La Giunta salva Salvini grazie a due voti del M5S e all’astensione di IV
La Giunta delle immunità del Senato ha bocciato, con 13 voti contrari e 7 favorevoli, l'autorizzazione a procedere a carico di Matteo Salvini per la vicenda Open Arms. Decisivi i no dell'ex M5s Mario Michele Giarrusso e quello della senatrice dissidente, ma ancora nel gruppo 5S, Alessandra Riccardi. Ma fa molto discutere la scelta, a sorpresa, di astenersi da parte dei 3 esponenti di Italia Viva, una decisione che scuote per l'ennesima volta la tenuta della maggioranza giallorossa. Nella Lega cresce l'ottimismo anche sul voto decisivo dell'Aula: tanti sono convinti che questa vicenda dell'Open Arms sia diversa dalle precedenti, ricordando che la disponibilità della Spagna a ricevere la sua Ong e la condotta dello stesso Conte in quei giorni, possano in qualche modo agevolare i senatori di Italia Viva a confermare anche in Aula i loro dubbi sul processo e spingerli ad astenersi nuovamente. La decisione finale sarà affidata all'Aula di Palazzo Madama, tuttavia, il pronunciamento della Giunta rafforza il segretario leghista che in un colpo solo ottiene due piccioni con una fava: lo sfaldamento della maggioranza, in particolare dei Cinque Stelle, e soprattutto l'innalzamento della tensione tra Matteo Renzi e il premier Giuseppe Conte. Con questa boccata d'ossigeno il segretario leghista, malgrado i sondaggi in calo, rilancia la sfida al Governo e, spiazzando ancora una volta gli alleati, annuncia per il prossimo 4 luglio una grande manifestazione di massa a Circo Massimo.
Renzi provoca l’ira degli alleati. Conte gli chiede chiarimento
Questa volta Giuseppe Conte chiede un chiarimento a Matteo Renzi. La scelta di aiutare Salvini su Open Arms alimenta tra gli alleati di governo il sospetto che il premier resti nel mirino del leader di Italia viva, nonostante le aperture ricevute da Conte solo la scorsa settimana e nonostante stiano per arrivare in Cdm due temi cari a Italia Viva come Family act e sblocco dei cantieri. L'uscita spiazza e irrita. Tanto che sono stati immediatamente avviati contatti tra Palazzo Chigi e la dirigenza di Iv per scongiurare una nuova frattura. “I rapporti tra di noi e Conte sono ottimi”, dice Maria Elena Boschi; non è il premier il bersaglio nascosto, assicurano i fedelissimi di Renzi. Ma l'uno-due con il voto del centrodestra in Lombardia per una consigliera renziana alla guida della Commissione d'inchiesta sul Coronavirus, fa insorgere Dem e Cinque stelle: “Fino a quando gli consentiremo questo gioco?”, domanda un esponente del Pd. Renzi tiene tutti sulla spina, non svelando come voterà in Aula al Senato. Mercoledì sera Dario Franceschini ha incontrato i senatori Pd riuniti in assemblea. Il ministro della Cultura ha parlato della necessità di coltivare uno “spirito di coalizione” e lavorare, in collaborazione tra Governo e Parlamento, a misure con una “visione”, soprattutto in vista dell'utilizzo dei miliardi che arriveranno dall'Ue.
Recovery Fund: all'Italia 172,7 miliardi, 82 a fondo perduto e 91 in prestito
Il piano della Commissione UE per il rilancio dell'economia europea va oltre le aspettative. La svolta, come l'ha chiamata Paolo Gentiloni, c’è: per la prima volta la Commissione andrà a finanziarsi sui mercati per la considerevole cifra di 750 miliardi di euro, cioè quasi un intero bilancio europeo, grazie alle garanzie comuni prese proprio dal bilancio Ue. Nasce così il Recovery instrument, che andrà ai Paesi più sotto forma di sovvenzioni a fondo perduto che di prestiti, e che assegnerà all'Italia la parte più consistente: 172,7 miliardi di euro, 82 in aiuti e 91 in prestiti. Non si mettono in comune i debiti passati insomma, ma si gettano le basi per una capacità finanziaria comune, in grado di alimentarsi da sola attraverso risorse di tutti e 27 gli Stati membri. Oltre ai 750 miliardi del Recovery fund, ribattezzato Next Generation Eu, per rilanciare l'economia la Commissione vuole usare anche il prossimo bilancio 2021-2027 e rimette sul tavolo la proposta da 1.100 miliardi, già discussa e impallinata a febbraio scorso dai leader: sommando i 540 miliardi del pacchetto già approvato che comprende Mes, Sure e Bei, si arriva a un piano Marshall da 2.400 miliardi, che diventano 3.000 se si considera l'effetto moltiplicatore di alcuni strumenti.
Il Piano della Commissione spacca il centrodestra. Salvini rilancia sulla Cig
Il pacchetto del Recovery Fund proposto dalla Commissione per l'Italia spacca il centrodestra allargando il solco già profondo tra Forza Italia e l'asse sovranista Lega-FdI. Se la maggioranza giallorossa esulta compatta per il piano proposto dalla Von der Leyen, l'opposizione si divide. Silvio Berlusconi parla di “buone notizie”; il leader azzurro va oltre, rivendicando a sé il merito della proposta della Commissione: “L'Europa ha seguito la strada che noi avevamo indicato e per la quale ci siamo molto spesi all'interno del PPE”. Sul fronte opposto, Matteo Salvini e Giorgia Meloni; l'ex ministro dell'Interno contesta radicalmente la posizione del Cavaliere: “Nessuna buona notizia concreta per l'Italia, per ora solo altre parole. La Commissione propone di aggiungere al bilancio europeo 750 miliardi, raccolti collocando titoli e distribuiti come prestiti o sussidi. Come già annunciato, queste somme dovranno essere rimborsate con nuove tasse europee su consumi e produzione”. Dalla Lega una chiusura totale e un’opposizione sempre più dura. Salvini, dopo aver incontrato i vertici dell'Inps, lancia l'allarme: se non si mette a bilancio almeno un miliardo in più sulla Cig“da giugno si rischia la tensione sociale”. Sempre critica ma più sfumata la posizione invece della leader di Fratelli d'Italia nei confronti di Bruxelles: “Siamo stati i primi ad auspicare un Recovery Fund cospicuo, immediato, con una quota maggioritaria di contributi a fondo perduto e senza condizionalità. Prendiamo atto che qualcosa si è mosso in questa direzione ma la proposta non è soddisfacente”.
Il Premier è pronto a lanciare il piano di riforme. Ma sul Mes rimane cauto
Conte si prepara intanto a una battaglia che in Europa è tutta in salita sul Recovery fund. Il premier ha sentito al telefono Ursula Von Der Leyen per esprimerle apprezzamento per la scelta profondamente europeista. Ma perché la proposta diventi realtà c'è ancora da lavorare. Le opposizioni già gridano al bluff per il fatto che le risorse, come spiega Valdis Dombrovskis, arriveranno ai Paesi in “tranche legate agli obiettivi di riforma”. L'Italia, sollecita Paolo Gentiloni, è incoraggiata a presentare il suo Recovery Plan, il piano di riforme, con la legge di bilancio. Conte ha già illustrato i suoi sette punti, che vanno dalla semplificazione normativa, al fisco, alla giustizia: sono riforme, spiegano a Palazzo Chigi, che servono al Paese e già nei progetti del premier per il prosieguo della legislatura. Non certo, notano dal M5S, un piano lacrime e sangue sul modello greco: “È bloccata la strada alla troika di turno”, dice Vito Crimi. L'ossatura degli interventi potrebbe iniziarsi a tratteggiare nelle prossime settimane con il Piano nazionale delle riforme, per poi avere un quadro completo (e la riforma fiscale) con la manovra. Ma subito si intravvedono all'orizzonte problemi e discussioni. Perché se al Pd sono convinti che la richiesta dei fondi Ue non potrà essere giustificata dal progetto di tagliare le tasse, è proprio da lì che vogliono partire M5S e Iv, che chiedono di abolire l'Irap e abbassare le aliquote Irpef.
È caos sulle Regionali, slitta il decreto per il voto a settembre
Sulla questione della data delle elezioni regionali il Governo è strattonato in direzioni opposte, con i Governatori delle Regioni che chiedono di votare o il 27 luglio o il 6 settembre, mentre sul piano politico il centrodestra spinge per ritardare ulteriormente la tornata oltre il 20 settembre ipotizzato dall'esecutivo. Conte rischia dunque di dover scegliere tra lo scontro con le Regioni e quello con le opposizioni, che potrebbero non votare il decreto all'esame della Camera, che slitta all'8 giugno. A complicare la vicenda c’è il tema dell'accorpamento nell'election day del referendum costituzionale, voluto da M5S e osteggiato dal centrodestra, che potrebbe finire davanti alla Corte costituzionale. Il decreto approdato nell'aula della Camera prevede una finestra per svolgere le amministrative e il referendum tra il 15 settembre e il 15 dicembre, con il Governo che ha già anticipato che la data ipotizzata è il 20 e 21 settembre per il primo turno e il referendum, e il 4 e 5 ottobre per il ballottaggio. In tutti gli interventi Fi, Fdi e Lega hanno chiesto uno slittamento del primo turno di almeno una settimana perché la data del 20 farebbe coincidere la campagna elettorale con la stagione turistica. In più è stato chiesto di non tenere il referendum costituzionale per il taglio del numero dei parlamentari con le amministrative, cosa cui tiene invece M5S.
È scontro nella maggioranza sulle guardie civiche
La proposta del Ministro Francesco Boccia ai presidenti di Regione il 29 aprile non aveva fatto tanto rumore, ma allora gli italiani stavano a casa e ancora non si parlava di fase 2. Adesso invece il bando per reclutare 60 mila assistenti civici è diventato un caso, criticato da maggioranza e opposizione. Il ministro Pd degli Affari regionali, appoggiato dal presidente dell'Associazione Comuni (Anci) Antonio Decaro, ha pensato ai volontari per aiutare chi non ce la fa da solo, come nella fase dell'emergenza più dura, anche per far rispettare il distanziamento sociale, l'uso delle mascherine e il divieto di assembramento. Una proposta di cui il Viminale non sapeva nulla e che ha provocato un corto circuito, subito affrontato dal premier Giuseppe Conte che ha convocato un vertice con Francesco Boccia e le ministre Luciana Lamorgese e Nunzia Catalfo. Al momento nulla è deciso, ma la proposta ha trovato la contrarietà anche nelle forze di Governo: Matteo Renzi parla di follia, mentre dal Pd parole analoghe arrivano da Matteo Orfini. “Siamo perplessi, ma troveremo una soluzione”, dice il capo politico M5S Vito Crimi. Dall'opposizione Giorgia Meloni denuncia una “deriva autoritaria”. Da FI Anna Maria Bernini parla di “guardie rosse” come nei Paesi comunisti.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG, la Lega di Matteo Salvini rimane pressoché stabile attestandosi al 26,9%. In lieve discesa il Movimento 5 Stelle. Il partito guidato da Vito Crimi questa settimana si ferma al 15,7%. La Lega rimane il primo partito del Paese con una distanza dal secondo (PD) di 6,7 punti percentuali, mentre il gap rispetto al M5S si attesta a 11,2 punti percentuali.
Nell’area delle sinistre, i Verdi rimangono pressoché stabili (1,7%), a differenza dell’alleanza tra Sinistra Italiana e MDP Articolo Uno che si arena al 3,4%. Nell’area centrista, +Europa si stabilizza al 2,1% dei consensi, Italia Viva perde terreno (2,7%), mentre Azione, il partito di Carlo Calenda, sale fino al 2,9%. In leggero calo il Partito Democratico, che i sondaggi stimano al 20,2%. Nell’area del centrodestra, Fratelli d’Italia si conferma stabilmente come la seconda forza della coalizione (14,5%), Forza Italia riprende quota (6,3%), mentre Cambiamo!, il partito di Giovanni Toti, non fa registrare grossi cambiamenti (1,3%).
Ad oggi, l’area di Governo raccoglie il 42% delle preferenze di voto. La coalizione di centrodestra il 49%, quella di centrosinistra il 28,4%. Il Movimento 5 Stelle è dato al 15,7%.
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Settimana Politica 23 - 29 maggio 2020