Bonomi attacca: serve serietà, no a flat tax e prepensionamenti
Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi al suo primo intervento dopo il voto è categorico sulle priorità da affrontare e boccia le ipotesi di “immaginifiche flat tax e misure di prepensionamento”. Dalla platea dell'assemblea degli industriali di Varese il leader di Via dell’Astronomia mette subito in chiaro che Confindustria non “tifa né per una parte e nemmeno per l'altra” ed esorta la politica a formare il nuovo Governo nei “tempi più rapidi possibili, con Ministri autorevoli, competenti e inappuntabili”. Fatta questa premessa Bonomi parla dei problemi: con la situazione economica attuale “nessuno può fare previsioni realistiche” sulla crescita e sugli effetti del rialzo dei prezzi. È per questo motivo che serve da parte del nuovo esecutivo una “vasta convergenza sulle scelte da fare, anche con le forze di opposizione, per affrontare le due grandi emergenze che sono l'energia e la finanza pubblica”. Il prossimo governo deve avere ben chiaro che si deve salvare il “sistema industriale italiano dalla crisi energetica” e questo perché migliaia di aziende “sono a rischio, insieme a centinaia di migliaia” di lavoratori. Tutte le risorse disponibili, escluse quelle per i “veri poveri, vanno concentrate lì, perché senza industria non c’è l'Italia”.
La sua posizione smuove il dibattito politico con il centrodestra compatto nel difendere la flat tax e il Pd che attacca. Secca la replica del senatore di FdI e responsabile del programma Giovanbattista Fazzolari, che ricorda che il “programma del centrodestra sulla flat tax è ben preciso. Noi prevediamo, così come faremo, una flat tax sul reddito incrementale e di portare a 100 mila la flat tax per gli autonomi dalle attuali 65 mila. Questo è quello che c’è scritto nel programma, non c’è scritto di più e sicuramente con la prima legge di bilancio non ci sarà di più”. In campagna elettorale sono emerse tre “ipotesi diverse di flat tax, tra Salvini, Meloni e Berlusconi”, spiegano dal Nazareno: è evidente che era solo una “bandierina inapplicabile in questa fase di emergenza economica, e anche incostituzionale perché sovverte i principi di progressività fiscale”, non a caso è “applicata in pochi Paesi, tra cui la Russia di Putin”, fanno notare dal Pd.
La Meloni vuole fare presto e con Draghi assicura: nessun inciucio
Giorgia Meloni ha invitato tutti a non essere troppo fantasiosi nel gioco del toto-ministri. La vera emergenza per il premier in pectore è la crisi energetica, per cui in serata, dopo una giornata d’incontri tecnici dedicati al dossier, Giorgia Meloni sottolinea che il suo dovere è di non perdere tempo: “Vediamo di capire quando sono le consultazioni, bisogna cercare di fare presto, ci sono troppe scadenze importanti”, dice ai cronisti lasciando Montecitorio. Ma non solo, la leader di FdI conferma che il suo obiettivo è l’unità della coalizione e assicura che essa si presenterà compatta al presidente Sergio Mattarella nel giorno delle consultazioni. Sui suoi rapporti con il premier Mario Draghi è molto chiara e netta: “Leggo tante cose, la Meloni è diventata draghiana. Io penso che persone normali che cercano di organizzare una transizione ordinata nel rispetto delle istituzioni facciano una cosa normale, non è che si fa un inciucio”. Infatti, poco prima fonti del partito avevano voluto precisare che al Consiglio europeo del 20 e del 21 ottobre sarà ancora Mario Draghi a rappresentare l'Italia e che quindi non c’è nessuna intenzione di creare “fratture” tra vecchio e nuovo Governo.
I documenti e la proposta italiana in arrivo sono quelli elaborati dall'esecutivo ancora in carica. Quindi, è il refrain, la squadra sarà pronta quando sarà il momento. Poi Lega e Forza Italia ripetono che l'esecutivo di centrodestra sarà politico, dopo che la sola idea circolata nel fine settimana di una prevalenza di tecnici nei ruoli chiave aveva qualche polemica. Giovanbattista Fazzolari (che molti danno come sottosegretario alla presidenza) dopo aver visto la Meloni non entra nel merito del toto-ministri ma minimizza le tensioni con gli alleati spiegando che “non c’è polemica sui tecnici” e neanche sul presidente di Confindustria Carlo Bonomi; fa fede, assicura, il programma condiviso dal centrodestra. Alla Camera ci sono anche Francesco Lollobrigida e Giovanni Donzelli: l'idea sarebbe quella di arrivare all'appuntamento del 13 ottobre, giorno dell’insediamento delle Camere, con l'intesa tra alleati sul pacchetto completo, presidenze delle Camere e Ministri così da procedere subito alle consultazioni. La trattativa è un gioco d’incastri.
Ieri Ignazio La Russa era dato alla Presidenza del Senato e un leghista alla Camera (Riccardo Molinari o Giancarlo Giorgetti), un’ipotesi che provocherebbe la necessità di compensare FI con un ministero di peso come gli Esteri dove in campo c’è anche Elisabetta Belloni. Per Silvio Berlusconi, poi, in Consiglio dei ministri non potrà mancare la fidatissima Licia Ronzulli: nell'idea del Cav potrebbe essere destinata alla sanità ma per quel dicastero si guarda a una figura con maggiori competenze specifiche. Altri papabili in casa FI sono Alessandro Cattaneo e Anna Maria Bernini. Per gli Affari europei resta forte il nome di Raffaele Fitto, mentre al momento Giulia Bongiorno avrebbe perso il derby con Carlo Nordio per la Giustizia. E se resta ancora da riempire la casella del ministero dell'Economia (Fabio Panetta non è ancora convinto) l'altro nodo ancora da sciogliere rimane quello del ruolo di Matteo Salvini, che oggi riunirà il consiglio federale a Roma.
Nel Pd tiene banco il dibattito sul congresso. Giovedì Letta parla in direzione
Nel Pd la priorità è quella di definire i tempi del Congresso. Tutti, a cominciare dal segretario Enrico Letta, sperano di concludere il percorso che porta alle primarie in tempi brevi, un compito non facile, tuttavia: l'ultima volta, era il 2019, ci vollero sei mesi per fare i congressi locali, quelli provinciali per approdare infine a quello nazionale e alle primarie. Base Riformista, che ha già detto di voler sostenere la corsa di Stefano Bonaccini, preme perché “non si allunghi il brodo”: il rischio, per l'area politica che si raccoglie attorno a Lorenzo Guerini è quello di arrivare impreparati al voto di Lazio e Lombardia della prossima primavera. Domani Base Riformista cercherà di fare il punto su quello che si muove in vista della direzione nazionale; l'obiettivo possibile è chiudere entro fine febbraio o inizio marzo, una necessità ancora più stringente visti gli attacchi quotidiani che arrivano dai centristi e dal M5S. Sono giorni che Matteo Renzi è passato alla controffensiva e si pone anche in contraddizione con Carlo Calenda, suo alleato elettorale: questi invita il Pd a mollare M5S per aggregarsi al centro, lui si fa promotore di una linea oltranzista, né con il Pd né con il M5S.
Qualche indicazione in più arriverà comunque giovedì, quando Enrico Letta terrà la sua relazione in Direzione nazionale. Non si tratterà di una proposta chiusa ma aperta alle proposte di tutti per un “vero Congresso costituente”. Da questo punto di vista, rappresentano un segnale positivo le tante dichiarazioni arrivate in questi giorni da tutto il mondo vicino al Pd. Ciò che invece è “irricevibile” per il Nazareno è la “drammatizzazione di chi pensa che il Pd sia da sciogliere”: è il secondo partito in Italia e uno dei più importanti della socialdemocrazia in Europa, viene sottolineato. In attesa che si riunisca la Direzione, dunque, si guarda con ottimismo ai prossimi passaggi, mentre sembra arrestarsi la pioggia di candidature e autocandidature alla segreteria. Anzi, dall'Emilia-Romagna arriva l'auspicio di chi, come Andrea De Maria, vorrebbe vedere correre in ticket Stefano Bonaccini e la sua vice in giunta Elly Schlein. Una strada impercorribile a sentire alcune fonti Pd: si tratterebbe, infatti, di minare la forza della leadership nazionale e della giunta emiliana con un colpo solo e “Vorrebbe dire fare un minestrone con tutti dentro senza contarsi e lasciando le cose come stanno”. Insomma la strada verso il congresso del Pd è solo all’inizio.
Il centrosinistra è un cantiere. Nodo alleanze per Lazio e Lombardia
A neanche dieci giorni dal voto, nel centrosinistra si ripropone il nodo delle alleanze, a partire dal Lazio, dove i giallorossi governano ancora insieme. A mettere il primo veto sulla strada della riedizione del campo largo a trazione dem è il terzo polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda: “Non faremo un'alleanza con il M5S”, “sarà il Pd a dover scegliere”, dice il leader di Azione, che intanto prosegue sulla strada della federazione. Per IV e Azione ora la priorità è formare i gruppi unitari (un capogruppo ad Azione e uno a IV) e nel mese di novembre lavorare alla federazione unitaria. L'obiettivo è ambizioso: essere il primo partito alle europee 2024; il responsabile Enti Locali dei democratici Francesco Boccia invita alla concretezza: “Nel Lazio con Zingaretti c’è già un'alleanza” che coinvolge “M5S e partiti del Terzo polo. L'alternativa è un remake della vittoria della destra che, pur non essendo maggioranza del Paese, ha vinto perché eravamo divisi”. Nel Pd c’è una parte considerevole che punta ad un riavvicinamento con il partito di Giuseppe Conte anche se per il momento il M5S frena ogni possibilità.
Spinge per il campo largo nelle Regioni al voto, invece, la federazione Verdi-Si. Comunque sia nel Lazio ancora la decisione non è presa e i tempi sembrano ancora prematuri anche solo per la costruzione di una candidatura capace di invertire la tendenza nazionale nettamente più favorevole al centrodestra. In Lombardia, paradossalmente, è più semplice dal momento che il M5S ha storicamente ottenuto risultati molto bassi e un loro coinvolgimento in una futura coalizione potrebbe essere meno determinante e sicuramente meno digeribile per un elettorato di riferimento che qualche perplessità l’ha espressa. Insomma, il centrosinistra è un vero e proprio cantiere a cielo aperto e la scelta del Pd di fare il Congresso non accorcerà di certo i tempi per una definizione delle forze in campo anche se magari contribuirà a trovare quella chiarezza di scopo che gli elettori si aspettano.