Il vertice Ue apre all’adesione dell’Ucraina all’Unione ma senza fast track

Il vertice dei capi di Stato e di Governo dell'Ue ha approvato la notte scorsa a Versailles il testo della sua “Dichiarazione sull'aggressione militare russa all'Ucraina”. Oltre alla durissima condanna espressa nei riguardi di Mosca e alla conferma del sostegno all'Ucraina e della protezione per i suoi profughi che stanno affluendo nell'Ue, i leader dei ventisette rispondono alla richiesta di Kiev di aderire all'Unione: nella dichiarazione c'è il riconoscimento unanime “dell'appartenenza dell'Ucraina alla famiglia europea”, ma si puntualizza che, dopo la rapidità iniziale con cui i ventisette hanno chiesto alla Commissione di fornire il suo parere sulla richiesta di adesione (un passaggio fondamentale perché un Paese possa ottenere lo status di candidato), il processo continuerà “senza ritardi” secondo i modi e i tempi previsti dalle “pertinenti disposizioni dei Trattati Ue”. Dunque, niente “fast track” nel processo di candidatura e poi nei negoziati di adesione. Ma, nel frattempo, il vertice Ue ha affermato anche la volontà di “rafforzare i legami con l'Ucraina” e il partenariato già esistente. 

Nella dichiarazione si legge: “Il Consiglio europeo ha riconosciuto le aspirazioni europee e la scelta europea dell'Ucraina, come è affermato nell'Accordo di associazione” con l'Ue. “Il 28 febbraio 2022, esercitando il diritto dell'Ucraina di scegliere il proprio destino, il presidente Volodymyr Zelensky ha presentato la domanda dell'Ucraina per diventare membro dell'Unione europea”, ricordano i ventisette, rivendicando poi di aver “agito rapidamente e invitato la Commissione a presentare il suo parere su questa domanda, conformemente alle pertinenti disposizioni dei trattati”. “In attesa” del parere della Commissione e senza ritardo “rafforzeremo ulteriormente i nostri legami e approfondiremo il nostro partenariato, per sostenere l'Ucraina nel perseguire il suo percorso europeo. L'Ucraina appartiene alla nostra famiglia europea”. Il Consiglio europeo, infine “ha invitato la Commissione a presentare i suoi pareri sulle domande” di adesione presentate anche “dalla Repubblica di Moldavia e dalla Georgia”.

Paesi UE divisi sul piano europeo di emissione di bond per energia e difesa

L'agenda delle discussioni del Consiglio europeo in corso a Versailles non ne fa menzione e l'iniziativa non viene dalla Commissione europea, ma c'è un convitato di pietra di questo vertice dei capi di Stato e di governo dei Ventisette: è la proposta di un nuovo Piano d’investimenti coperto dall'emissione di titoli di debito dell'Ue per finanziare la spesa nei settori della difesa e dell'energia, diventata improvvisamente necessaria e urgente a causa della guerra in Ucraina. L'iniziativa è ancora da precisare nei dettagli, ma ha già provocato una levata di scudi da parte dei Paesi cosiddetti frugali, mentre è certamente destinata a essere ben accolta da quelli mediterranei. Secondo una fonte Ue qualificata, se n’è discusso una sola volta, la settimana scorsa, nel Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri nel Consiglio Ue, che prepara le sue riunioni ministeriali), in conformità a una presentazione orale e senza documenti scritti. Il piano comporterebbe l'emissione sul mercato di obbligazioni da parte della Commissione europea per finanziare gli investimenti degli Stati membri per la difesa e per una riduzione accelerata della pesante dipendenza energetica dell'Ue. Il modello sarebbe quello del programma europeo Sure (usato a sostegno dei sistemi di cassa integrazione nazionali durante la pandemia), più che quello del Next Generation EU. In altri termini, non vi sarebbero trasferimenti europei a fondo perduto (finanziati dal bilancio comunitario), ma solo prestiti a tasso agevolato agli Stati membri, da restituire poi all'Ue. 

“L'Europa deve cambiare più velocemente e con più forza per l'impatto della guerra” in Ucraina, dopo essere “cambiata per la pandemia”; e i Ventisette devono essere “ambiziosi” perché il conflitto li chiama a prendere “decisioni storiche” per “ridefinire totalmente l'architettura della nostra Europa”, ha sottolineato Emmanuel Macron prima dell'inizio del vertice di Versailles. Difficile non vedere in queste frasi un riferimento, per quanto implicito, al nuovo piano; per il presidente francese “Dobbiamo prepararci a tutti gli scenari e definire insieme i nostri piani per i prossimi anni per l'industria, l'agricoltura, l'energia. Dobbiamo essere solidali per costruire un'Europa comune”. Roma e Parigi su questo sono sulla stessa linea, ma le posizioni della Francia, dell'Italia e degli altri paesi mediterranei, si scontrano inevitabilmente con quelle dei Paesi cosiddetti frugali. Prima di tutto, l'Olanda: “Non è sul tavolo una cosa simile” ha chiarito il premier Mark Rutte. Molto dura anche la premier svedese Magdalena Andersson, che arrivando al vertice ha dichiarato: “Sono stata Ministra delle Finanze per sette anni: alcuni Paesi trovano sempre nuovi argomenti per non pagare per le loro spese. Io vorrei che il denaro dei contribuenti fosse speso per ospedali, scuole, pensioni. Ma sfortunatamente dovremo spendere di più per la Difesa”. Molto diversa, invece, la presa di posizione del cancelliere austriaco Karl Nehammer: “Gli investimenti sono necessari e importanti ora, e devono essere fatti in comune”, ha dichiarato spostando così il suo Paese fuori dai frugali. 

Draghi lancia l’allarme crescita. Asse con Parigi per risposte comuni

In Consiglio dei ministri le informative di Giancarlo Giorgetti e Stefano Patuanelli non lasciano spazio a molti dubbi. Il titolare del Mise mette in evidenza le problematiche legate all'export e alla carenza e la conseguente impennata dei costi delle materie prime. La task force che ha messo in campo non esclude la possibilità di attivare dazi e “misure di protezione” per proteggere le imprese italiane. Anche il ministro dell'Agricoltura è in allarme e chiede “un confronto urgente in ambito europeo” per arrivare alla creazione di un Energy Recovery Fund e per attivare un regime straordinario sul modello dell'emergenza Covid che autorizzi aiuti di Stato in deroga in modo da aiutare le imprese agricole in difficoltà, a partire dalla ristrutturazione dei debiti che gravano sulle loro spalle. Serve poi una differenziazione dei mercati di approvvigionamento, insiste, pena una mancata autosufficienza anche sul fronte agroalimentare (“l'Ucraina, nel 2021, ha fornito il 3% delle importazioni di frumento tenero e il 13% di mais”). La crisi in Ucraina e le sanzioni decise nei confronti di Mosca fanno sentire sempre di più il loro peso sull'economia italiana, Mario Draghi lo sa e segue costantemente ogni dossier e gli indici di crescita. Il “rallentamento” c'è, così come chiaro è il rischio che la situazione continui a peggiorare. 

La consapevolezza è diffusa tra tutti i ministri che dipingono un quadro non affatto buono, tanto che Renato Brunetta evoca gli anni '80 e lo “scompenso tra salari e costo della vita”. Ferma è la volontà del Governo di lavorare alle contromisure: “La nostra economia non è in recessione, la nostra economia continua a crescere ma c'è stato un rallentamento” ripete Mario Draghi arrivando a Versailles per il vertice informale dei Capi di Stato e di Governo, “In Consiglio dei ministri ho detto che dobbiamo affrontare queste strozzature nell'offerta, questa mancanza di materie prime subito in tutti i settori, sostenendo le famiglie subito ma anche diversificando le fonti di approvvigionamento”. Per sbloccare le risposte alla crisi, però, il premier aspetta che qualcosa si muova a livello comunitario: “La risposta a questo dramma non può che essere europea. Quindi anche per quanto riguarda il sostegno dell'economia europea e il sostegno dell'economia italiana dovrà essere una risposta europea e italiana. Dobbiamo sostenere le imprese, il potere di acquisto delle famiglie con la stessa convinzione, la stessa rapidità con cui abbiamo sostenuto la risposta alla Russia”. Il Premier Draghi ne ha parlato a Emmanuel Macron in un lungo incontro bilaterale; Roma e Parigi, assicura, sono assolutamente “allineate” con il resto dell'Ue, “sia nella risposta alle sanzioni sia nel sostegno per i nostri Paesi”. Anche l'ipotesi di un debito comune europeo per finanziare i nuovi aiuti vede Francia e Italia dalla stessa parte. 

La Camera approva la proposta di legge sul fine vita. Ora tocca al Senato

Primo via libera alla proposta di legge sul fine vita: l'Aula della Camera ha dato il via libera al provvedimento sulla morte volontaria medicalmente assistita con 253 voti favorevoli, 117 contrari e un astenuto. Il testo passa adesso all'esame del Senato e proprio nell'altro ramo del Parlamento, dove i numeri sono più risicati, l’iter potrebbe complicarsi come accaduto nei mesi scorsi con il ddl Zan, quello contro l'omotransfobia affossato a Palazzo Madama dalla tagliola della Lega. Tuttavia, secondo il segretario del Pd Enrico Letta, la situazione stavolta dovrebbe essere diversa: “Io sono meno preoccupato perché su questa materia ci sono schieramenti in campo che agiscono in modo differente. La nostra battaglia sul ddl Zan purtroppo si bloccò, in questo caso gli schieramenti sono più larghi”. Alla Camera si è registrato il voto contrario di Lega e FdI e quello favorevole del campo progressista composto da PdM5S e Leu; in Fi invece, nonostante il no annunciato in dichiarazione di voto, sono arrivati alla fine 7 voti favorevoli in difformità dal gruppo (tra cui quelli di Elio Vito, Renata Polverini e Stefania Prestigiacomo) oltre a un astenuto. Differenze di vedute anche all’interno di Coraggio Italia, con 5 voti a favore e altrettanti contro, e  situazione simile si è verificata in IV (12 sì e 7 no) dopo la decisione di lasciare libertà di coscienza sul provvedimento, che comunque, come ha evidenziato Letta, alla fine “è stato approvato con una maggioranza abbastanza larga e importante. È un fatto storico”. 

Adesso la palla passa però a Palazzo Madama, e per Letta “è responsabilità del Senato fare la sua parte nel più breve tempo possibile per colmare un vuoto normativo nel nostro Paese”. Arrivare alla fumata bianca tuttavia non sarà una passeggiata vista l’opposizione del centrodestra, con Matteo Salvini che ha sì riconosciuto la differenza con il Ddl Zan (“sono temi molto diversi”), ma ha anche fatto capire chiaramente quale sia la sua posizione: “Noi lavoriamo per la vita, sempre, fino in fondo. Poi io sono credente e il mio obiettivo, la mia missione è di aiutare a vivere meglio fino all’ultimo”. A spingere per il via libera definitivo della proposta di legge c’è invece il presidente del M5S Giuseppe Conte, secondo il quale l’ok della Camera permette di compiere “un fondamentale e deciso passo in avanti sul tema, complesso e delicato, del fine vita, nel perimetro già indicato dalla Corte costituzionale. Con il percorso che abbiamo avviato difendiamo, innanzitutto, il principio della dignità umana, bilanciando il fondamentale diritto alla vita con il diritto all'autodeterminazione della persona, e rafforziamo anche il diritto alle cure palliative, colmando un vuoto normativo che generava incertezze e aggiungeva sofferenze a sofferenze”. 

Il Governo cerca punti d’incontro sulla delega fiscale: nodo flat tax e catasto

Dopo lo strappo sul catasto (la palla è passata al Senato dove i voti del centrodestra possono paralizzare la Delega fiscale) lo scontro dentro la maggioranza sul fisco rischia di spostarsi sulla flat tax. Al termine della prima giornata di bilaterali tra Governo e le forze politiche di maggioranza, è stato proprio il tema del regime forfettario ad alimentare il dibattito: la Lega ha chiesto al governo di aumentare a 100mila euro il limite di redditi per aderire al regime forfettario con un'aliquota al 20%. Sul tema, ha riconosciuto il capogruppo dem in Commissione Finanze della Camera Gian Mario Fregomeli al termine della riunione, “ci sono distanze”: per il Pd“deve essere uno strumento temporaneo” che “preveda poi un rientro, anche con modalità agevolate, al sistema progressivo. Siamo aperti al confronto, non abbiamo pregiudiziali ideologiche” ha assicurato ma “certamente non è ipotizzabile che chi è nel regime della flat tax non versi un euro alla sanità regionale o agli enti locali”.

Dello stesso tenore l'orientamento di Leu: “Non è accettabile” ha detto Luca Pastorino aprendo invece sull'eliminazione dell'Irap a patto che il gettito mancante “non debbano poi pagarlo dipendenti e pensionati”. Della necessità di una mediazione ha parlato invece Italia Viva per la quale l'importante è “portare a casa la Delega fiscale per arrivare ad un sistema che sostenga la crescita e porti la semplificazione” ha detto Massimo Ungaro. Sulla flat tax IV suggerisce “uno scivolo” con “la soglia dei 65mila euro che non sia un tetto ma oltre la quale possa esserci un sistema intermedio di due anni con un'aliquota maggiore ma comunque inferiore a quella ordinaria”. Questa mattina Forza Italia incontrerà il Governo per l'ultimo bilaterale sul fisco, un chiarimento necessario per cercare di allentare le tensioni e di raccogliere le proposte dei partiti di centrodestra in maggioranza sulle quali la mediazione è possibile. Con ogni probabilità il Governo si prenderà tutta la prossima settimana per cercare una sintesi e le votazioni sugli emendamenti alla Delega fiscale in Commissione Finanze della Camera potrebbero entrare nel vivo non prima della settimana successiva.



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