A Roma sarà corsa a quattro per il Campidoglio
Archiviate le primarie del centrosinistra con il successo largo e non privo di polemiche di Roberto Gualtieri del Pd, ora la corsa per il Campidoglio si restringe a quattro candidati. La sfida appare aperta e senza favoriti tra l'ex Ministro dell'Economia, il ticket del centrodestra con Enrico Michetti e Simonetta Matone, la sindaca uscente Virginia Raggi del Movimento 5 Stelle e Carlo Calenda con un profilo civico e il sostegno di Italia Viva. Gli ultimi sondaggi parlano di Michetti in testa, seguito a breve distanza da Gualtieri, poi Raggi e Calenda più distaccato, ma è uno scenario variabile al ballottaggio a seconda di chi ci arriverà. Alle urne mancano meno di 4 mesi ma già il voto si annuncia pieno di letture in chiave nazionale sulla tenuta dell'alleanza tra Pd e M5S, che a Roma non ci sarà almeno al primo turno, e sui rapporti di forza nel centrodestra tra Lega e Fratelli d'Italia.
Berlusconi rilancia il patto con la Lega e l’unità del centrodestra nel 2023
Silvio Berlusconi rilancia la sintonia con la Lega sancita dal “lungo incontro” avuto domenica sera con il leader alleato ma evita la parola partito unico che pure è il suo vero orizzonte e punta genericamente all’unità del centrodestra. Sempre forte l'ostilità di Fdi, con Giorgia Meloni che non vuole rinunciare alle specificità dei singoli partiti: “Avanti insieme, ci siamo detti, per arrivare con un centrodestra unito alle prossime elezioni nazionali del 2023”, proclama il presidente di Forza Italia nel blitz telefonico che fa a Torino alla presentazione della candidatura di Paolo Damilano. La Lega sta al gioco, anche se resta contraria al partitone: da Reggio Calabria Matteo Salvini ripete che la sua missione è “riunire i centrodestra divisi” ma non dice come e tiene l'obiettivo fermo sulla federazione parlamentare, prima tappa di un eventuale predellino bis e che gli garantirebbe di tenere fuori Fratelli d'Italia, essendo all'opposizione; il resto si vedrà.
Via libera dell'Ue al Pnrr italiano. Draghi incontra Von Der Leyen a Cinecittà
Ursula Von Der Leyen vola a Roma e porta al governo di Mario Draghi il “supporto totale” della Commissione europea e un assegno virtuale da 191,5 miliardi. Grazie al via libera al Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano: a fine luglio arriveranno i primi 24,89 miliardi del Recovery fund. La promessa, secondo le stime Ue, è una spinta alla crescita fino al 2,5% e la creazione di 240mila posti di lavoro. La sfida è realizzare, entro il 2026, 525 obiettivi, tra riforme e investimenti, per sbloccare le tranche di fondi. “È una giornata di orgoglio. Ce la faremo”, assicura Draghi, ma la sfida è solo “all'inizio”: ora bisogna “spendere tutto, spendere bene, ma anche con onestà”. Ora l'Italia ha una “responsabilità”, sottolinea Draghi: mostrarsi “affidabile” e spendere bene i suoi soldi perché il Recovery fund possa avere un futuro, diventare un impegno “strutturale” dell'Ue almeno in alcune sue parti come il fondo Sure per la disoccupazione. Poi la Von Der Leyen elenca i tanti campi di azione di un piano italiano composto da 58 riforme e 132 investimenti: un piano “ambizioso, lungimirante, che aiuterà a edificare un futuro migliore per gli italiani e l'Ue”. All’Italia riconosce di aver “ispirato” un intero continente nella lotta alla pandemia. Von Der Leyen annuncia che tra quattro settimane, dopo il via libera del Consiglio, la Commissione Europea potrà erogare i primi fondi: serviranno a “correggere” squilibri come l'alto debito e la debole produttività, a rafforzare le politiche attive del lavoro, la spending review, la sanità, l'emersione del sommerso, la riscossione delle tasse.
Draghi alle Camere: è ottimista sulla ripresa ma teme il rischio varianti
Draghi riferisce alle Camere in vista del prossimo Consiglio europeo, parla dell'economia e della spinta a politiche espansive anche nella prospettiva della modifica del patto europeo di stabilità, nel 2023. Si dice “ottimista” sull'evoluzione della situazione, ma predica comunque cautela, rilancia la caccia ai focolai e ai cinquantenni non vaccinati. Mette in guardia dagli errori della scorsa estate: si deve intervenire sui trasporti prima del rientro a scuola. È il ritrovato europeismo la nota positiva con cui Draghi condisce la sua giornata trascorsa in Aula, prima alla Camera poi al Senato, ad ascoltare gli interventi dei parlamentari dopo il suo intervento. Ribadisce che entro fine mese arriverà in Consiglio dei ministri la riforma degli appalti e delle concessioni e a luglio la legge sulla concorrenza. È “in dirittura d'arrivo”, assicura il ministro Marta Cartabia, anche la riforma del processo penale che arriverà in Cdm per trovare un difficile accordo tra i partiti su temi spinosi come la prescrizione. E a luglio il ministro Enrico Giovannini presenterà in conferenza Stato-Regioni il primo pacchetto di investimenti su infrastrutture e trasporti finanziati con le risorse del Recovery e del fondo “extra” Recovery.
La riforma del fisco si incaglia su patrimoniale e flat tax
La riforma complessiva del fisco si incaglia sui provvedimenti bandiera: patrimoniale, con annessa tassa di successione; e flat tax per le partite Iva. Mentre c’è ampia condivisione sull'abbassamento delle tasse sul terzo scaglione dell'Irpef con una revisione del meccanismo delle aliquote che gravano sui redditi del ceto medio dipendente. Dopo quattro mesi di audizioni sulla riforma dell'Irpef e del sistema tributario, le due anime della maggioranza non hanno trovato ancora un punto d'incontro sui punti più politicizzati. Nella bozza del documento conclusivo, che il Parlamento dovrà produrre entro il 30 giugno, ai punti regime forfettario e riordino della tassazione patrimoniale a parità di gettito spicca sottolineata la dicitura “Nodo politico da sciogliere”. Nient'altro. Si vedrà se in sei giorni le interlocuzioni che si succedono porteranno a un accordo o “il nodo” sarà rimosso dal percorso della riforma, perché questa ha i tempi contingentati imposti dal Pnrr. Sotto i due titoli ci sono il regime di flat tax per le partite Iva, le cedolari per le locazioni, l'Imu, la tassa di successione e un'eventuale patrimoniale senza omettere un intervento sul catasto. Tutti temi sensibili sui quali è probabile che nessuna delle due parti vorrà cedere.
Al Senato c’è tensione sul ddl Zan. La Lega agita lo spauracchio del voto segreto
Dopo che il premier Mario Draghi mercoledì in Senato ha di fatto sbloccato l'impasse in cui si trovava il ddl Zan, il voto a scrutinio segreto è agitato dalla Lega come spauracchio verso il Pd. Ma i Dem si dicono sicuri di non temerlo, così come le altre insidie regolamentari, puntando semmai ad un allargamento della base parlamentare della legge sull'omofobia, formando su essa una maggioranza Ursula, come avviene in Europa. Gli scenari parlamentari sono dunque due, a seconda se al tavolo di maggioranza di mercoledì prossimo si avvierà o meno una qualche forma di dialogo. Nel caso di un muro contro muro Dem, M5s e Leu, ritengono di avere i numeri in Aula.
Grillo apre a Conte ma avverte: lo Statuto si fa con me
Beppe Grillo torna in campo e si riprende le redini del M5S: il braccio di ferro con Giuseppe Conte finisce con una apertura sulla carta al nuovo Movimento che potrà esserci solo e se il futuro leader 5 Stelle prenderà atto del ruolo irrinunciabile che il fondatore intende mantenere sul Movimento. È una sorta di ultimatum quello che il garante lancia al prossimo leader. Tanto da far aleggiare ancora tra i deputati e senatori M5S lo spettro della rottura tra i due leader. Ma al di là dei toni ironici e scherzosi, il messaggio che Grillo ha impartito è chiaro: è Conte che ha bisogno di me e non viceversa. Il Movimento “siamo noi, Conte non andava in piazza. Lui deve studiare. Lui è uno studioso, un uomo di cultura, io sono il visionario”. E soprattutto: “sono il garante, non sono un coglione”. Insomma, pur ironizzando sulle 32 pagine del nuovo Statuto ipotizzato da Conte, e che Grillo chiama “bozza”, un accordo si può trovare entro 4 o 5 giorni, visto che sui “tre quarti del documento” l'intesa già c’è. Ora la parola passa al futuro leader M5S che dovrà trovare una quadra e chiudere il braccio di ferro trovando una intesa definitiva sullo Statuto. Impresa non affatto facile.
È caos nel centrodestra sulle candidature alle amministrative
Si complica la partita del centrodestra sui candidati da schierare alle prossime elezioni comunali. Dopo il passo indietro di Oscar di Montigny a Milano, scoppia anche il caso Napoli. E sul capoluogo lombardo, sembra che Matteo Salvini, pur ostentando sicurezza, viaggi nel buio. “Sono onorato della stima e della fiducia che tanti milanesi hanno in me, la ripagherò offrendo in tempi rapidi non solo un sindaco ma una squadra vincente per la città”, commenta. Tempi rapidi è la rassicurazione. C'è chi avrebbe tentato di prendere per la giacchetta lo stesso leader leghista, spingendolo a scendere lui stesso in campo. Fra tutti lo stesso Sala che all'ipotesi replica: “Sarebbe un grande confronto politico di idee della città”. Salvini declina e ringrazia e vola a Milano per chiudere in fretta il dossier. All'ombra della Madonnina, tuttavia, tutto è stato rimesso in discussione. In campo sono tornati i civici Annarosa Racca, Fabio Minoli, Riccardo Ruggiero e Maurizio Dallocchio, con Maurizio Lupi rientrato nella rosa. Il sondaggio di Noto ha infatti sparigliato le carte in tavola, con l'ex ministro e leader di Noi con l'Italia al primo turno sopra di un punto a Sala. Una matassa difficile da sbrogliare, con Forza Italia che spinge per la soluzione politica per risolvere anche il rebus di Bologna dove la partita si gioca tra Andrea Cangini o Ilaria Giorgetti come controproposta azzurra e Fabio Battistini e Roberto Mugavero, sponsorizzati dalla Lega. E a complicare il quadro il caos scoppiato a Napoli. Le resistenze di Catello Maresca ad inserire i simboli di partito nella sua lista hanno fatto sfilare Fratelli d'Italia che potrebbe annunciare a breve la candidatura di Sergio Rastrelli. A ruota si è lanciata anche Forza Italia che sarebbe pronta a correre da sola e a sostenere l'uomo di Giorgia Meloni.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG, il consenso della Lega di Matteo Salvini registra un’ulteriore frenata e si attesta al 20,6%. Discorso simile per il Movimento 5 Stelle. Il partito guidato da Giuseppe Conte rimane praticamente fermo al 16%. La Lega resta il primo partito del Paese anche se con una distanza pressoché nulla dal secondo (FdI è a -0,1%), mentre il gap rispetto al PD si attesta a 2 punti.
Nell’area delle sinistre, i Verdi rimangono stabili (1,8%) mentre Sinistra Italiana e MDP Articolo Uno si attestano rispettivamente al 2,5% e al 2,4%. Nell’area centrista, +Europa rimane al 1,9%, mentre Italia Viva torna a crescere di qualche decimale (2,3%) come Azione che si attesta al 3,8%. In leggero affanno invece il Partito Democratico che si ferma al 18,6%. Nell’area del centrodestra, Fratelli d’Italia cresce fino al 20,5% mentre Forza Italia rimane bloccata al 6,8%. Coraggio Italia, il nuovo partito di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, si attesta all’1,3%.
Negli ultimi sondaggi, i partiti che appoggiano il Governo Draghi raccolgono il 75,5% nelle intenzioni di voto, mentre il centrosinistra formato da PD, M5S e MDP raggiunge il 37%. La coalizione del centrodestra unito, invece, il 49,2%, mentre il rassemblement dei partiti di centro (Azione, IV e +Europa) si attesta al 8% dei consensi.