La Meloni difende il decreto lavoro. Le opposizioni e sindacati insorgono
Fino a 7 punti percentuali di prelievo contributivo in meno per i redditi fino a 25mila euro, 6 punti per chi arriva a 35mila euro: può arrivare a garantire “fino a 100 euro mensili di media” in più il rafforzamento del taglio del cuneo fiscale varato dal Governo il primo maggio, il “più importante taglio delle tasse degli ultimi decenni”, lo definisce Giorgia Meloni. L'intervento approvato il giorno della Festa dei Lavoratori vale 3,5-4 miliardi di euro, copre la seconda metà del 2023 ed è accompagnato dalla volontà di renderlo “strutturale”. “È una scelta di cui vado profondamente fiera, davvero non riesco a capire chi riesce a polemizzare perfino su questo”, ha sottolineato la premier nel video pubblicato sui social. Le opposizioni e i sindacati attaccano. “È un bonus per cinque mesi. Vale meno dei bonus dati dal governo Draghi”, l'attacco del Pd. Il salario minimo doveva essere la priorità per il leader M5S Giuseppe Conte. “Il Governo sta mettendo delle toppe, ma serve una strategia. Non si può andare avanti a colpi di propaganda”, il giudizio del segretario della Cgil Maurizio Landini; “Il taglio del cuneo è un segnale importante. Ma insufficiente. Va reso strutturale”, la richiesta di quello della Cisl, Luigi Sbarra.
Nel centrodestra c'è la speranza che in futuro possa rientrare l'emergenza energetica e non servano altri interventi a sostegno di famiglie e imprese per le bollette. Gli extraprofitti sono un altro obiettivo che si ripete nelle considerazioni: “purtroppo, il meccanismo basato sui flussi Iva non ha colto nel segno” ha ammesso il viceministro Maurizio Leo sottolineando che rispetto agli 11 miliardi attesi lo Stato ne ha incassati “solo 2,8. Quindi c'è un differenziale di 8. Questa forse è una preoccupazione e vedremo come e se va coperta”. Nei mesi scorsi sono stati tassati gli extraprofitti delle compagnie energetiche. Leo ha però svelato altri due obiettivi: ridurre le tasse sulle tredicesime dei dipendenti, “per mettere più soldi nelle tasche degli italiani nell'ultimo mese dell'anno”; e “stabilizzare” la misura sui fringe benefit aziendali, prevista dal decreto per innalzare fino a 3 mila euro la soglia di esenzione.
I sindacati virano verso la piazza. Salvini li invita al confronto
Da Palazzo Chigi al Ministero delle Infrastrutture, passando per una manifestazione di piazza; per i sindacati è una lunga settimana d’incontro-scontro con il Governo: il primo, con Giorgia Meloni alla vigilia del decreto sul lavoro varato il 1° maggio, si è concluso con distanze piuttosto significative, portando a una mobilitazione che inizierà sabato a Bologna; il secondo è stato preannunciato da Matteo Salvini, un invito ai leader sindacali per discutere di opere pubbliche, cantieri e sicurezza sul lavoro. Intanto Palazzo Chigi ha accolto con soddisfazione i dati Istat sugli occupati a marzo, +0,1% rispetto a febbraio e +1,3% sull’anno, un trend che per la Premier è il “frutto del clima di fiducia percepito dalle imprese in questi primi sei mesi di governo”.
Più o meno in contemporanea è arrivato l'annuncio dell'invito di Salvini. Si profila così un secondo appuntamento in un breve lasso di tempo fra sindacati ed esecutivo, dopo giorni surriscaldati da polemiche prese di posizione, in particolare da parte di Cgil e Uil, nei confronti della premier, sul contenuto e sulle modalità di consultazione del decreto lavoro. Anche nella maggioranza c'è chi vede in questo passaggio l'ennesimo episodio della competizione interna fra Meloni e Salvini, tra l'altro a ridosso di una tornata delle amministrative che inevitabilmente servirà a misurare il consenso di FdI e Lega dopo sei mesi di governo. Sull’ipotesi Pierpaolo Bombardieri (Uil) è chiaro: “Siamo sempre pronti al confronto”. L'annuncio del vicepremier “è importante”, secondo Luigi Sbarra (Cisl). “Se vogliono fare trattative col sindacato devono farlo prima di prendere le decisioni, altrimenti è una finta, e noi delle farse ci siamo stancati”, l'avvertimento di Maurizio Landini (Cgil). Le tre sigle hanno lanciato un mese di mobilitazione, sabato a Bologna, poi il 13 a Milano e il 20 a Napoli.
Meloni ha incontrato il Generale Haftar. Focus sui migranti
È l'uomo forte della Cirenaica, l'area della Libia da dove partono i migranti, per questo Giorgia Meloni, che mercoledì ha visto anche lo speaker della Camera Usa Kevin McCarthy, ha spinto per l'incontro a Palazzo Chigi con il generale Khalifa Haftar. La missione di Haftar a Roma era finalizzata a portare avanti il dialogo sulla stabilizzazione della Libia, dove due governi, quello di Tripoli e quello non riconosciuto di Bengasi, si contendono il potere in attesa delle elezioni, dopo quelle annullate a fine 2021. Uno scenario di forte incertezza, aggravato dalle fibrillazioni che attraversano buona parte del Nord Africa, dalla Tunisia sull'orlo del default al Sudan in guerra. L'evoluzione degli scontri in Sudan suscita la preoccupazione dell’Italia, come ha spiegato la Meloni ad Haftar dopo che mercoledì aveva incontrato il ministro degli Esteri Antonio Tajani e i ministri Guido Crosetto e Matteo Piantedosi.
Su Haftar da settimane è in corso un pressing da parte degli Stati Uniti affinché tagli i suoi legami con Mosca e con i mercenari filorussi della Wagner, la cui influenza in Cirenaica preoccupa quanto quella in Sudan. Fra i temi di confronto c’è stato il dossier migranti: Meloni ha sottolineato la crescita del fenomeno migratorio verso l'Italia, 42.405 persone sbarcate da inizio 2023, quattro volte quelle dei primi quattro mesi dell'anno scorso. Molti partono da una Libia ancora instabile. A gennaio, incontrando Dbeibah, Meloni auspicò un compromesso politico nazionale, ad Haftar ha ora ribadito che l'Italia conferma il sostegno all'azione dell’Onu in Libia per la rivitalizzazione di un processo politico che possa portare a elezioni presidenziali e parlamentari entro la fine del 2023.
Nuova lite fra Italia e Francia dopo le accuse a Meloni del ministro Darmanin
Giovedì è andato in scena l’ultimo battibecco tra Italia e Francia: il Ministro dell'Interno Gérald Darmanin è intervenuto contro Giorgia Meloni facendo risalire all'improvviso la tensione tra i due paesi. La Meloni è “incapace di risolvere i problemi migratori” dell'Italia, ha attaccato il Ministro francese. Immediata la risposta del ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha annullato la prevista visita a Parigi e l'incontro con la collega francese Catherine Colonna. E non sono bastati i tentativi di gettare acqua sul fuoco da parte dell’ambasciatore francese. Il Quai d'Orsay in un comunicato afferma che “il Governo francese auspica di lavorare con l'Italia per far fronte alla sfida comune rappresentata dalla rapida crescita dei flussi migratori” e ribadisce che “il rapporto tra la Francia e l'Italia è basato sul reciproco rispetto”, ricordando “lo spirito del Trattato del Quirinale”. La stessa Colonna ha fatto sapere di aver sentito Tajani al telefono e di sperare di “accoglierlo presto a Parigi”.
L'Italia per ora resta sulle sue posizioni. La sortita di Darmanin si è probabilmente trasformata in un autogol: l’aver definito l'esecutivo Meloni “un governo di estrema destra scelto dagli amici della signora Le Pen” è stato pesantemente criticato dalla destra francese. Uno scivolone a uso interno, comunque ingiustificabile. È stato detto “peste e corna del nostro Paese senza motivo, se non quelli di politica interna, ma un Ministro dell'Interno di un grande Paese dovrebbe riflettere prima di parlare”, ha osservato Tajani, che si aspettava, come il Ministro della Difesa Guido Crosetto, “una dichiarazione di scuse al Governo italiano”. “Non accetto lezioni sull'immigrazione da chi respinge in Italia donne, bambini e uomini continuando invece a ospitare assassini e terroristi che in Italia dovrebbero tornare”, ha attaccato Matteo Salvini.
La Camera ha approvato definitivamente il decreto Cutro ma andrà modificato
Giovedì la Camera ha approvato definitivamente il cosiddetto decreto Cutro. Il provvedimento riforma il sistema di accoglienza, inasprisce le pene per i cosiddetti scafisti, ma soprattutto abolisce quasi del tutto la protezione speciale, ovvero le norme di protezione temporanee pensate per chi non può chiedere o non ha ottenuto l'asilo. Ma, a quanto pare, il testo andrà modificato: l'articolo 7-ter voleva impedire la possibilità di far ricorso per coloro che si vedono negare la protezione e questo sarebbe incostituzionale; per evitare la bocciatura del Quirinale è stato accolto un Odg che impegna il Governo a modificare la norma con un provvedimento ad hoc, norma che sarebbe già stata varata e inserita nel decreto che giovedì sera il Cdm ha approvato sull’amministrazione di enti pubblici e società. Ma la protezione speciale, già abolita da Salvini ministro dell'Interno, poi riammessa sotto il governo Draghi, continua ad essere al centro delle polemiche tra maggioranza e opposizioni come si è visto anche nel dibattito alla Camera.
È tensione nella maggioranza. Slitta la nomina del capo di Finanza e Polizia
Non c'è accordo in Cdm e così slitta la nomina del nuovo capo della Guardia di Finanza. Le nomine in Rai sarebbero l’origine della tensione nella maggioranza, che starebbe lambendo anche le prossime, attese, nelle partecipate, con la Lega che alzerebbe la posta sulle Ferrovie. Alle quattro i Ministri sono tutti in attesa a Palazzo Chigi, mancano Giancarlo Giorgetti e Guido Crosetto, che si erano visti di prima mattina e avevano condiviso l'idea di indicare il generale Umberto Sirico, attuale comandante dei reparti speciali della GdF, come sostituto di Giuseppe Zafarana, indicato come nuovo presidente di Eni e che si insedierà a breve. E manca Alfredo Mantovano, che spingerebbe invece per Andrea De Gennaro. Ministri e sottosegretario si sarebbero chiusi a lungo con la premier nel suo studio, in una discussione piuttosto ruvida. Dal Mef si spiega che si tratta di un processo complesso, che vede il coinvolgimento di diversi soggetti e che sta andando avanti da tempo. Qualche Ministro cerca di gettare acqua sul fuoco: “nessuno scontro”. Il ritardo del Cdm? Legato alla visita dello speaker della Camera degli Stati Uniti. E in più “non era tema all'ordine del giorno”. Fatto sta che è stata rinviata non solo la scelta per la GdF ma anche quella del capo della Polizia e quella del prefetto di Roma.
Il Governo accelera: sulla Rai via libera a decreto e Fuortes verso il San Carlo
Il governo Meloni accelera sul fronte del rinnovamento in Rai e spinge Carlo Fuortes verso il Teatro San Carlo di Napoli. La svolta che spiana la strada al cambiamento dei vertici di viale Mazzini è arrivata giovedì con l'approvazione, da parte del Cdm, del decreto-legge sull’amministrazione di Enti pubblici e società. Nel provvedimento approvato è inserita una norma che fissa il limite massimo di 70 anni per il pensionamento dei sovrintendenti dei teatri lirici. Una misura ad hoc che potrà essere applicata nel caso del presidente del San Carlo Stéphane Lissner, che ha da poco compiuto proprio 70 anni. L'intervento normativo, spiega il MiC in una nota, “nasce da una generale esigenza di riordino di una materia segnata da evidenti incongruenze nella determinazione dell'età della pensione per i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche. C'erano, infatti, limiti diversi a seconda della provenienza e della nazionalità del soggetto”. Su Carlo Fuortes spetterà al Governo compiere i prossimi passi che potrebbero portare alla fine della sua era in Rai, che in ogni caso non si chiuderà in occasione del Cda di viale Mazzini previsto per oggi.
L'Ue apre al Pnrr per la produzione di munizioni
Dirottare fondi del Pnrr per aumentare gli investimenti nella difesa e nello specifico per la produzione di quel milione di munizioni che andranno inviate a Kiev: la sola formale apertura da parte di Bruxelles all'utilizzo dei fondi Recovery, presentata insieme al nuovo Act in support of ammunition production, scatena subito diverse polemiche. Il commissario Ue per il Mercato interno Thierry Breton ha inquadrato la difesa nel “terzo pilastro” su cui è stato costruito il Recovery, cioè la “resilienza” (accanto a transizione verde e digitale). Il Governo chiarisce che per ora il dossier ancora non è stato aperto e che andrà discusso prima di tutto con gli alleati. Ma al momento l'attenzione è concentrata sugli obiettivi della quarta rata (mentre si attende lo sblocco definitivo della terza) e sulla revisione del Piano con l'aggiornamento legato al RepowerEu.
Il ministro Raffaele Fitto, che ha avviato la nuova governance con la nomina di Carlo Alberto Manfredi Selvaggi alla guida della nuova struttura di missione del Pnrr, sta continuando gli incontri con i ministeri per mettere a punto le modifiche al piano; martedì ha incontrato Gilberto Pichetto Fratin, Adolfo Urso, Anna Maria Bernini, Daniela Santanché e Nello Musumeci. La proposta di Breton punta dritto a rinforzare l'industria della difesa continentale per portarla alla “modalità economia di guerra”, un maxi-piano che coinvolge da subito l'Italia e altri dieci Paesi, tra i quali Francia, Germania, Spagna e Grecia, con le industrie della difesa più avanzate d'Europa in fatto in munizioni. A loro disposizione un fondo comunitario da 500 milioni di euro, con tassi di co-finanziamento dal 40% al 60%, nuove procedure di autorizzazione più snelle, partnership tra Paesi e joint venture tra aziende per la costruzione di nuove fabbriche e per il rifornimento degli stock. Accanto, la possibilità di utilizzare anche parte dei fondi di coesione e del Pnrr. Il tutto, negli auspici della presidente Ursula von der Leyen, per sostenere l’Ucraina nel “difendere i suoi cittadini” e rafforzare in un colpo solo “anche le capacità di difesa europee”.
La Lega ragiona sul posizionamento in Ue e rilancia Pontida dopo l’estate
Ufficialmente l'obiettivo “è essere sempre più protagonisti e decisivi in Europa”, politicamente, il nodo è sul posizionamento della Lega: restare nel gruppo Identità e Democrazia insieme, per esempio, al Rassemblement National di Marine Le Pen, oppure avvicinarsi al Ppe e fare sponda con i Conservatori per provare a creare, insieme, una nuova maggioranza a Strasburgo? La riflessione in casa Lega è cominciata al Consiglio federale convocato in via Bellerio a Milano da Matteo Salvini che, tra l'altro, non ha ancora deciso se partecipare o meno alla kermesse del 13 e 14 maggio a Lisbona, organizzata da Chega, il partito nazionalista portoghese. Il segretario ha ascoltato le varie posizioni rinviando tutto alla prossima riunione già fissata per il 29 maggio. L'ala più governista del partito è convinta che la Lega non possa più permettersi di restare fuori dalla maggioranza in Ue e che, dopo essere diventata forza di governo in Italia, occorra farlo anche a Bruxelles per evitare il “rischio isolamento”, anche considerando la possibile alleanza tra i Conservatori, guidati in Europa dalla premier Giorgia Meloni, e i Popolari, la casa europea di FI.
Non è un mistero che anche il ministro Giancarlo Giorgetti, pure lui presente al Federale, auspichi un maggior rapporto con il Ppe, che vorrebbe dire lasciare Identità e Democrazia, ma il nodo sta nel “come” avvicinarsi ai Popolari. Non tutti però nella Lega sarebbero convinti della nuova strada da prendere, come il presidente della Camera Lorenzo Fontana, presente alla riunione: spiegare agli elettori il nuovo posizionamento in Europa sarebbe complesso e, forse, chissà, anche poco vantaggioso e le ultime elezioni, non solo in Italia ma anche per esempio in Svezia o in Finlandia, dimostrano infatti la presenza di un forte “vento di destra” difficilmente ignorabile. Il suo, tuttavia, sarebbe stato un intervento ancora “interlocutorio”. “L'Europa che vuole la Lega” sono le parole fatte filtrare da via Bellerio “sa difendere sé stessa e non avvantaggia la Cina mettendo a rischio il lavoro, i risparmi e la salute degli italiani”. Intanto si guarda già alla tradizionale manifestazione di Pontida: i militanti della Lega potrebbero tornare sul “sacro prato” dopo l'estate, o quantomeno questa è una delle ipotesi avanzate da Salvini.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG il 1° maggio, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si conferma il primo partito italiano, con il 28,8%, davanti al PD (21,5%). Pressoché stabile il Movimento 5 Stelle al 15,3%. Da sottolineare come il distacco tra FdI e la seconda forza politica nazionale (PD) sia pari a 7,3 punti percentuali. Nell’area delle sinistre, la lista rosso-verde Alleanza Verdi e Sinistra è stimata al 3,2%, mentre Unione Popolare all’1,8%. Nell’area centrista, Azione è data al 4,3%, mentre Italia Viva al 2,5%. Nella coalizione del centrodestra, la Lega scende al 9,0%, mentre Forza Italia sale al 6,8%. Italexit di Paragone, infine, è in lieve calo al 2,1%.
La stima di voto per la coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) cresce leggermente, passando dal 44,5% della scorsa settimana al 44,6% mentre il centrosinistra, formato da PD, +Europa e Alleanza Verdi-Sinistra arriva al 27,0%. Il Polo di centro, composto da Azione e Italia Viva, si ferma al 6,8%. Fuori da ogni alleanza il M5S che si attesta al 15,3%.