Il Governo Draghi ottiene la fiducia sul decreto aiuti

L'incontro tra Mario Draghi e Giuseppe Conte ha portato i suoi frutti, almeno per ora. Nonostante le tensioni, il Governo ha incassato la fiducia sul decreto Aiuti con 410 voti favorevoli e 49 contrari: “Non si muore mai”, dice a sera lasciando Montecitorio Federico D'Incà; il ministro per i Rapporti con il Parlamento negli ultimi giorni ha cercato di tenere compatti sia la maggioranza che il M5S e anche se i tabulati certificano 28 voti mancanti tra i pentastellati per adesso può dirsi soddisfatto. Certo, più che a lunedì, quando alla Camera è in calendario il voto finale sul provvedimento (i grillini hanno già annunciato che lasceranno l'aula), i riflettori sono puntati sul Senato dove l’approvazione definitiva del decreto sarà “preda”, scommettono in maggioranza, “dell'ennesimo penultimatum di Conte”. Conte lo ha detto chiaramente: “Al Senato vedrete”. Impegnato nel suo viaggio in Africa, anche Sergio Mattarella prova a starne fuori, lasciando i partiti alle loro autonomie, pur vigilando sempre sulla stabilità dell'esecutivo. Se il M5S, come ventilato da alcuni falchi, a palazzo Madama dovesse sfilarsi, gli equilibri non sarebbero più gli stessi e la stessa tenuta del Governo sarebbe a rischio così come la legislatura. Gli uomini vicini al premier interpretano come un “segnale molto positivo” il voto della Camera e si dicono “fiduciosi” sul passaggio al Senato. Del resto, se Conte chiede risposte concrete, la linea coincide con quella del Governo che rimane concentrato sulle cose da fare. 

Ok dal Cdm a Finlandia e Svezia nella Nato e a velocizzare i giudizi amministrativi sui progetti del Pnrr

Nel pomeriggio, infatti, a pochi minuti dal voto in Parlamento, Draghi ha riunito il Cdm. I Ministri votano rapidamente, all'unisono, la ratifica dei protocolli Nato sull'adesione della Finlandia e della Svezia. A seguire il Governo ha preso atto della risoluzione del rapporto di concessione con la Società Strada dei Parchi Spa, contestando “gravi inadempimenti” e la mancata definizione del piano economico finanziario. Dalla mezzanotte la gestione delle due autostrade passerà ad Anas ed è la prima volta che questo accade. Il Cdm, inoltre, introduce una norma di accelerazione della durata dei giudizi amministrativi che consente di adattare la durata del processo ai tempi e agli obiettivi del Pnrr; lo scopo è di rendere i procedimenti che si svolgono davanti al Tar e al Consiglio di Stato più rapidi e compatibili con il rispetto dei tempi puntando a un'accelerazione di tutte le fasi del giudizio, incluse le procedure di approvazione e realizzazione delle opere e le attività di espropriazione e occupazione. Dopo le polemiche degli ultimi giorni, insomma, il premier prova a serrare i ranghi e guardare al futuro. 

Martedì è in agenda anche l'incontro con i leader sindacali su salario minimostipendi e lotta all'inflazione, mentre sono ancora in via di definizione le possibili misure per rateizzare le cartelle e risolvere il dossier per la cessione dei crediti che incaglia il superbonus. In Parlamento, però, gli ostacoli non mancano; la Lega promette le barricate su Ius scholae e liberalizzazione della Cannabis: su queste cose “non c'entra niente il Governo ma sono iniziative di partito su cui siamo legittimamente e fermamente contrari. Bisogna distinguere i due piani. La Lega si metterà giustamente di traverso con tutti i mezzi possibili”, avverte il governista Giancarlo Giorgetti che poi non se la sente di azzardare un pronostico su chi lascerà prima la maggioranza tra Lega e M5S. Se Conte dovesse strappare, però, sottolinea il ministro “bisogna chiedere a Draghi e al Parlamento se ci sono i numeri per andare avanti”. 

Letta fa un appello alla stabilità del Governo per affrontare le emergenze

Stabilità e coesione per affrontare la seconda metà del 2022 che si preannuncia particolarmente complessa: la giornata del segretario del Pd Enrico Letta ha fugato ancora una volta i dubbi su quale tra i partiti della maggioranza sia quello maggiormente impegnato a garantire continuità al Governo. “Io sono per fare, per quanto ci riguarda, un appello alla stabilità e un appello al fatto che il nostro Paese in questo momento ha bisogno di un governo solido, stabile e con una maggioranza coesa che riesca a trovare le intese che sono necessarie”, ha detto Letta rispondendo ai giornalisti a Bisceglie, a margine di Digithon, che gli chiedevano se il Governo fosse a rischio. La recessione, il Pnrr, il caro bollette, le piccole e medie imprese in difficoltà, il ritorno della pandemia sono gli ostacoli incombenti che il segretario del Pd segnala come quelli cui dare risposte con maggiore tempestività e decisione: “Noi siamo lì per fare questo” e per farlo “c'è bisogno di un Governo che lavori e di una maggioranza che lo aiuti”. 

È un appello a tutte le forze che sostengono il governo Draghi, che “deve continuare con forza e determinazione”, compreso il M5S, l'altra gamba del campo largo che in questi giorni è attraversata da potenti fibrillazioni che mettono in discussione una possibile permanenza al Governo. E d'altronde lo stesso leader Giuseppe Conte ha confessato che la comunità pentastellata “sta con un piede fuori”. Da parte di Letta non sono mancati i riferimenti diretti al Movimento, prima da Napoli, dove si è recato per ricordare Guglielmo Epifani a un anno dalla scomparsa, rassicurando sulla tenuta dell'intesa: “Noi in questo momento siamo impegnati dentro a una maggioranza di governo che è composita, con alleati più vicini, con alleati con i quali stiamo governando insieme. Con il M5S continua un percorso di discussione sulle cose da fare”; poi dalla Puglia dove l'ex presidente del Consiglio avverte: “Se i 5 stelle dovessero dire addio ci porremo il problema se fare un Draghi bis o un nuovo Governo”.

Il Pd propone a Lega e Fdi un proporzionale con premio di maggioranza

Si torna a parlare di legge elettorale. Il Pd avrebbe proposto a Lega e Fdi, gli unici partiti ostili ad affrontare la modifica della legge elettorale, un sistema proporzionale ma con un premio di governabilità alla coalizione che supera una certa soglia, per esempio il 40%; un modello in cui i partiti, pur coalizzati, non debbano litigare per l'assegnazione dei collegi uninominali, ma in cui pur presentandosi in coalizione ognuno faccia la propria corsa. La proposta ricalca il sistema della Regione Toscana con il premio a chi supera il 40% senza però il secondo turno che il centrodestra di oggi non vuole. L'ipotesi cui lavora il Pd affronta il vero punto debole del Rosatellum agli occhi dei sostenitori del maggioritario: le liti cui andrebbero incontro i partiti di una coalizione nella suddivisione dei collegi uninominali. Nel centrodestra si sta già discutendo che la spartizione debba essere fatta sulla base degli attuali sondaggi o dei numeri dei gruppi parlamentari che fotografano un'altra fase politica. Lo stesso dicasi nel centrosinistra, in cui i rapporti di forza tra Pd e M5S si sono invertiti. Nell'ultima proposta del Nazareno tutti i partiti si presenterebbero con le proprie liste agli elettori chiedendo il voto, poi il premio andrebbe alla coalizione di liste che supera la soglia. 

Per certi versi sarebbe un ritorno alla legge Calderoli, ma superando i rilievi che la Consulta fece al Porcellum. Quindi sì al premio di maggioranza alla coalizione, ma qui c’è il primo scoglio, cioè il quorum richiesto per averlo: 40%, 43% o 45%? Il centrodestra propende per una soglia bassa intorno al 40%. Altro dettaglio non indifferente è la soglia di sbarramento per accedere al riparto dei seggi: si parla del 3% come nel Rosatellum o del 4%, ma non più bassa. Inoltre si ragiona se i partiti che non raggiungono tale soglia concorrano o meno al raggiungimento del quorum grazie a cui la coalizione ottiene il premio. C’è poi un tema che divide dall'interno i singoli partiti e coalizioni: al Nord il centrodestra vincerebbe l'ampia maggioranza dei collegi uninominali, quindi i Dem di quelle Regioni sono favorevolissimi a tale meccanismo, mentre gli esponenti di Emilia e Toscana sono contrari perché invece con il Rosatellum il Pd otterrebbe più seggi; simmetricamente opposto è il dibattito dentro i partiti di centrodestra. Infine c’è il tema delle preferenze, con l'ipotesi del solo capolista bloccato. Per ora, comunque, il livello di discussione è solo politico, se modifica della legge elettorale sarà lo capiremo dopo l’estate.

Calenda e Della Vedova sono pronti a lanciare Azione Europea. No di Sala

liberali italiani, storicamente divisi tra loro, si riuniscono e danno vita a un partito unico che mette insieme le diverse anime, e chiamano come garanti dell'iniziativa alcune grandi personalità dell'area, come il presidente della Fondazione Einaudi Giuseppe Benedetto, il presidente dell'Istituto Bruno Leoni Franco Debenedetti e Carlo Scognamiglio. L'operazione è stata lanciata da Azione e +Europa, che il 24 settembre prossimo celebreranno il Congresso fondativo. Il nuovo soggetto di Carlo CalendaBenedetto Della Vedova ed Emma Bonino, si tira fuori dalle operazioni di centro di Giuseppe Sala. Il nuovo soggetto liberale (Alessandro De Nicola si è lasciato sfuggire un possibile nome, Azione Europea) mette insieme i liberali classici, i liberali progressisti, i repubblicani e i liberali di ispirazione cattolica. E una solida “identità liberale”, sottolineata da Giuseppe Benedetto, evita di confondere questa proposta con altre centriste, come quella di Giovanni Toti che verrà lanciata sabato. “Il perimetro è ben definito” insiste Della Vedova, e non ha nulla a che fare con “altre iniziative centriste che tanto non nasceranno mai perché servono solo a trattare su qualche posto nel centrodestra o nel centrosinistra” sentenzia Carlo Calenda.

Giuseppe Sala? Il sindaco di Milano non sembra intenzionato ad aggregarsi ai liberali ma semmai a mettersi in proprio su un progetto dal profilo ambientalista e sociale. Riferendosi all'incontro di mercoledì con Luigi Di Maio ha dichiarato: “Ci confrontiamo su una serie di idee; da qui a dire che potrà nascere qualcosa con lui o con altri per me è prematuro. Credo che lo stesso Di Maio stia costruendo quello di cui c’è bisogno, questa è la fase in cui tanti si parlano, io con lui parlo ma non c’è ad oggi un progetto per partire”. Insomma il cantiere è aperto ma in attesa che qualcosa maturi Sala indica il profilo che ha in mente: “Il tema del centro non m’intriga particolarmente” ha precisato, per poi aggiungere che semmai c’è bisogno di una forza “popolare” e “ambientalista”; e tuttavia “essere ambientalisti e basta non serve a niente perché bisogna fare i conti con altre istanze di equità sociale, di bisogno, perché obiettivamente c’è bisogno di lavoro e lavoro meglio retribuito”, magari partendo dal salario minimo; insomma, un profilo più progressista che non centrista o liberale. Altro paletto che separa Sala dai liberali è la collocazione: Calenda e Della Vedova faranno sicuramente una corsa da soli fuori dai poli, con l'obiettivo del 10% che li scardinerebbe, per Sala l’unica collocazione possibile è nel centrosinistra. 



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