Il Governo Meloni vara una legge di bilancio da 35 miliardi
Lunedì sera il governo guidato da Giorgia Meloni ha varato la legge di bilancio 2023: la manovra, alla quale sarà aggiunto un decreto fiscale, prevede misure per 35 miliardi di cui circa due terzi rivolte al contrasto del caro energia. Il tentativo dell’esecutivo è quello di provare a dare delle risposte concrete alla congiuntura economica internazionale caratterizzata dalla guerra in Ucraina, che ha portato al caro energia e alla corsa dell'inflazione. Per reperire risorse, tra i punti del documento di programmazione pluriennale 2023-2025, spicca l'avvio del percorso di abolizione del reddito di cittadinanza, l'innalzamento al 35% della tassazione sugli extraprofitti, così come la riduzione dello sconto sulle accise per il carburante a partire dal 1° dicembre.
Ci sono anche il taglio del cuneo fiscale, la riduzione dell'Iva dal 10% al 5% per i prodotti per l'infanzia e l'igiene intima femminile (tampon tax), l’aumento dell'assegno unico per le famiglie, agevolazioni per le assunzioni a tempo indeterminato per donne under 36 e per percettori di reddito di cittadinanza, e la proroga delle agevolazioni per acquisto prima casa per i giovani. In materia fiscale ci sono l'estensione della flat tax fino a 85.000 euro per lavoratori autonomi e partite Iva e la “tregua fiscale” con stralcio delle cartelle esattoriali per un importo massimo di mille euro. Invece, sul fronte delle pensioni, oltre alla conferma di opzione donna rivisitata e Ape sociale, c’è la rivalutazione delle pensioni e quota 103.
Il testo, su cui il Governo sta ancora lavorando, dovrebbe arrivare entro il fine settimana alla Camera. Entro il 28 novembre, dunque, la legge di Bilancio 2023, che non sarà accompagnata da un decreto fiscale, dovrebbe iniziare il suo percorso di conversione in legge. Verrà affidata alla commissione Bilancio di Montecitorio, guidata da Giuseppe Mangialavori (FI), che svolgerà una serie di audizioni e poi inizierà l'esame vero e proprio del provvedimento. Intanto, una riunione di maggioranza ha stabilito un metodo sugli emendamenti: rispetto ai 6.290 presentati (diventati poi 600 segnalati) l'anno scorso, ci sarà un contingentamento proporzionale al taglio che ha dimezzato i parlamentari. Comunque sia, la Camera dovrebbe approvare il testo prima di Natale, così da permettere al Senato di approvare definitivamente la manovra entro e non oltre il 31 dicembre ed evitare così l’esercizio provvisorio.
Meloni difende la manovra da opposizioni e pressing degli alleati
La Premier Giorgia Meloni è “orgogliosa” della sua prima legge di bilancio. Di diverso avviso sono le opposizioni che giudicano la manovra priva di prospettiva e non adeguata a risolvere la crisi economica che potrebbe colpire l’Italia nei primi mesi del prossimo anno. Un giudizio condiviso anche dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. E pure nella stessa maggioranza si registra un'euforia più contenuta nelle ultime ore: è “povera e insufficiente”, lamenta qualche leghista, FI preme già per aumentare ulteriormente le pensioni minime e Noi moderati mette in dubbio l'opportunità di lanciare subito Quota 103. Consapevole di ciò, Giorgia Meloni ha difeso le scelte del Governo sui social: “Una legge di bilancio coraggiosa e concreta, che bada al sodo e offre una visione sulle priorità economiche. Favorire la crescita, aiutare i più fragili, investire nelle famiglie, accrescere la giustizia sociale, sostenere il nostro tessuto produttivo, scommettere sul futuro: questa la nostra ricetta per ridare forza e visione all'Italia. Avanti a testa alta”. Intanto nei corridori si parla già di possibili modifiche e i partiti in Parlamento si aspettano di poter avere qualche margine d’intervento.
Le opposizioni sono contro la manovra ma rimangono divise
Pd, M5S e Terzo polo bocciano, sebbene con toni differenti, la prima legge di bilancio targata Meloni, ma resta lontana la possibilità di fare fronte comune. “Sabato 17 la nostra manifestazione contro una manovra improvvisata e iniqua. Inadeguata rispetto al rischio recessione e all'impennata dell'inflazione”, scrive su Twitter il segretario del Pd Enrico Letta ancor prima che Giorgia Meloni inizi la conferenza stampa di presentazione della manovra. Il segretario dem rivendica di aver fissato già sabato scorso la tre giorni di mobilitazione contro le disuguaglianze, il carovita e i salari in picchiata. Intanto Giuseppe Conte annuncia battaglia: “Questo Governo ha voluto mostrare i muscoli solo contro una fascia ristretta di popolazione: spaccia vigliaccheria per coraggio, confonde la prudenza con l'ignavia. Vuole togliere al Paese l'unico sostegno che non ha mandato per strada milioni di persone in estrema difficoltà e lavoratori che pagano lo scotto di stipendi da fame che non consentono nemmeno di fare la spesa. Se vogliono mandare fuori strada gli ultimi, troveranno un muro. Non possiamo permettere un massacro sociale”.
Calenda lancia la contromanovra e chiede e ottiene un confronto con la Meloni
Carlo Calenda presenta in Senato la contromanovra del Terzo Polo: otto proposte su fisco, welfare e sviluppo che, a parità di coperture, “offrono risposte vere al Paese”. La prima legge di bilancio del Governo Meloni viene bocciata senza appello dal leader di Azione: “Una presa in giro, in primis per gli elettori del centrodestra”. Poi, un po' a sorpresa, la mano tesa alla premier: “Chiediamo un incontro urgente, lei è nuova” nel ruolo e “credo vada aiutata, non solo contestata. Noi siamo disponibili”. La vera sorpresa viene in serata da Palazzo Chigi, che fa sapere che l'incontro Meloni-Calenda si farà la settimana prossima; di certo c'è da registrare che nel corso della stessa conferenza stampa, con una doppia mossa, Calenda aveva aperto anche a una convergenza tematica con Pd e M5S in Parlamento per portare a casa il salario minimo (inserito tra i punti della sua contromanovra e presente anche nel programma degli altri due partiti). In ogni caso le posizioni rimangono distanti.
Il Governo Meloni si schiera apertamente contro la violenza sulle donne
Palazzo Chigi illuminato di rosso con i nomi delle 104 donne vittime di violenza nel 2022 che scorrono sulla facciata e tutto il governo guidato da Giorgia Meloni schierato in piazza Colonna per dare un segnale al Paese. È questo il momento più intenso della giornata che anticipa quella internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e che si è aperta con la decisione da parte del Senato di istituire nuovamente la Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio. A indicare la strada sul fronte della lotta alla violenza di genere è la stessa presidente del Consiglio intervenendo al convegno sui risultati della Commissione Femminicidio a Palazzo Giustiniani. Per la Meloni “Prevenzione, protezione e sicurezza della pena sono i tre pilastri su cui dobbiamo insistere. È fondamentale un quadro più efficace di politiche di prevenzione e di contrasto perché è un tema sempre in evoluzione. Il governo c'è e vuole esserci insieme al Parlamento. Non si può andare in ordine sparso”, assicura.
Il Governo è al lavoro per una nuova governance del Pnrr
Spendere tutti i fondi del Pnrr è una sfida che il governo “non può eludere”. Ma, tra i rincari delle materie prime e la complessità della burocrazia, l'attuazione del piano va a rilento, soprattutto ora che si dovrebbe passare “concretamente all'avvio dei cantieri”. La Meloni rilancia la necessità di aprire un confronto con la Commissione Ue per aggiornare il piano e sprona l’esecutivo a varare un nuovo decreto Pnrr. L'Esecutivo batte sul nodo dei ritardi fin da prima dell'insediamento ed ora che è chiamata ad agire, la premier ha affidato a Raffaele Fitto il compito di effettuare quella “due diligence” sullo stato dei progetti del Pnrr e più in generale sulla disponibilità delle varie tipologie di fondi europei che l'Italia non riesce a spendere appieno. Sul piatto ci sarebbe anche la quota non impegnata dell'ultima programmazione dei fondi di coesione, che però con il benestare europeo dovrebbe essere utilizzata con il nuovo anno per altre misure contro il caro-energia, se si dovessero rendere necessarie anche in primavera visto che fino a marzo c'è la copertura della legge di Bilancio. Per la revisione del Pnrr la via che si sta studiando è quella di una integrazione con il RepowerEu, che si scontra però con il fatto che l'Italia ha già utilizzato appieno la parte di prestiti legata al Recovery Plan. In attesa, l'idea è quella di portare in Cdm entro metà dicembre il nuovo decreto di riforma della governance.
Al Parlamento Europeo la maggioranza si spacca sull'Ungheria
La risoluzione era molto attesa e l'esito della votazione ha rispettato le previsioni: la maggioranza, rispettando la linea finora seguita dalle tre forze di governo in Europa, sul voto sull'Ungheria al Parlamento Europeo si è spaccata. Fratelli d'Italia e Lega hanno votato contro il testo che chiede alla Commissione fermezza nel valutare il rispetto dello Stato di diritto da parte di Budapest prima di concedere i fondi europei mentre Forza Italia, e quasi tutto il Ppe, ha votato a favore. La risoluzione è passata con 416 voti favorevoli, 124 contrari e 33 astenuti, con il sì compatto dei Socialisti e di Renew. Compatti, ma in senso opposto, anche i Conservatori e il gruppo Id: nei primi milita il Pis, il partito del premier polacco Mateusz Morawiecki che, nelle stesse ore, era al tavolo proprio con Orban al vertice dei Paesi Visegrad, il secondo raggruppa i sovranisti europei, dai lepenisti ai tedeschi di Afd, fino alla Lega. Massimiliano Salin è stato l'unico degli azzurri a votare in dissenso rispetto alla sua delegazione. Il testo è arrivato in un momento topico della lunga diatriba sullo Stato di diritto tra Ue e Ungheria: la Commissione si appresta infatti a congelare il 75% dei fondi di coesione diretti a Budapest perché ritiene che le 17 misure correttive chieste a Orban non siano state attuate. La decisione verrà formalizzata la settimana prossima.
Il Governo vuole riformare il reato di abuso d’ufficio per i Sindaci
Il reato d'abuso d'ufficio va riformato. I sindaci sono centrali nella vita del Paese e non possono essere “inchiodati” nel loro agire dalla “paura della firma”. L'appello lanciato dalla premier Giorgia Meloni all'Assemblea dell'Anci è chiaro e dalla maggioranza si fa sapere che il Governo sarebbe già al lavoro per mettere a punto un testo che “renda più libero” chi è in prima linea sul territorio, soprattutto nel periodo in cui si deve dare attuazione al Pnrr. In Parlamento ci sono già due progetti di legge. Uno, al Senato, firmato da Erika Stefani capogruppo Lega in commissione Giustizia e uno a Montecitorio, presentato dalla forzista da Cristina Rossello. Del tema si torna a parlare spesso nelle assemblee dell'Anci per poi sparire subito dopo dall' agenda politica. Stavolta, però, l'Esecutivo assicura che la riforma si farà, come ribadito anche dal ministro dell'Interno Matteo Piantedosi. Le intenzioni del Governo trovano diverse sponde, anche dall’opposizione, ragion per cui le premesse per una riforma sembrano esserci.
Mattarella lancia un monito sull’autonomia. Fontana rassicura
Nei giorni in cui è tornato a infiammarsi il dibattito sull'autonomia, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pur senza mai nominare la riforma, fissa i “punti fermi” a garanzia dei diritti di tutti i cittadini. Lo fa, non a caso, dall'Assemblea nazionale dell'Anci, composta da oltre 2200 amministratori locali, che vede tra i suoi ospiti anche due dei più agguerriti sostenitori del regionalismo differenziato, i leghisti Roberto Calderoli Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, e Attilio Fontana presidente della Lombardia. Accolto dalla standing ovation delle fasce tricolori, Mattarella si richiama al titolo scelto quest'anno dall'associazione la “voce del Paese”. La Costituzione, esordisce Mattarella “sancisce il principio di uguaglianza per i cittadini e, naturalmente, vale per i Comuni, che devono essere messi tutti in condizione di adempiere ai compiti loro affidati, per poter concorrere a realizzare il principio costituzionale della pari dignità dei cittadini”. A rassicurare i Comuni, il governatore lombardo Attilio Fontana: “L'autonomia differenziata è la nostra occasione per ridisegnare le competenze e affermare il protagonismo e la responsabilità di Comuni ed Enti”, sottolinea il leghista nel suo saluto, “Rifuggiamo ogni idea di riproporre un centralismo a livello regionale. Non vogliamo più risorse ma decidere come spendere al meglio quelle che abbiamo”.
La politica si ricompatta per la scomparsa del leghista Roberto Maroni
“Bobo”, com’era chiamato da amici e colleghi di partito, è morto a 67 anni nella sua casa di Varese dopo una lunga malattia. Ex segretario federale della Lega, più volte ministro e presidente della Regione Lombardia, Maroni ha rappresentato una delle figure più rappresentative del Carroccio. Il peso umano e politico di questa scomparsa è racchiuso nella commozione del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che nella conferenza stampa di presentazione della legge di bilancio si lascia andare a un emozionato ricordo, tributando all’amico la paternità delle misure leghiste contenute nella manovra sul tavolo del governo. Alla lettera del Presidente della Repubblica inviata alla famiglia dell’ex Ministro è seguito il cordoglio bipartisan di tutte le forze politiche. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definito Maroni “un politico intelligente e capace, un uomo che ha servito le Istituzioni con buonsenso e concretezza”. Commosso anche il messaggio di Silvio Berlusconi che ha voluto ricordare “il suo incommensurabile attaccamento alla Lombardia e alle regioni del Nord produttivo”. Dice addio “a un pezzo di vita degli ultimi trent’anni”, invece, il Ministro per gli Affari Regionali e per l’Autonomia Roberto Calderoli. Il cordoglio è arrivato anche dalle forze politiche di opposizione a partire dal Pd.
Stefano Bonaccini si candida per la segreteria del Pd
Il primo big a scendere in campo nella corsa per la segreteria del PD è Stefano Bonaccini. Il presidente dell’Emilia-Romagna rompe gli indugi e si candida per succedere a Enrico Letta; per l'annuncio sceglie il suo circolo di Campogalliano (Modena): “Non chiederò a nessuna corrente di sostenermi” afferma perentorio, poi promette: “È in gioco la vita del partito: il Pd nasce come partito di centrosinistra e questo spazio adesso ce lo andiamo a riprendere noi”, un'iniezione di ottimismo in tempi bui per i dem. Per la sua possibile competitor, l'outsider Elly Schlein, esprime solo parole di stima e affetto: “Sarà una bella sfida se vorrà candidarsi”. La sua ricetta per rifondare il Pd parte dalla necessità di ritrovare l'identità perduta, sia attraverso l'opposizione parlamentare, sia tornando nelle piazze, nei mercati, nei luoghi di studio, da cui il partito spesso è mancato.
Le alleanze verranno dopo, ma lo schema è già chiaro e viene a galla quando, rivolgendosi a terzo polo e M5S, Bonaccini afferma: “Divisi si perde... non credo sia stato compreso in Lazio e Lombardia” ma “speriamo di avere più forza in futuro per convincerli”. Per ora, l'accusa al partito di Giuseppe Conte e all'alleanza Calenda-Renzi è di “strabismo” nell'approccio alla maggioranza e all'opposizione. Dario Nardella, secondo alcune voci, potrebbe alla fine non candidarsi più per cedere il passo a Schlein o a Bonaccini, che intanto ribadisce a più riprese: “Chiederò una mano particolare a sindaci, amministratori locali, al gruppo dirigente diffuso sul territorio, ai tanti segretari di circolo. Anche perché mi è abbastanza chiaro che non avrò il sostegno di molti nel gruppo dirigente nazionale”. E parla anche delle correnti, finite al centro delle polemiche, sostenendo di non averne mai fatto parte ma che il “tema non è far loro la guerra”.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG, relativi al 21 novembre, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si conferma il primo partito italiano e sale al 30,4%, davanti al Movimento 5 Stelle (16,9%), che fa registrare un lieve calo nei consensi rispetto alla scorsa settimana. In crescita, al 16,2% si attesta il Partito Democratico. Da sottolineare che il distacco tra FdI e la prima forza politica nazionale antagonista (M5S) è di 13,5 punti percentuali. Nell’area delle sinistre, la lista rosso-verde Alleanza Verdi e Sinistra è stimata al 4,0%, in crescita di uno 0,2% rispetto agli ultimi sondaggi, così come Unione Popolare, che si attesta all’1,5%. Nell’area centrista, l’alleanza tra Azione e Italia Viva scende di 0,1 punti attestandosi all’7,9%. Nella coalizione del centrodestra, la Lega scende attestandosi al 7,6% e anche Forza Italia fa registrare un calo, arrivando al 6,4%. Per quanto riguarda gli euroscettici di Italexit di Paragone, scendono questa settimana all’1,9%.
La coalizione del centrodestra fa registrare per la prima volta un lieve calo, causato dalle difficoltà di Lega e Forza Italia, che non vengono bilanciate da una seppur costante crescita di Fratelli d'Italia.
Ad oggi, la configurazione “classica” del centrodestra (FdI, Lega, FI) viene stimata al 44,4%, 0,6 punti percentuali in meno rispetto alla scorsa settimana. Il centrosinistra, formato da PD, +Europa e Alleanza Verdi-Sinistra, guadagna mezzo punto percentuale, attestandosi al 23,2%, mentre il Polo di centro, composto da Azione e Italia Viva, cala lievemente al 7,9%. Fuori da ogni alleanza il M5S al 16,9%.