Il Governo chiarisce che sul Recovery Plan le Camere voteranno a ottobre

Il Parlamento sarà profondamente e costantemente coinvolto nella messa a punto del Recovery Plan, così come Regioni, Province e Comuni: le linee guida saranno sottoposte all'attenzione delle Camere che forniranno suggerimenti e indirizzi ed esprimeranno il loro voto con risoluzioni in Aula entro i primi di ottobre, in tempo per l'apertura dell'interlocuzione con la Commissione Europea il 15 del prossimo mese. Poi potranno, se lo riterranno opportuno, portare avanti un monitoraggio sui progetti e sulle spese fino alla conclusione del piano, nel 2026. Il giorno dopo la riunione del Ciae e la discussa pubblicazione delle linee guida sulla stampa, il Governo rassicura sul ruolo centrale che il Parlamento avrà in tutto il percorso di definizione dei progetti cui saranno destinati i 209 miliardi del Recovery Fund; lo fa innanzitutto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in una riunione con i capigruppo di maggioranza convocata per rassicurare gli alleati dopo lo strappo nato proprio a causa dell'annuncio delle linee guida prima delle audizioni parlamentari, e lo fa il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola, chiamato a illustrare il piano proprio davanti alle Commissioni Bilancio e Politiche Ue di Camera e Senato. 

Conte non ha parlato direttamente ma a prendere la parola sono stati i capigruppo Pd Andrea Marcucci e Graziano Delrio. “La centralità del Parlamento, in questo quadro, appare ancora più chiara ed essenziale”, ha sottolineato l'ex ministro, cui ha fatto eco il senatore: “Le Camere voteranno le linee d’indirizzo del Recovery Fund entro i primi di ottobre”, ha annunciato Marcucci esplicitando quanto anticipato dal presidente della Camera Roberto Fico e cioè che linee guida discusse a Palazzo Chigi sono “il contributo che offriamo al Parlamento per le sue modifiche e il suo indirizzo”. Del resto è pieno interesse del Governo arrivare a Bruxelles con il mandato delle Camere, “perché in questo modo si rafforza il modo in cui l'esecutivo può operare nei confronti di Bruxelles”. Amendola ha quindi chiarito la tempistica per ottenere le risorse: l'anticipo del primo 10% non potrà infatti arrivare che dopo alcuni mesi dalla presentazione, minimo tre, considerati tutti i passaggi; tra gennaio e aprile 2021 dovrà essere presentato alla Commissione europea il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza e la Commissione avrà a disposizione fino a 8 settimane per esaminare e proporre al Consiglio Ecofin l'approvazione del Piano; l'Ecofin dovrà approvare quindi il piano a maggioranza qualificata entro 4 settimane. 

Dalla presentazione formale del piano “potrebbero quindi passare mesi per l'approvazione che poi darà la possibilità di accedere subito al 10% del finanziamento globale”, ha specificato. Ciò non vuol dire però che l'Italia sia in ritardo, come precisato anche dal ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, ma solo che sta seguendo la procedura prevista a livello comunitario. Salute, digitale, infrastrutture, ambiente, lavoro sono alcuni dei pilastri sui cui puntare per rimettere l'Italia in carreggiata adeguandosi ai ritmi di crescita dell'Unione Europea, ha ribadito Amendola, cui hanno fatto eco i ministri Sergio Costa e Roberto Speranza interventi davanti alle Commissioni parlamentari. Per quanto riguarda la sanità, “Il piano che stiamo costruendo si basa su 5 assi fondamentali: 3 sono verticali (territorio e sanità di prossimità; ospedali in rete; salute e ambiente) e 2 trasversali (conoscenza per la salute e innovazione digitale per il Servizio sanitario nazionale)”, ha spiegato il ministro della Salute. “Il 37% delle risorse assegnate all'Italia devono andare al green”, ha invece affermato il titolare dell'Ambiente, che ha puntato l'attenzione anche sui 700 milioni dal Meccanismo per la giusta transizione, il Just transition fund, che potranno essere utili per la "riconversione di alcuni poli industriali", tra cui l'ex Ilva e il Sulcis. 

Adottato il testo base del Brescellum con i voti di M5S e Pd, Iv non vota

Primo via libera alla riforma della legge elettorale (un proporzionale con soglia di sbarramento al 5% e diritto di tribuna per i piccoli partiti): la Commissione Affari costituzionali della Camera, dopo vari stop and go, ha adottato il testo base con i soli voti favorevoli di Pd e M5s e la 'non belligeranza' dei renziani e di Leu; Iv non ha partecipato al voto perché contraria all'accelerazione voluta dai dem, mettendo sul tavolo del confronto anche la sfiducia costruttiva e il superamento del bicameralismo paritario e chiedendo un maggior coinvolgimento delle opposizioni. Leu, invece, pur favorevole a un sistema proporzionale, contesta la soglia di sbarramento al 5%, considerata troppo alta. Protesta il centrodestra, protagonista di un duro scontro in Commissione con il presidente Giuseppe Brescia (M5S), accusato di mettere “il bavaglio” alle opposizioni, che hanno tentato fino all'ultimo di far slittare il voto sul testo base chiedendo approfondimenti tecnici al Governo, che, ha garantito lo stesso Brescia, saranno svolti nelle prossime sedute, prima di avviare l'esame della riforma nel merito. Ma la protesta del centrodestra è proseguita, con attimi di tensione e la scelta di Forza Italia, Lega e FdI di abbandonare i lavori della Commissione: “Non saremo complici di questo scempio”, ha detto l'azzurro Francesco Paolo Sisto

Non nasconde la soddisfazione il PD, da settimane impegnato in un serrato pressing sugli alleati di governo per accelerare il cammino delle riforme: “Abbiamo combattuto anche ad agosto e ora anche il cantiere delle riforme costituzionali sta andando avanti, compreso l'inizio finalmente della legge elettorale”, osserva il segretario Nicola Zingaretti, che rivendica: “In un mese si è passati dal nulla all'adozione del testo base. Questo dimostra che il Pd ha ragione. Non ci regalerà niente nessuno, se amiamo l'Italia bisogna combattere per andare avanti”. Il voto in Commissione fa compiere solo un primo passo formale, ovvero l'adozione del testo base, ma la strada è ancora tutta in salita e, soprattutto, il percorso della riforma elettorale sarà inevitabilmente condizionato dall'esito delle elezioni regionali e del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari: i due appuntamenti con le urne potrebbero modificare gli equilibri interni alla maggioranza e, in caso di un risultato non eclatante per i dem, segnare anche la stessa leadership del partito. Tra l'altro, diversi sono ancora i nodi da sciogliere, a cominciare dalla soglia di sbarramento, ora al 5% e che difficilmente resterà immutata. Ma c’è anche il tema delle liste: saranno corte, lunghe, bloccate o si reintrodurranno le preferenze, come chiede il M5s? 

Una fronda del M5S punta direttamente il dito contro Casaleggio e Rousseau

C’è tensione nel M5S dopo la visita di Davide Casaleggio a Roma. “È arrivato alla Camera per incontrare la comunicazione senza neanche avvisare il capogruppo”, lo sfogo di uno dei deputati; avrebbe espresso irritazione anche il Direttivo. Ma sono soprattutto le sue affermazioni, quel riferimento alla leadership in mano ai facilitatori del futuro, ad aver creato fibrillazioni. Ieri il figlio di Gianroberto ha incontrato Massimo Bugani per aprire, tanti sussurrano, la strada alla leadership di Alessandro Di Battista. Ma al di là dei veleni e delle accuse sotto traccia, la partita sulla guida del Movimento e sulla direzione da intraprendere è sempre più tesa. I big del Movimento avrebbero di fatto raggiunto una sorta d’intesa sull'organismo che dovrebbe avere la funzione di guida con un capo politico legittimato dal voto degli attivisti: dovrebbe essere una squadra di una decina di esponenti che comprenderebbe tutti i big e i capigruppo di Camera e Senato. Ma sarebbe proprio Davide Casaleggio a opporsi al piano che verrebbe votato sulla piattaforma Rousseau: avrebbe infatti incontrato diversi esponenti di primo piano per ricucire lo strappo dei giorni scorsi, ma rimanendo fermo sempre sulle sue posizioni di un movimento identitario in mano agli attivisti senza filtri e senza alleanze predeterminate. Anche se c’è chi dice che starebbe allo stesso tempo trattando per una sorta di buonuscita, ovvero un contratto di fornitura di servizi, in modo che Rousseau diventi lo strumento per le votazioni senza che sia l'attuale associazione a determinate scelte e quesiti. 

In ogni caso la tregua potrebbe durare poco, considerato che un ampio fronte parlamentare chiede al capo politico del M5S risposte chiare sia sulla guida che sulla linea da portare avanti. E non si tratta solo dell'associazione “Parole guerriere” che due giorni fa ha inviato una lettera a Vito Crimi per invocare chiarimenti, auspicando che le decisioni sul futuro vengano prese prima del 21 settembre e soprattutto non tramite la piattaforma Rousseau. Nel pomeriggio, secondo quanto si apprende da fonti parlamentari pentastellate, il capo politico ha incontrato i capigruppo. Dietro le quinte non si nasconde più l’eventualità che si arrivi ad una vera e propria scissione qualora non venga indicato subito il percorso post-Regionali. I nodi riguardano Rousseau (compreso il finanziamento all'associazione che arriva dai parlamentari), i progetti da realizzare e soprattutto l'asse con il Partito Democratico; questo fronte ipotizza anche il grande strappo. Per ora sarebbe arrivato solo una sorta di ultimatum ma il piano B sarebbe quello di un gruppo da costituire subito dopo l'appuntamento alle urne per rafforzare l'asse con i dem e mettere in salvaguardia il Governo. 

Si tratterebbe di un gruppo a sostegno del premier Giuseppe Conte che conterrebbe una cinquantina di parlamentari. Il timore dei pentastellati che non escludono questa prospettiva è legato proprio al post Regionali: “Senza una direzione chiara il rischio è che dopo sia troppo tardi, che tutto il Movimento esca ridimensionato, compresi i Ministri” dice un big del Movimento. Sulla necessità di imprimere una svolta sono posizionate tutte le anime del Movimento, sul come realizzarla c’è invece divisione di vedute. In questa partita in ogni caso Luigi Di Maio, che continua a ribadire la necessità di una leadership forte, sta svolgendo un ruolo di mediatore; a chiedere di forzare la mano sono soprattutto coloro che puntano a estromettere Davide Casaleggio dalla vita del Movimento, anche per stoppare l'eventuale progetto che punterebbe a Alessandro Di Battista leader, un'ipotesi frenata da diversi big che preferirebbero una sorta di compromesso. Ma il segnale delle fibrillazioni nel Movimento 5 stelle è anche nel numero degli assenti alle votazioni alla Camera per l’approvazione definitiva del decreto semplificazioni: quattro pentastellati hanno votato contro (Andrea Colletti, Fabio Berardini, Elisa Siragusa e Marco Rizzone), 45 deputati non hanno partecipato al voto e 31 risultano in missione. 



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