito della coalizione guidata dai socialdemocratici di Scholz. Come potrebbe declinarsi una riforma di quelle regole, vista con gli occhi di Berlino, non è ancora chiaro ma qualche segnale arriva da Klaus Regling, direttore generale del meccanismo europeo di stabilità e vecchia volpe della politica tedesca: non tanto lo scorporo degli investimenti green ma qualcosa di più incisivo: “un limite di deficit del 3%, un obiettivo di debito più alto e una regola che combini la spesa con il saldo primario”. 

Assieme a “una maggiore condivisione dei rischi” tramite i mercati, espressione che fa pensare a rendere permanenti gli eurobondnati con il Recovery. Parole soppesate con cautela durante una conferenza sulla riforma delle regole economiche europee ospitata dalla Bce. La stessa conferenza dove interviene Paolo Gentiloni, che per la Commissione lavora a una proposta da presentare il prossimo anno: una volta depositata la polvere del voto tedesco, Gentiloni, pur premettendo che “sarebbe un errore” fare pronostici da parte dell'esecutivo Ue, si dice convinto che “possiamo colmare le distanze e trovare compromessi e soluzioni condivise, penso che ci sia buona volontà fra gli Stati membri”. Il catalizzatore è la pandemia, con l'urgenza di rilanciare gli investimenti e la centralità assunta dal Next Generation Eu che esprime, di fatto, una politica di bilancio comune e un debito aumentato ovunque (al 100% nell'Eurozona, al 150% circa in Italia). L'invito di Gentiloni è a “riflettere collettivamente su come le nostre regole di bilancio possono assicurare una riduzione del livello debito/Pil graduale, credibile e favorevole alla crescita”, una riforma epocale che si farebbe più concreta se alla spinta del premier italiano Mario Draghi e del presidente francese Emmanuel Macron si aggiungesse un endorsement convinto di Olaf Scholz.



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