Il Cdm approva all’unanimità gli emendamenti sul processo penale

Il Consiglio dei ministri ha dato via libera stasera alla riforma del processo penale presentata dalla Ministra della Giustizia Marta Cartabia, ma la seduta non è stata semplice e ha richiesto tutta la capacità di mediazione e il peso politico di Mario Draghi per sbloccare una situazione di stallo. Gli emendamenti al ddl delega per la riforma del sistema penale, infatti, non erano graditi al Movimento 5 stelle che ieri, dopo una serie di riunioni, aveva fatto filtrare la decisione di astenersi, che sarebbe stato un segnale politico non positivo per una delle riforme più importanti dell'esecutivo. Per questo motivo prima dell'inizio della seduta Draghi e Cartabia hanno incontrato i ministri pentastellati per cercare una mediazione: alla fine sono stati inseriti reati contro la P.A., come la corruzione e la concussione, tra quelli con tempi di prescrizione allungati, ottenendo quindi anche il voto a favore del M5S. Durante la seduta, però, è stata Forza Italia a chiedere una breve sospensione per effettuare verifiche e approfondimenti sulle modifiche che erano state inserite poco prima. Con M5S da una parte e Fi-Iv dall'altra ai ferri corti e i ministri leghisti che spingevano per una mediazione e per “un'ampia convergenza”, quando la seduta è ripresa Draghi è intervenuto nella discussione, chiedendo se tutte le forze politiche di maggioranza sostengono le norme e se sarà così anche in Parlamento, una richiesta cui nessuno ha risposto negativamente. Gli emendamenti sono stati quindi approvati all'unanimità

Tra i partiti, la Lega sottolinea che già nei giorni scorsi “era intervenuta per limare il testo ed evitare la scomparsa dell'opzione del carcere in caso di reati gravi come associazione per delinquere e corruzione” con “l'obiettivo è garantire equilibrio tra certezza del diritto e certezza della pena". Positivo il commento del Pd, che con la vicepresidente del Senato e responsabile Giustizia Anna Rossomando afferma: “Esprimiamo soddisfazione per la presenza di diverse proposte avanzate dal Pd, innanzitutto più garanzie a tutela del principio di non colpevolezza, l'incentivazione della definizione anticipata dei procedimenti attraverso il potenziamento dei riti alternativi e un più ampio ricorso alla giustizia riparativa. Per quanto riguarda la prescrizione, valutiamo favorevolmente l'accoglimento della nostra proposta della prescrizione processuale per fasi dopo il primo grado, che consentirà di arrivare a una soluzione ragionevole, rispondente alla funzione di questo istituto, oltre che aderente alla Costituzione”. Toni trionfanti da Italia viva secondo cui “oggi si chiude definitivamente l'era Bonafede. I 5 Stelle hanno voluto un contentino last minute per digerire la loro sonora sconfitta”. Più freddi e cauti i commenti pentastellati.

L’Italia sulla giustizia è il fanalino di coda dell’UE 

Processi lumaca, scarsa indipendenza dei giudici e poche risorse umane: è un quadro d'insieme del sistema giudiziario italiano in fortissima difficoltà quello che emerge dal rapporto Ue sulla giustizia presentata dal Commissario Didier Reynders. Da quanto si legge, il caso italiano ha lasciato trasparire quanto sia vivo l'interesse in Europa sulla partita che il governo Draghi, e in particolare la guardasigilli Marta Cartabia, sta giocando proprio in queste ore: “La riduzione degli arretrati nei casi civili e commerciali è un segnale positivo importante”, ha spiegato il belga tabelle alla mano, ma i tempi stimati “per i procedimenti civili e giudiziari restano molto lunghi rispetto alla media Ue”. I dati riferiti al 2019 vedono infatti un'Italia che resta inchiodata alle ultime posizioni delle graduatorie europee: circa tredici mesi per la soluzione in primo grado di cause civili, commerciali e amministrative, col dato che va oltre i 500 giorni se si guarda alle sole controversie civili e commerciali, e che conquista la maglia nera assoluta per le decisioni di terzo grado, con oltre 1300 giorni. Sulla percezione di una scarsissima indipendenza di tribunali e giudici il belga ha preferito non commentare ma secondo il sondaggio di Eurobarometro (di aprile, e incorporato nella relazione) è legato alle interferenze della politica, col Paese scivolato ultimo nella graduatoria Ue, accanto a Polonia e Ungheria: “Monitoreremo l'attuazione delle riforme. 

L'Italia si è impegnata a ridurre la durata dei procedimenti civili del 40% e di quelli penali del 25%, in cinque anni. Questo avrà un impatto positivo sull'economia, ma dobbiamo vedere che tipo di evoluzioni” ci saranno, ha avvertito il Commissario, mettendo in guardia anche sulle “preoccupazioni” per lo scarso numero di giudici, con l'Italia anche in questo caso, fanalino di coda. “Ho letto della possibilità della divisione delle carriere tra giudici e procuratori, ma serve aumentare i numeri e quindi sarebbe bene mantenere la possibilità di muoversi da una carriera all'altra”, ha incalzato. E anche sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura Reynders ha detto la sua: occorre che l'Italia “si attenga agli standard europei del Consiglio d'Europa e lavori con la Commissione Venezia”, ha insistito, citando come esempio, l'importanza di “essere sicuri che nella sua composizione vi sia una maggioranza di giudici eletti da pari”. Ultimo ma non meno importante, “l'ampio margine che resta per digitalizzare il sistema”, anche questa una voce del piano di rilancio che dovrebbe portare all'Italia 25 miliardi di euro entro luglio, come anticipo di quei 191,5 miliardi che affluiranno gradualmente nel Paese fino al 2026. 

L’intesa sul Ddl Zan sembra difficile e in Aula tutto può succedere

Dopo una nuova giornata di scontro sul ddl Zan, a palazzo Madama c’è grande incertezza su come andrà a finire. Le posizioni dei partiti sono ormai congelate e, salvo imprevisti, così resteranno fino a martedì prossimo, quando, prima della riunione dell'aula, il presidente della Commissione Giustizia Andrea Ostellari, relatore del provvedimento, ha convocato un nuovo tavolo politico, un tentativo, last minute ma assai poco quotato, di trovare un'intesa sulla legge contro la transfobia. In assenza di novità politiche di rilievo, saranno i numeri a farla da padrone. Martedì, quando il testo approderà in aula, il primo esame da superare sarà quello delle pregiudiziali di costituzionalità. Sul tema interverrà anche Matteo Renzi: “Nel voto segreto questa legge non passa” insiste il leader Iv, “Non ci sono più margini per continuare a prenderci in giro. Siamo a un passo da una legge che tutela centinaia di ragazzi omosessuali e che possono avere delle tutele maggiori. Io dico facciamo un accordo su quei punti più divisivi”; “Mai vista una legge contro l'odio che si vorrebbe imporre odiando chi chiede di parlarne”. 

Sulle pregiudiziali, in ogni caso il voto è a scrutinio palese, quindi non dovrebbe riservare troppe sorprese. Più o meno, infatti, dovrebbe ripetersi lo scenario avuto martedì con il voto sul calendario: 111 sono stati i sì al rinvio dell'esame del ddl Zan al 22 luglio, 145 i contrari e 23 gli astenuti, i senatori di FdI; 145 vs 134, quindi, in una partita in cui ballano 11 voti. Superato questo primo scoglio, inizierà la discussione generale che dovrebbe andare avanti anche nella giornata di mercoledì. Sarà poi la presidenza di palazzo Madama, di concerto con la Conferenza dei capigruppo, a stabilire il termine di presentazione degli emendamenti. Dal numero delle proposte di modifica presentate dipenderà l'iter del provvedimento. La Lega, secondo gli ultimi rumors, sarebbe pronta a presentare centinaia di emendamenti. “I tempi, data la natura del provvedimento, non potranno certo essere contingentati” ragionano i senatori “e in più ci sono tre decreti in arrivo dalla Camera in scadenza”. Il dl Sostegni bis, infatti, scadrà il 24 luglio, il Semplificazioni il 30 luglio e il testo sulla Cybersicurezza il 13 agosto. Quale sia la meta, poi, è tutto da stabilire, data anche la presenza, prevista dal regolamento, di parecchi voti segreti. Attorno agli emendamenti potrebbero crearsi maggioranze inedite. Enrico Letta, in ogni caso, sembra per ora respingere ogni ipotesi di mediazione e resta fisso sull'obiettivo. 

Nel centrodestra è partito lo sprint per la federazione

Le prove generali della federazione del centrodestra iniziano in casa NcI. All'assemblea nazionale del partito di Maurizio Lupi prendono parte sia Matteo Salvini sia, attraverso una lettera aperta, Silvio Berlusconi. Il primo auspica di poter federare i gruppi parlamentari entro l'estate, il secondo guarda al 2023 sostenendo che ci si unirà per forza di cose, malgrado i dubbi e le contrarietà. Con i dovuti distinguo, anche tra gli azzurri è convinzione comune che la federazione si farà: è solo questione di tempi (e modi). Nel grande puzzle delle future convergenze, e dell'assemblea nazionale di Noi con l'Italia, spicca l'assenza di Giorgia Meloni che in giornata torna a bocciare il partito unico, ma apre a una eventuale candidatura del leader forzista al Quirinale: “Se ci fosse in campo Berlusconi non sarei io a dire di no, Draghi non l'ho ancora inquadrato”. Sulla partita del Colle, ancora lontana ma già molto presente in proiezione, interviene anche Matteo Renzi spiegando, in un'intervista all'Huffington Post, che l'apertura a un dialogo con la destra è “matematica”: “Nel 2022 per la prima volta nella storia la destra avrà la maggioranza relativa. Non siamo noi che coinvolgiamo la destra: la destra unita è maggioranza relativa, quasi assoluta”. All'iniziativa di NcI Lupi smorza le polemiche sulla mancata partecipazione di Meloni: “Abbiamo invitato anche lei, ma oggi è in Piemonte e non riusciva nemmeno a collegarsi, nessuna dietrologia. Ha fatto un'altra scelta sul Governo, ma continuiamo a lavorare insieme”. Poi avverte: “Senza il centro, il centrodestra non governerà l'Italia”. La leader di FdI in giornata è a Torino per sostenere il candidato Paolo Damilano e presentare il suo libro “Io sono Giorgia”. Da qui, si mostra molto fiduciosa: “Ci fidiamo del popolo italiano, aspettiamo che siano loro a scegliere”. 

Lontana geograficamente da Roma, resta vicina alla Capitale nei dossier sul tavolo della coalizione, come quello di Bologna, l'unica candidatura, tra le cinque principali città al voto, ancora da definire. In ballo ci sono due nomi, in particolare Andrea Cangini e Fabio Battistini, che sembra il favorito. Intanto, da Milano, con al fianco Salvini, il candidato unitario Luca Bernardo lancia la sua sfida: “Corriamo per vincere, non per partecipare”. I referendum sulla giustizia, negli ultimi tempi, sono diventati non solo il principale cavallo di battaglia leghista, ma anche il terreno in cui si sperimenta l'abbraccio tra Carroccio e Forza Italia. “La federazione nasce dal basso, dai territori e dai fatti, nei gazebo in cui si raccolgono le firme. Nei fatti c’è già”, dice Salvini. E il coordinatore forzista Antonio Tajani promette: “Sosterremo i referendum, ma in Parlamento dobbiamo approvare la riforma Cartabia”. In Europa, le differenze si fanno più evidenti: Salvini chiede un centrodestra unito anche a Bruxelles, mentre il baluardo di FI resta “la grande famiglia dei Popolari Europei”; il primo non vuol pronunciarsi sulla legge anti-Lgbt del governo Orban (“Mi occupo dell'Italia”), il secondo parla di un provvedimento “che non va bene e va modificato”.  

L’ex Sindaco Alemanno viene assolto dall'accusa di corruzione

Assolto dalla pesantissima accusa di corruzione e nuovo processo di appello per traffico d’influenze illecite. È quanto deciso dalla Cassazione in merito al procedimento che vede imputato l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno in uno dei filoni della maxinchiesta al Mondo di mezzo. Non regge, quindi, al vaglio della Suprema Corte l'impianto accusatorio che avrebbe potuto portare in carcere l'ex primo cittadino della Capitale. Per i giudici però non c’è stata alcuna corruzione e hanno fatto cadere l'accusa con la formula “per non avere commesso il fatto” nel capitolo che riguardava la gara d'appalto sulla raccolta differenziata e dichiarata prescritta l'ipotesi di corruzione nella vicenda del pagamento dei debiti Ama. I giudici hanno confermato la condanna (sei mesi) per l'accusa di finanziamento illecito e hanno disposto un nuovo processo davanti alla Corte d'Appello per la rideterminazione della pena che riguarda il capo di accusa riqualificato con la fattispecie del traffico di influenze illecite e lo sblocco dei pagamenti Eur Spa. La decisione della Cassazione è stata accolta con emozione da Alemanno: “Per me è la fine di un incubo durato sette anni, e che obiettivamente poteva essere evitato” ha commentato l'ex sindaco, “Mi sono ritrovato prima mafioso e poi corrotto, adesso rimane un piccolo traffico di influenze che sarà la Corte di appello a giudicare”. E ancora: “Questa sentenza ridimensiona questa vicenda: non c’è più corruzione, non c’è più quel fango che mi era stato tirato addosso”. 



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