Draghi riferisce alla Camere sull’Ucraina: l’Italia non si volta dall’altra parte
Mario Draghi è stato in Parlamento per riferire sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina. Il premier ha voluto fosse chiara la gravità del momento, e ha spiegato come alcune scelte necessitino del sostegno chiaro di Camera e Senato: non è il momento dei distinguo, di distribuire torti e ragioni, “è il momento di fare i conti con la storia” e “conservare il futuro”, in modo che sia “il più possibile” com’è stato il nostro passato, fatto “di pace e libertà”. Il presidente del Consiglio va subito al punto: le immagini che ci arrivano da Kyiv, Kharkiv, Mariupol e dalle altre città dell'Ucraina “segnano la fine delle illusioni”, dice chiaro. L’aggressione di Mosca “premeditata e preparata” ha spazzato via il sogno che la guerra non avrebbe più trovato spazio in Europa, che gli “orrori” che avevano caratterizzato il Novecento “fossero mostruosità irripetibili”, che “le istituzioni multilaterali create dopo la seconda guerra mondiale fossero destinate a proteggerci per sempre”.
E se è vero che le strategie di Mosca per un'invasione rapida “sembrano fallire”, anche grazie all'opposizione “coraggiosa” dell'esercito e del popolo ucraino, è anche vero che le truppe russe “proseguono la loro avanzata”. L'Italia “ha risposto all'appello del presidente Zelensky che aveva chiesto equipaggiamenti, armamenti e veicoli militari per proteggersi dall'aggressione russa. È necessario che il Governo democraticamente eletto sia in grado di resistere all'invasione e difendere l'indipendenza del Paese. A un popolo che si difende da un attacco militare e chiede aiuto alle nostre democrazie, non è possibile rispondere solo con incoraggiamenti e atti di deterrenza. Questa è la posizione italiana, la posizione dell'Unione Europea, la posizione di tutti i nostri alleati”. L’Italia “è pronta a ulteriori misure restrittive”. Il Governo è al lavoro per contrastare le possibili ricadute delle sanzioni, sia in termini di sicurezza sia per quel che riguarda le conseguenze economiche ed energetiche: “Al momento non ci sono segnali di un'interruzione delle forniture di gas”, assicura ma mette in conto possibili “ritorsioni” da parte di Mosca. L'Italia, ricorda, importa circa il 95% del gas che consuma e circa il 43-45% proviene dalla Russia.
Camera e Senato approvano a larghissima maggioranza le risoluzioni sull’Ucraina
Dopo l’intervento di Draghi, entrambi i rami del Parlamento hanno approvato a larga maggioranza (224 voti favorevoli al Senato, e 521 alla Camera) ma con alcune perplessità e qualche defezione le risoluzioni bipartisan che danno il via libera alla concessione di armi “per la legittima difesa” degli ucraini e alla richiesta di ritiro immediato delle truppe di Putin, insieme al sostegno a ogni iniziativa utile a una de-escalation militare e alla ripresa dei negoziati tra Kiev e Mosca. Senatori e deputati hanno applaudito le parole del premier, ma i distinguo non sono mancati. Draghi allora interviene a braccio per dare le coordinate di quello che definisce un “periodo esistenziale in cui il futuro cambierà radicalmente”. Non è il momento di “fare i conti con sé stessi e con gli altri, è il momento di fare i conti con la storia”. Alla fine di un lungo dibattito, dal Parlamento arriva un sì corale alle risoluzioni. Anche Fratelli d'Italia vota a favore del Governo: “È il tempo di una risposta compatta a una aggressione militare che non possiamo accettare”, dice Giorgia Meloni, pur criticando Draghi per le “figure” fatte a livello internazionale per i problemi di comunicazione con Zelensky e di connessione con Macron e per aver prolungato lo stato di emergenza al 31 dicembre. “Pieno mandato” al Governo da Matteo Salvini, che insiste sul proseguire nella strada della diplomazia. E sostegno “convinto” anche dal Partito Democratico: “È il passaggio più difficile, ma anche che nella Costituzione ci sono le ragioni che motivano l'intervento di oggi”, dice Enrico Letta.
Dopo il no alla risoluzione sull’Ucraina ancora polemiche su Petrocelli
Congelare ogni tipo di missione in Russia, fermare la diplomazia a livello parlamentare bloccando ogni protocollo di cooperazione tra le rispettive Commissioni e Assemblee, far sì che il dialogo tra Italia e Russia avvenga solo a livello di Governo: sono queste alcune iniziative che saranno sul tavolo martedì in Commissione Esteri al Senato e che verranno proposte da chi ha portato avanti la risoluzione votata martedì dal Parlamento a supporto dell'azione dell'esecutivo nella crisi ucraina. Si tratta di strumenti di pressione anche nei confronti del presidente della Commissione Vito Petrocelli che martedì ha votato contro la risoluzione unitaria. Il capogruppo M5S al Senato Maria Domenica Castellone ha parlato con il presidente M5S Giuseppe Conte; il gruppo pentastellato a palazzo Madama resta fermo sulla linea che non è necessario alcun tipo di sanzione all'esponente del M5S. Ma saranno gli altri partiti della maggioranza a chiedere spiegazioni: “È imbarazzante portare la voce di una Commissione di cui non condividi la linea in contesti stranieri, ma non entro in casa dei 5 Stelle ed è una questione che riguarda loro”, ha spiegato Matteo Salvini. Italia Viva ha lanciato una petizione online.
Mosca invia un’e-mail ai parlamentari delle Commissioni Difesa, sale tensione
I componenti della commissione Difesa di Camera e Senato hanno ricevuto un’e-mail dell'ambasciatore russo in Italia con allegata la dichiarazione con cui, nei giorni scorsi, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha fatto sapere all'Ue che le sanzioni “non resteranno senza risposta”. Duro il commento del ministro italiano della Difesa Lorenzo Guerini: “La modalità con cui è stata trasmessa al Parlamento italiano e alle altre istituzioni degli altri Paesi dà il senso dell'arroganza del regime russo”. L'ambasciata russa ha spiegato che si tratta di “normale prassi diplomatica”, e infatti le due righe di accompagnamento non contengono “alcun messaggio minatorio all'Italia”. Nel testo allegato il ministro russo avverte: “I cittadini e le strutture della Ue coinvolti nella fornitura di armi letali alle forze armate ucraine saranno ritenuti responsabili di qualsiasi conseguenza di tali azioni”. A rendere noto l'arrivo dell’e-mail è stato Gregorio Fontana (FI): “Respingiamo con sdegno questa missiva che non è altro che un messaggio minatorio”. Nessun commento dalle altre forze politiche, probabilmente per un più o meno tacito accordo bipartisan.
E anche sull’Ucraina la maggioranza inizia a scricchiolare
Matteo Salvini è gelido sull'invio delle armi in Ucraina (“era giusto farlo ma preferisco la diplomazia e la preghiera”) e lancia una critica al Presidente del Consiglio, velandola con un complimento: “Macron parla con Putin e fa bene. Berlusconi sicuramente potrebbe essere un interlocutore. Ma chi più di Draghi ha l'autorevolezza internazionale per chiedere il cessate il fuoco?”. Nel giorno in cui la maggioranza si divide sulla riforma del catasto, si cominciano a sentire scricchiolii anche nelle posizioni sulla guerra in Ucraina. E riparte, seppur con toni cauti, la contrapposizione Lega-PD: “L'Europa è portatrice di pace, l'Italia non è in guerra” chiarisce il segretario dem Enrico Letta, “Noi sosteniamo la libertà degli ucraini”. Matteo Renzi, senza citarli, critica il segretario PD e il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che nei giorni scorsi hanno usato parole dure per definire Vladimir Putin: “Agli statisti in erba che dicono Putin ha perso la testa e vanno all'escalation verbale dico: occhio. È un mezzo pazzo? Ha una strategia”, dice il leader di IV. Matteo Salvini si morde la lingua sul Ministro degli Esteri Luigi Di Maio (“mi sono impegnato a non fare polemiche”) e intanto continua a progettare la missione in Polonia.
La riforma catasto passa per un voto, ma la maggioranza si spacca
Il catasto compatta il centrodestra e spacca la maggioranza. Si consuma sul prelievo sulla casa l'ennesimo incidente parlamentare che fa traballare il governo Draghi: la revisione dei criteri per la mappatura catastale tiene in scacco la Commissione Finanze alla Camera e alla fine la riforma, così come scritta dall'esecutivo nella delega fiscale, è salva per un soffio. La votazione sull'emendamento di centrodestra che chiede di cancellarla finisce 22 a 23 e non passa: un solo voto che mostra tutte le difficoltà che avranno nelle prossime settimane i partiti a tenere insieme la larghissima alleanza di governo, anche perché la Lega ha già annunciato che, perlomeno sul fisco, d'ora in poi si ritiene con le mani libere. La giornata inizia con i tentativi di mediazione di FI, dopo che era arrivato dalla sottosegretaria Maria Cecilia Guerra il messaggio del premier: la riforma è dirimente, o si vota o tutti a casa. Il capogruppo azzurro Paolo Barelli presenta a Palazzo Chigi la proposta elaborata con la Lega: al capo di gabinetto di Palazzo Chigi Antonio Funiciello. Intanto il premier ha cercato Silvio Berlusconi per convincerlo a non seguire la Lega ma senza successo. Tiene insomma l'asse Berlusconi-Salvini, il centrodestra si ricompatta anche se rischia di dividersi. La situazione però non si sblocca, la mediazione salta e si va alla conta: Lega, FI e Coraggio Italia votano compatti e con loro due deputati di Alternativa. Arrivano a 22, e sono battuti da quelli di LeU, PD, M5S e IV a cui si uniscono Manfred Schullian del Misto, Nunzio Angiola di Azione e Alessandro Colucci di Nci.
Si riaccende il dibattito sullo Ius culturae ma dal centrodestra arriva un secco no
Torna ad accendersi il dibattito sulla cittadinanza. Il relatore e presidente della commissione Affari costituzionali alla Camera Giuseppe Brescia (M5S) ha presentato la proposta di testo unificato in commissione sullo ius culturae. Si punta esclusivamente sullo ius scholae, cioè il riconoscimento della cittadinanza ai minori stranieri legato a un percorso scolastico. Il testo prevede, in particolare, che i figli di genitori stranieri nati in Italia o arrivati entro il 12esimo anno d'età e che abbiano frequentato almeno cinque anni di scuola, oppure uno o più cicli scolastici, potranno avanzare la richiesta di cittadinanza attraverso i genitori “legalmente residenti in Italia”. Come era inevitabile, la proposta divide i partiti della maggioranza. Sulla questione si va da un no secco del centrodestra a una spinta, invece, per la cittadinanza agli stranieri nati in Italia da parte del PD e buona parte del M5S.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si conferma primo partito italiano con il 21,3%, sopravanzando di un’incollatura il Partito Democratico (21,1%). Inoltre, il distacco tra FdI e la terza forza politica nazionale (Lega) è di 4,1 punti.
Nell’area delle sinistre, i Verdi guadagnano terreno (2,5%) mentre Sinistra Italiana e MDP Articolo Uno si attestano rispettivamente al 2,1% e al 2,2%. Nell’area centrista, l’alleanza tra Azione e +Europa rimane stabile (5%) mentre Italia Viva cresce (2,7%). Non fa registrare grossi cambiamenti invece il consenso del Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte che si attesta al 13%. Nell’area del centrodestra, la Lega guadagna qualche decimale (17,2%) a differenza di Forza Italia che rimane stabile (7,6%). Italexit di Gianluigi Paragone infine rallenta al 1,7%.
Negli ultimi sondaggi, i partiti che appoggiano il Governo Draghi raccolgono il 71,3%, mentre il centrosinistra formato da PD, M5S e MDP raggiunge il 36,3%. La coalizione del centrodestra unito raggiunge il 46,1%; invece il rassemblement dei partiti di centro(Azione Più Europa e IV) si attesta allo 7,7% dei consensi.