Oggi in Cdm arriva la riforma del Csm ma restano le tensioni tra i partiti

Questa mattina, in Consiglio dei ministri la titolare della Giustizia Marta Cartabia presenterà gli emendamenti del Governo che andranno a modificare la riforma del Consiglio superiore della magistratura targata Alfonso Bonafede. L'intenzione di Mario Draghiè quella di chiudere il dossier in tempi rapidi rinviando alla prossima settimana, invece, quelli relativi a caro bollette, super bonus e balneari; poi, essendo una legge delega, la palla passerà al Parlamento. Quello che il premier vuole è “una condivisione politica” da parte del Governo che metta al riparo il provvedimento dal fuoco incrociato dei partiti quando la riforma arriverà alla Camera e al Senato. È in questo senso che la Guardasigilli, nei giorni scorsi, ha presentato le sue proposte di modifica ai responsabili giustizia delle diverse forze politiche, nel tentativo di evitare che le tensioni esplodano in Cdm prima e in Aula poi: “La ministra ci ha solo annunciato a voce le modifiche, non abbiamo mai visto i testi”, è però la lamentela che accomuna praticamente tutti gli schieramenti. 

La principale novità rispetto alla bozza di riforma prospettata da Cartabia a fine anno riguarda il sistema elettorale dei componenti togati del Csm: si parte da un sistema binominale maggioritario con una quota proporzionale e recupero dei migliori terzi. La filosofia dell'introduzione della parte proporzionale, assicurano da via Arenula, è quella di favorire il pluralismo e contrastare lo strapotere delle correnti; per candidarsi, infatti, non servirà una lista di firme di magistrati che ti sostengono e si potrà correre da soli. Il sistema convince il Pd, da sempre contrario al sorteggio come metodo d’individuazione dei membri di palazzo dei Marescialli, mentre resta lo scetticismo degli altri partiti. “La quota proporzionale è un passo avanti, ma non è sufficiente”, tagliano corto dalM5S, e anche FI è contraria: “Noi non siamo favorevoli al sistema proporzionale e preferiamo invece avere il sistema del sorteggio”, dice chiaro Antonio Tajani, che attacca il metodo messo in campo dalla Guardasigilli; “I nostri ministri non potranno votare se non c'è un testo scritto che potrà essere esaminato e studiato in maniera approfondita”, è l'avvertimento. 

Gli emendamenti, assicurano dal ministero della Giustizia, arriveranno ai partiti in modo da essere approfonditi e valutati. I nodi da sciogliere, però, restano, primo tra tutti quello che riguarda le cosiddette porte girevoli. Nella bozza presentata ai partiti a fine anno era previsto il divieto (valido sia per i sindaci e gli amministratori locali che per i parlamentari) di esercitare in contemporanea funzioni giurisdizionali e ricoprire incarichi elettivi e politici, come invece possibile oggi. Secondo le ultime ipotesi prospettate ai partiti, poi, il giudice che si candida e non viene eletto non può tornare a rivestire la toga per un periodo di tre anni; su questo punto però Lega e M5S restano sulle barricate, chiedendo una distinzione definitiva tra le due carriere. Trattative in corso, infine, anche per quel che riguarda i magistrati fuori ruolo che vanno a fare i ministri o i capi di gabinetto nei ministeri; in ogni caso, le tensioni restano alte. 

Grillo vede Conte, Di Maio e la Raggi. Obiettivo l’annullamento della sospensiva

Giuseppe Conte è convinto di poter ribaltare la sospensiva del Tribunale di Napoli che ha azzerato i vertici del M5S mettendo in discussione la sua leadership, già insidiata dal dualismo con Luigi Di Maio. E Beppe Grillo è disposto a lasciargli giocare quest'ultima carta legale, con non poche perplessità sull'esito dell'iniziativa, prima di rilanciare con l'azzeramento e ricostituire un Comitato di garanzia in grado di votare un nuovo statuto ed eventualmente una nuova leadership che potrebbe avere il volto di una donna come quello, ad esempio, di Virginia Raggi o Chiara Appendino. Sarebbe questa la dinamica emersa, secondo quanto riferito da fonti autorevoli dei 5 stelle, nelle due ore di confronto fra l'ex premier e il fondatore del Movimento, ultimo e più importante fra gli incontri che il comico genovese ha avuto nella sua missione a Roma per cercare la via più rapida per rilanciare il partito dopo uno scossone che ne ha messo in discussione il futuro, possibilmente trovando un punto di caduta che soddisfi tutti, a cominciare proprio da Conte. “Abbiamo fatto una riunione antibiotica per ripristinare il sistema immunitario del Movimento, quindi state tranquilli”, ha detto con il suo solito fare Grillo, uscendo a tarda sera a braccetto di Conte dallo studio di Luca Amato, notaio di Roma. Ma a chi gli domandava se l'ex premier fosse ancora il leader del Movimento, il garante non ha risposto, né ha detto una parola lo stesso Conte. Nel pomeriggio Grillo aveva allestito una sorta di caminetto di guerra con gli avvocati con l’obiettivo di far ripartire il M5S. Sfumato l'incontro con Roberto Fico, bloccato da un'influenza, Grillo ha incontrato gli altri due membri che facevano parte del comitato di garanzia, prima Luigi Di Maio, in un lungo e positivo faccia a faccia, e poi Virginia Raggi. Quindi, nello studio notarile, è iniziato il confronto con Giuseppe Conte

Alla vigilia della missione romana Grillo aveva frenato l'idea di Conte di una rapida consultazione per modificare lo Statuto e poi arrivare a una conferma della sua leadership. Il garante ha proposto di azzerare tutto, ma Conte si è detto forte del parere dei legali, convinti di avere in mano le carte per contrastare in modo efficace la decisione del Tribunale di Napoli, e ha insistito per approfondire questa soluzione presentando immediatamente un’istanza di revoca; Grillo sarebbe disposto a fargli esplorare questa ipotesi, mettendo in chiaro però che se non dovesse andare a buon fine allora prenderebbe in mano lui la questione. In quel caso, il fondatore del M5S sarebbe deciso a muoversi seguendo le linee dello Statuto approvato un anno fa, quindi punterebbe alla nomina del Comitato di garanzia (tre membri, che non ricoprono cariche elettive, votati in Rete fra una rosa di almeno sei nomi proposti dal garante) e poi far ripartire la macchina, seguendo la strada che porta alla votazione del Comitato direttivo o del presidente. Al Nazareno si guarda con attenzione all'evoluzione della situazione penta stellata ma si spiega che la linea del Pd è di non intervenire nella situazione di altri partiti anche se si osserva che la prospettiva di un fronte progressista con il M5s resta salda. 

Il Pd s’interroga sulle alleanze. Base Riformista apre al centro

Il caos che si è aperto nel Movimento 5 Stelle riapre il tema delle alleanze nel Partito Democratico. Fra i dem che siedono in Parlamento non passa inosservata l'intervista di Giorgio Gori in cui il sindaco di Bergamo, ed esponente di spicco di Base Riformista, chiede di aprire un dialogo anche con i riformisti di centrodestra, quindi Forza Italia, oltre che con le forze riformiste di centrorappresentante da Matteo Renzi e Carlo Calenda, il tutto nella prospettiva di un governo Draghi che si spinga oltre il 2023. Una visione, quella di Gori, che viene salutata con entusiasmo dal senatore dem Andrea Marcucci, da sempre molto vicino a Matteo Renzi. Il segretario Enrico Letta non ha mai sbarrato la strada a Renzi e a Calenda, ponendo le Agorà democratiche come base per impostare il dialogo, invito raccolto da Leu e M5S, non ancora da Azione e Iv. Ora, tuttavia, alle Agorà si aggiunge il lavoro parlamentare per l'agenda 2022 o agenda Mattarella.

 “L'evoluzione del quadro politico non è ancora chiara”, dice il senatore Pd Alessandro Alfieri, coordinatore di Base Riformista, “non si può sperare di creare uno schema a tavolino e farlo calare dall'alto. Il lavoro che faremo in Parlamento nei prossimi mesi sull'agenda 2022 ci aiuterà a capire. Eviterei affermazioni ultimative o con i Cinque Stelle o con Italia Viva, verificherei invece nel lavoro quotidiano in Parlamento se ci sono le condizioni per un progetto comune”. Detto questo, “ci vuole prudenza in questa fase, dobbiamo mantenere interlocuzioni con tutti coloro con i quali abbiamo fatto un tratto di strada insieme in questi anni. Con il Movimento 5 Stelle e con Renzi e Calenda”. Una delle incognite, tuttavia, è proprio la volontà di Matteo Renzi: il leader di Italia Viva, impegnato a ribattere “colpo su colpo” alle accuse dell'inchiesta sulla fondazione Open, ha fatto dell'antigrillismo una sua bandiera e avviato un confronto sul progetto di un grande centro con Giovanni Toti. Non solo: negli ultimi tempi ha ingaggiato un duello personale anche con Carlo Calenda; l'ultimo scambio al vetriolo ha riguardato il congresso di Azione: “Ci saranno tutti i leader”, fa sapere Calenda, “tranne Renzi che, per accettare, deve essere invitato da Biden in persona”. Lo sfottò ha colto nel segno, dato che poco dopo arriva la nota con cui Italia Viva annuncia la presenza all'evento. 

Salvini fa il pacificatore mentre la Meloni rivendica l’orgoglio del centrodestra

Tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni sembrano placarsi i toni accesi dei giorni successivi alla spaccatura sul Mattarella bis. In un duello a distanza in tv, i due leader cercano di sotterrare l'ascia di guerra tentando di riannodare i fili del dialogo. Tuttavia resta fortissima tra loro la rivalità per la leadership di una coalizione che nei territori, in vista delle elezioni amministrative, da Verona a Palermo, sta litigando furiosamente. I ruoli tra loro sono ormai codificati: il segretario leghista si rilancia come pacificatore, definisce la Lega come forza responsabile e annuncia che, dopo il decreto sull'energia, convocherà un tavolo dei leader del centrodestra. La Presidente di FdI sceglie invece il fronte dell'intransigenza, attaccando il Governo e chiedendo ai propri alleati maggiore “orgoglio” nel portare avanti con coerenza la scelta di campo contro la sinistra. Ambedue sanno che al di là delle scintille e delle polemiche prima o poi dovranno tornare insieme. Dal suo temporaneo isolamento per Covid, Matteo Salvini prevede già una road map per il ritorno del confronto interno alla coalizione: “Prima vorrei portare a casa un decreto sostanzioso, 5, 6, 7, 8 miliardi per le bollette, già nei prossimi giorni. Poi chiamo tutti i leader del centrodestra perché i litigi nei territori, dalla Sicilia alla Liguria, non sono una buona immagine per tutti noi. Portiamo a casa il decreto poi chiamo tutti e ci sediamo intorno al tavolo perché divisi non andiamo da nessuna parte”. Il leader della Lega ribadisce che lui sta lavorando “per unire e non per dividere. Come Lega abbiamo il ruolo dei pacificatori”. 

Sulla sua competitor, che stando ai sondaggi l'avrebbe superato, evita di affondare i colpi: “Giorgia Meloni ha detto dei no, a Draghi e a Mattarella, noi abbiamo fatto una scelta di responsabilità dicendo dei sì. Ma ora bisogna evitare di dividersi”. Anche la leader di Fratelli d'Italia smorza i toni, rispetto a quelli usati giorni fa, tuttavia alza l'asticella, chiedendo ad esempio agli alleati un voto unitario a favore del presidenzialismo: “Spero che il centrodestra sarà compatto su questa riforma, ma non abbiamo certezze di questi tempi, non me ne vogliano i colleghi, ma è da sempre una battaglia del centrodestra”. La riforma, se andasse in porto, ricorda l'ex ministro della Gioventù, garantirebbe a “chi vince le elezioni 5 anni per governare” e questo, aggiunge Meloni con un pizzico di malizia rivolto ai suoi alleati, “significa uscire dalla palude di una certa democrazia parlamentare, dove si fanno cose diverse da quelle promesse, avere stabilità, la forza per fare ciò che si promette”. Infine, l'ultima punzecchiatura, sempre rivolta al centrodestra di governo: “Quello che dovrebbe tenerci insieme è l'orgoglio di rappresentare decine di migliaia di persone che vogliono cambiare e non accettano che sei presentabile solo se ti consegni alla sinistra”. 



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