Conte rilancia le nuove misure per il dopo sisma del centro Italia
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte annuncia su Facebook di avere avuto “un nuovo importante incontro, insieme al Commissario straordinario Giovanni Legnini, con i governatori, i sindaci e gli amministratori locali dei territori colpiti dal terremoto del Centro Italia”. Si è trattato, scrive Conte di “una riunione operativa, un confronto costante e proficuo, mirato a valutare le nuove misure a favore delle zone terremotate e le ultime norme approvate dal Governo che, grazie anche alla collaborazione di Regioni ed enti locali e agli interventi del Parlamento, ci permettono di imprimere un importante cambio di passo nella ricostruzione pubblica e privata. Non ci sfuggono ovviamente le criticità che a oggi ancora persistono”.
“Con la struttura commissariale ogni giorno siamo al lavoro per venire incontro alle esigenze dei territori, per costruire una prospettiva di rilancio, per restituire la speranza alle comunità colpite, per combattere lo spopolamento. Anche per questo siamo fortemente determinati a portare internet e la banda larga su tutto il territorio nazionale, a partire dalle aree interne, dai piccoli Comuni, dai centri colpiti dal terremoto. È una priorità di tutto il Governo, per garantire a tutti l'accesso a internet e alle infrastrutture digitali. È uno dei principali interventi del nostro piano di rilancio in vista del Recovery fund, per cui abbiamo già raccolto centinaia e centinaia di progetti, alcuni di questi riguardano proprio l'area del cratere. Sappiamo - conclude Conte - che non c’è altro tempo da perdere, non è più accettabile che la burocrazia continui a pesare sulle famiglie e sui cittadini che hanno già perso i loro affetti, la loro casa e, in diversi casi, anche la speranza”.
Le fibrillazioni del M5S al bivio tra Rousseau e fiducia sul Dl semplificazioni
Dopo il caso di inizio settimana dell'emendamento anti-Conte sull'intelligence alla Camera oggi toccherà al Senato che nelle prossime ore sarà teatro di una fiducia molto delicata sul decreto semplificazioni. Nel pomeriggio di ieri, infatti, nel Movimento 5 Stelle sono emersi non pochi malumori su alcune proposte contenute nel maxiemendamento che sarà messo al voto in Aula oggi, tensioni che unita ai numeri risicati della maggioranza non preludono a una mattinata tranquilla. Ma il caos interno ai pentastellati è di più ampio respiro, si proietta fino agli Stati Generali chiamati a definire il futuro del Movimento e riguarda, innanzitutto, il ruolo di Rousseau. Una trentina di parlamentari, secondo alcune fonti del M5S, sarebbero pronti a lasciare se la scelta tra leadership collegiale e capo politico unico fosse affidata esclusivamente al voto online degli iscritti. Il blitz della fronda anti-Rousseau arriva perché i vertici avrebbero “in preparazione” la votazione sulla piattaforma già prima delle Regionali, timing che gli stessi vertici non confermano. Ma che ci sia un caso Rousseau è sotto gli occhi di tutti: Davide Casaleggio appare inviso a un numero via via crescente di parlamentari e, tra i big del Movimento, sembra poter contare solo sulla sponda di Alessandro Di Battista e Vito Crimi.
I gruppi vogliono avere voce in capitolo sulle decisioni del Movimento, a prescindere dal format della futura leadership. Il blitz anti-Rousseau va a colpire, anche Alessandro Di Battista: l'ex deputato in questi giorni guarda da lontano ai movimenti interni ai Cinque Stelle, ma, fedele all'ortodossia casaleggiana, è uno dei fautori del voto online. Sulla collegialità della leadership Di Battista non si è ancora espresso ma appare chiaro che una sua eventuale candidatura avrebbe maggior consenso tra gli iscritti che nei gruppi parlamentari, anche perché diversi big del M5S propendono per la collegialità, incluso Luigi Di Maio, chiamato anche lui a dirimere, in maniera ufficiosa, i mille nodi del Movimento. La reggenza di Crimi volge al termine: il capo politico è chiamato a schivare le accuse che gli arriveranno da diversi esponenti per la sconfitta e le mancate alleanze alle Regionali. Probabile che, subito dopo il voto, getti le basi per gli Stati Generali, nominando il comitato ad hoc. Ma il rischio, è la protesta di diversi parlamentari, è che si arrivi al congresso con i giochi già fatti. Da qui la sortita anti-Rousseau, che ha un limite: il passaggio da capo politico a leadership collettiva può avvenire solo cambiando lo Statuto ed è altamente improbabile che i vertici decidano di far votare lo Statuto ad una platea diversa dagli iscritti. I tormenti pre-Regionali investono anche un Pd che, secondo gli ultimi sondaggi, solo in Campania è sicurissimo di vincere.
Autostrade, via libera Atlantia a scissione. Gualtieri: moderatamente fiducioso
Svolta per il dossier Aspi, con un'accelerazione ufficiale nel processo di separazione tra Atlantia e la controllata Autostrade per l'Italia. Il governo monitora con attenzione il negoziato con Cdp e il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri si sbilancia: “Sono moderatamente fiducioso”. La novità principale arriva nel pomeriggio dal Cda della società di Ponzano Veneto, che ha deliberato di procedere alla costituzione “della società destinata a ricevere il compendio scisso, che includerà sino all'88% del capitale di Autostrade per l'Italia, e che sarà denominata Autostrade Concessioni e Costruzioni”. La newco è funzionale al progetto di scissione parziale e proporzionale e alla successiva quotazione in Borsa. Atlantia nella nota lascia però aperta anche la strada alternativa: “L'ipotesi di vendita diretta dell'intera quota dell'88% detenuta in Aspi permane quale alternativa all'operazione di scissione come già annunciato nel comunicato del 4 agosto 2020”. Si tratta di un passaggio importante nella vicenda visto che il dossier si era complicato dopo che a inizio agosto la holding aveva aperto un doppio percorso di liquidazione della partecipazione in Aspi, andando di fatto in parziale opposizione con l'accordo siglato il 14 luglio con il Governo a Palazzo Chigi. Atlantia continua a trattare con Cdp (giovedì si sono incontrati gli Amministratori delegati Carlo Bertazzo e Fabrizio Palermo), e ora l'accordo sembra incardinato su binari abbastanza chiari: si prevede prima lo scorporo del 70% di Autostrade in mano ad Atlantia e poi la successiva quotazione in Borsa, con il contestuale lancio di un aumento di capitale da 6 miliardi di euro.
La ricapitalizzazione sarebbe riservata a Cdp e ad altri investitori, e fornirebbe al concessionario le risorse necessarie per ridurre il debito e acquistare il 18% ancora detenuto da Atlantia. L'operazione consentirebbe di non creare svantaggi economici agli altri azionisti di minoranza, Allianz e Silk Road, titolari del 12% di Aspi. “È chiaro che si tratta di un negoziato complesso e delicato anche per il fatto che Atlantia ha messo in campo delle strutture alternative per Aspi. Il negoziato procede con le varie opzioni sul tavolo, sono prudente per qualsiasi valutazione”, ha spiegato il ministro Roberto Gualtieri in audizione presso la Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti. Le interlocuzioni sono definite “in via di definizione” e il titolare del Mef apprezza che il lavoro di Cdp si svolga “in piena autonomia” ma con “la piena fiducia del Governo”. Dal punto di vista dell'esecutivo si deve trattare di “un'operazione di mercato”, anche se Gualtieri rivendica il merito di aver “aperto una pagina nuova, con un regime concessorio più moderno ed equo”, in attesa che venga definito il nuovo schema tariffario e il piano di investimenti.
Boss scarcerati, l'opposizione si scaglia contro Bonafede
L'opposizione di centrodestra torna ad attaccare il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per la vicenda delle scarcerazioni di boss per ragioni di salute legate all'emergenza Coronavirus, con tanto di richiesta di dimissioni. Stavolta la polemica s’incentra sui dati dei detenuti in alta sicurezza o al 41 bis rimasti in detenzione domiciliare, anche dopo i due decreti varati a maggio dal Governo per arginare il fenomeno. Sono 112 in tutto e tra loro ci sono mafiosi e trafficanti di droga, scrive il quotidiano la Repubblica; altri 111, i più pericolosi, sono invece tornati dietro le sbarre proprio per effetto di quei provvedimenti che hanno imposto alla Magistratura di rivalutare le proprie decisioni alla luce del mutato quadro dell'emergenza Covid-19. Quelle scarcerazioni sono state “decise dalla Magistratura in piena autonomia e indipendenza nel bel mezzo della pandemia”, replica Alfonso Bonafede, annunciando di aver “già avviato uno stretto monitoraggio per verificare l'applicazione dei due decreti antimafia”. Si tratta di una polemica strumentale, reagiscono M5S e Pd; sulla stessa linea si schiera il Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma: “Di persona detenuta al 41 bis attualmente ancora ai domiciliari ce n’è una sola”, dice riferendosi al caso del boss della camorra Pasquale Zagaria e invitando tutti a rispettare le decisioni della magistratura.
A chiedere a Bonafede di lasciare è innanzitutto Fratelli d'Italia. “È scandaloso che 112 mafiosi e narcotrafficanti scarcerati durante il lockdown non siano mai tornati dietro le sbarre e si trovino ancora ai domiciliari. Il sommo scarceratore di boss Bonafede aveva giurato che dopo averli liberati li avrebbe riportati uno ad uno in galera, ma era una colossale menzogna e ora si dimetta”, attacca Giorgia Meloni. Richiesta ribadita dal capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida, che parla di uno schiaffo a “chi quotidianamente combatte la mafia e di una conferma del fallimento dell'esecutivo guidato da Conte”. “Bonafede è un presunto Ministro che sta coprendo il Paese di vergogna” accusa da Forza Italia Maurizio Gaparri. E di governo “incapace” parla anche il leader della Lega Matteo Salvini, mentre l'ex sottosegretario alla Giustizia Jacopo Morrone definisce una “beffa” i decreti Bonafede. Il Guardasigilli tira dritto e in un post su Facebook rivendica la scelta dei due decreti che hanno imposto ai giudici “di rivalutare, con il parere obbligatorio delle Direzioni distrettuali antimafia, la posizione di tutti i detenuti per reati gravi posti ai domiciliari”. E sottolinea che grazie a quei provvedimenti che portano la sua firma i detenuti finiti ai domiciliari per decisione dell’autorità giudiziaria “sono tornati davanti a un giudice”, che ha comunque deciso “in assoluta autonomia”. Dal Ministero fanno notare come ci sia stata in questi mesi una crescita esponenziale dei detenuti tornati dietro le sbarre per effetto delle nuove valutazioni dei giudici: erano una cinquantina a metà giugno e determinante è stato l'impegno del DAP anche nella ricerca di posti in strutture ospedaliere penitenziarie.