Il Governo vara il Recovery, il 18 giugno potrebbe arrivare il giudizio UE

È pronto il Piano nazionale di ripresa e resilienza dell'Italia: 191,5 miliardi da spendere, da qui al 2026, per avviare il rilancio del Paese e superare i devastanti effetti della pandemia. Dopo il passaggio finale in Consiglio dei ministri, il testo è pronto per l'invio alla Commissione europea: Mario Draghi sarà puntuale, come promesso, e consegnerà il pacchetto il 30 aprile. Già il 18 giugno, nella riunione dell'Ecofin, potrebbe arrivare il via libera di Bruxelles al piano, se, come confidano ai vertici del Governo, l'Italia sarà uno dei primi Paesi a depositarlo. L'auspicio è accedere subito, entro l'estate, alla prima tranche di anticipo dei fondi, che in totale per l'Italia potrebbe arrivare a 25 miliardi nel 2021. Ma fin da subito per il Governo parte la difficile sfida delle riforme, in una road map da brividi, sia per i tempi di realizzazione che per le distanze politiche da colmare in maggioranza su temi come giustizia e fisco. Poi, partirà il percorso dell'attuazione, anche quello difficilissimo, perché se si sfora il cronoprogramma si perdono i fondi. Se l'Italia fallisce, ha avvertito a più riprese il premier, fallisce l'intera impresa avviata dall'Ue.  

Mario Draghi porta il piano in Cdm per la presa d'atto finale, dopo il passaggio alla Camera e al Senato; insieme al Pnrr il Consiglio dei ministri approva un decreto legge che istituisce il fondo complementare al Recovery plan da 30,6 miliardi che finanzierà, fino al 2033, i progetti che per i tempi di realizzazione o per la natura degli interventi non potevano entrare nel Piano. Per il 2021 il fondo potrebbe essere alimentato con un primo finanziamento fino a 5 miliardi e si tratta comunque di risorse destinate ad avere grande impatto sul territorio, dai fondi per le aree colpite dal terremoto a quelli per il rifacimento delle strade e la sicurezza stradale. Gli Enti locali, a partire dalle Regioni, vogliono avere voce in capitolo, ecco perché il Ministro Maria Stella Gelmini in Cdm ha chiesto di poter convocare la Conferenza unificata per un confronto prima del via libera al decreto; il Cdm viene sospeso per quattro ore e il ministro Daniele Franco illustra il testo ai governatori: qualche tensione sul fondo complementare, con alcune modifiche in extremis, ha fatto tardare di poche ore l'approvazione del Recovery plan italiano

Nel fondo extra rientrano 31 investimenti che vanno dal 5G alla tecnologia satellitare, dal rinnovo delle flotte di bus e navi all'Ecobonus, fino a fondi per l'alta velocità Salerno-Reggio Calabria e un sistema di monitoraggio da remoto di ponti, tunnel e viadotti. E ancora: dalle case di servizi per la cittadinanza digitale nei Comuni più piccoli, a finanziamenti per la sanità e gli ospedali. A Bruxelles a sera risultano intanto arrivati i piani di Francia, Germania, Portogallo, Grecia e Slovacchia; per l'Italia è importante essere nel gruppo di testa in ordine di presentazione, perché così avrà più chance di accedere alla prima tranche di anticipo delle risorse in programma a luglio. L'approvazione dei primi piani, la Commissione ha due mesi per esaminarli, è prevista all'Ecofin del 18 giugno. Il governo di Draghi confida che l'esame di Bruxelles non riservi sorprese, vista l'interlocuzione informale che ha accompagnato la preparazione del testo. Ma ancora alcuni passi devono essere compiuti prima di iniziare a spendere: sulle riforme, in particolare, il nostro Paese sarà giudicato con grande rigore. A maggio bisognerà mettere a punto il decreto sulla governance del Piano, con il nodo politico ancora da sciogliere della composizione della cabina di regia. Sempre a maggio sono attesi il varo del decreto imprese sulla base dell'ultimo scostamento di bilancio (potrebbe arrivare non la prossima settimana ma quella successiva) e i decreti su Pa e semplificazioni. Poi entreranno nel vivo riforme come il fisco e la concorrenza, da completare entro luglio, e la giustizia, attesa entro settembre. In realtà la riforma del processo civile e penale è già stata incardinata da più di un anno in Parlamento ma, a dare la misura dell’entità dell'impresa, si registra in Commissione alla Camera un nuovo rinvio degli emendamenti sul ddl penale. Spetterà alla Ministra Marta Cartabia sbrogliare la matassa.

Letta e Conte ci provano: insieme verso le prossime politiche

Enrico Letta e Giuseppe Conte ci provano: il leader Pd e il neo-capo del M5S approfittano della presentazione del manifesto delle Agorà di Goffredo Bettini per rilanciare l'idea di un'alleanza progressista da contrapporre al fronte dei sovranisti alle prossime elezioni politiche del 2023. Essa, avverte Letta, dovrà andare oltre il Pd, il M5S e la sinistra ecologista di Elly Schlein, anche lei presente all'incontro: “Tranquilli, M5S ci sarà, completamente rigenerato”, assicura Conte. L'unico a porre dei paletti precisi è Bettini: “Non dobbiamo ridare fiato a forze che svolgono un lavoro di costante disturbo, al solo obiettivo di rafforzare il proprio orticello di partito. Credo che Renzi abbia scelto questa strada, che rischia di essere imitata oggi da altri”. Letta glissa sul punto, si limita appunto a sottolineare la necessità di superare le rivalità che hanno segnato il centrosinistra in passato: “La coalizione che dobbiamo costruire” dovrà essere fatta di “persone che si stimano fra di loro. Se il Paese ci vede che siamo gente che si detesta reciprocamente, credo che il Paese non ci darà fiducia”. Ricorda Letta: “Ho visto tante volte leader del centrosinistra andare in piazza insieme, chiedere la fiducia ai cittadini e non so se si fosse potuto vedere cosa pensavano gli uni degli altri”. Con “Elly” e “Giuseppe” questa stima reciproca c'è, ma, aggiunge, “ma credo che dobbiamo allargare ad altri partiti e soggetti della società civile, soggetti organizzati che vogliano unirsi a noi. Ma già questo sarebbe un bel segnale”. Insomma, porte aperte a chi vuole starci, ovviamente senza che nessuno possa pretendere di porre veti.  

Giuseppe Conte offre sponda, spiega che il M5S completerà “a giorni il percorso costituente”, assicura che verrà sciolto anche il nodo del rapporto con Rousseau, chiarendo che le scelte politiche non saranno affidate a chi gestisce tecnicamente la piattaforma. L'ex premier ha in mente parecchi strappi col passato e lo fa capire anche quando cita il motto M5S: “Uno vale uno è un principio fondamentale, ma oggi ci corre l'obbligo di chiarire questo principio e spiegare che uno non può valere l'altro”. E poi, “Il M5S potrebbe rivelarsi una forza politica senz'altro di sinistra. Se la destra è conservazione, M5S è stata la forza più determinata a modernizzare il Paese”. La Schlein, che parla per prima, invita i suoi interlocutori a superare le storiche diatribe della sinistra e aggiunge: “Stiamo ognuno nella propria casa, serve un nuovo campo ecologista, progressista e femminista” dove poter stare tutti insieme. Una volta che il M5S avrà concluso questa nuova fase di ridefinizione, la prossima prova saranno le elezioni amministrative del prossimo autunno e successivamente l’elezione del Presidente della Repubblica sino ad arrivare alle elezioni politiche del 2023, sempreché non si vada al voto anticipato. 

È bufera su Durigon dopo video inchiesta di Fanpage. M5S chiede le dimissioni 

Il sottosegretario leghista Claudio Durigon è nella bufera in seguito a una video-inchiesta di Fanpage.it secondo la quale, durante una cena, avrebbe detto: “Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi”. Parole che fanno esplodere la reazione dei Cinque Stelle che chiedono a gran voce le sue dimissioni. Piena solidarietà invece da parte dei suoi, che anzi annunciano iniziative legali: “Il sottosegretario Claudio Durigon - raccontano fonti leghiste - è tranquillamente al lavoro. Nello stesso tempo il suo avvocato ha già presentato dieci querele”. Esplicito il sostegno del segretario: “Mi sembra una vicenda surreale: i 5Stelle si stanno agitando per nascondere i problemi di Grillo”, commenta Matteo Salvini. E Durigon stesso, al Senato, smorza ogni tensione: “Ma dai, lasciamo stare”, risponde laconico a chi gli chiede un commento sulle accuse lanciate da Fanpage. La polemica scoppia anche nell'Aula di Montecitorio, a ora di pranzo, poco dopo la pubblicazione sul web dell'inchiesta: s'era appena votato sulle pregiudiziali al decreto riaperture, quando Eugenio Saitta (M5S) chiede che il Ministro dell'Economia Daniele Franco riferisca sulle affermazioni di Durigon. 

Il leghista Edoardo Ziello replica stizzito: “Pensate a quello che ha detto il sottosegretario Macina”. I toni si alzano parecchio e ad un certo punto, al centro dell'emiciclo, alcuni deputati della Lega e dei 5 Stelle vengono quasi alle mani. Intervengono i commessi e la seduta viene sospesa per qualche minuto. Poco dopo, l'ex ministro Danilo Toninelli diffonde una nota in cui chiede la sua testa: “Non può più rappresentare il Governo italiano. Quanto emerge dal video-inchiesta di Fanpage non lascia spazio a dubbi. In attesa che possa intervenire anche la Magistratura, già oggi possiamo dire che il principio costituzionale di disciplina e onore che un rappresentante delle istituzioni come lui deve seguire sia venuto meno. Questo basta e avanza perché Durigon si dimetta dal delicato quanto importante ruolo di sottosegretario all'Economia”. Anche il leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni giudica la vicenda gravissima: “Dopo aver visto la video inchiesta e aver letto gli articoli di Fanpage, consiglierei al senatore Salvini di smetterla con le sue ossessioni nei confronti delle Ong e di dedicarsi piuttosto a quanto viene denunciato”. La sensazione è che la questione difficilmente passerà in sordina e non è escluso un intervento dello stesso Presidente del Consiglio Mario Draghi.



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