Giorgia Meloni chiude il caso Donzelli-Delmastro e chiede di abbassare i toni
“Non ritengo vi siano in alcun modo i presupposti per le dimissioni che qualcuno ha richiesto. Peraltro, le notizie contenute nella documentazione oggetto del contendere, che il Ministero della Giustizia ha chiarito non essere oggetto di segreto, sono state addirittura anticipate da taluni media”. Lo dice Giorgia Meloni in una lettera al Corriere della Sera sulla vicenda Cospito legata alle dichiarazioni di Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro. “Sicuramente i toni si sono troppo alzati e invito tutti, a partire dagli esponenti di FdI, a riportarli al livello di un confronto franco ma rispettoso”. Pur riconoscendo “eccessive” le accuse mosse al Pd, non risparmia stoccate agli avversari e afferma di intravedere alcuni “aspetti strumentali” nella polemica sollevata dai dem. Non si è fatta attendere la risposta da parte del Pd che, in una nota del segretario Enrico Letta, ha criticato la premier per aver atteso diversi giorni prima di esprimersi sulla vicenda e per il contenuto della dichiarazione.
Le opposizioni sono per una mozione unitaria contro Delmastro
Le opposizioni hanno puntato Andrea Delmastro: le sue dimissioni da sottosegretario alla Giustizia, o quanto meno la revoca delle deleghe al DAP, sono l'obiettivo di una mozione unitaria che, comunque, solo dopo le regionali potrebbe essere discussa in Parlamento. L’appuntamento rischia di creare qualche imbarazzo nel centrodestra, vista la freddezza con cui finora Lega e FI si sono espressi sul comportamento dell'esponente di FdI. “C'è una spaccatura fortissima nella maggioranza, perché FdI ha un atteggiamento bullesco, di quelli che arrivano e dicono ora comandiamo noi. Evito di parlare di fascismo. Ma nel loro caso è così”, torna alla carica il leader di Azione, Carlo Calenda, dopo aver dato della “nazionalista semifascista” alla premier e aver appoggiato l'idea di una mozione di censura, non solo nei confronti di Delmastro ma anche per Giovanni Donzelli. La Conferenza dei Capigruppo la dovrebbe calendarizzare alla ripresa dei lavori dopo la sospensione per le Regionali e, probabilmente, dopo la nuova informativa del ministro Carlo Nordio del 15 febbraio alla Camera.
Il Ministro della giustizia Nordio rigetta l'istanza, Cospito resta al 41 bis
Alfredo Cospito deve restare al 41 bis: il Ministro della Giustizia Carlo Nordio conferma la linea della fermezza del Governo Meloni e così riduce al lumicino le speranze dell'anarchico, in sciopero della fame da 110 giorni contro il regime del carcere duro. Per il 55enne abruzzese condannato a 30 anni ora l'unica possibile ancora di salvezza resta la Cassazione, che il 24 febbraio dovrà esprimersi sul reclamo presentato contro la decisione del Tribunale di sorveglianza di Roma di confermargli il 41 bis. La difesa del detenuto è decisa a dare battaglia: contro il provvedimento di Nordio faremo ricorso, ha annunciato l'avvocato Flavio Rossi Albertini. Era stato lo stesso legale a presentare il 12 gennaio scorso l'istanza di revoca del carcere duro, che Nordio ha bocciato. Al cuore del provvedimento c'è la convinzione che Cospito abbia istigato dal carcere la galassia anarchica ad azioni violente e che il pericolo di comunicazione con l'esterno continui a sussistere, rischio arginabile solo con il 41 bis. In ogni caso, Nordio ha anche tenuto conto dello stato di salute dell'anarchico anche se le sue condizioni non possono “incidere sulla sua pericolosità sociale”, come dice il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto.
Zelensky è accolto dall’Ue come un eroe. Bilaterale con Meloni
È stato accolto da eroe il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nella sua storica visita a Bruxelles: standing ovation al Parlamento europeo, applausi e abbracci al Consiglio Ue. Lui ha mostrato tutta la gratitudine per l'Ue che non ha mai fatto mancare il suo sostegno. Ma ha chiesto altro e di più, non solo di accelerare sul processo di adesione all'Ue ma anche, e soprattutto, sulla fornitura delle armi: “Carri armati, missili a lungo raggio e jet da combattimento”, “Non posso permettermi di tornare a casa senza risultati”, ha ammesso in conferenza stampa con Charles Michel e Ursula von der Leyen, i due che l'avevano accolto all'aeroporto dov’era atterrato assieme a Emmanuel Macron.
Il capo dell'Eliseo aveva ospitato Zelensky già mercoledì sera, un appuntamento ristretto cui era stato invitato, non senza polemiche, Olaf Scholz, un fatto che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha giudicato “inopportuno”: “Credo che la nostra forza in questa vicenda sia l'unità e la compattezza ed io capisco la questione politica interna”, “ma ci sono momenti nei quali privilegiare la propria opinione politica interna rischia di andare a discapito della causa e questo mi pare fosse uno di quei casi”. Parole dure cui Macron non ha voluto rispondere direttamente.
Come annunciato, Zelensky ha avuto un colloquio bilaterale anche con Giorgia Meloni. Nell'occasione Zelensky “ha manifestato la forte gratitudine per l'impegno di Roma” e Meloni ha confermato “il sostegno italiano all'Ucraina contro l'aggressione russa”. Si è parlato anche della sua visita a Kiev che dovrebbe avvenire prima del 24 febbraio. Rivolgendosi ai leader, sia nella sessione di lavoro che nei colloqui bilaterali, Zelensky è stato chiaro: “Purtroppo la guerra è in corso e durerà, non possiamo fermarci alle emozioni, servono armi”. Essenzialmente, dopo aver ottenuto il via libera per i carri armati Leopard 2, Zelensky punta ai caccia, i Mig-29 ma anche gli F-16. I leader Ue per il momento non sono ancora convinti e temono che simili rinforzi possano determinare un’escalation del conflitto.
In ogni caso i pochi che hanno promesso qualcosa si sono assicurati che non sia reso pubblico. “Non saremo i primi a fornire i caccia, ma se altri aprissero la strada la nostra risposta sarebbe positiva", ha assicurato il premier polacco Mateusz Morawiecki. Lo slovacco Eduard Heger ha detto che sta lavorando sulla richiesta di fornitura dei Mig. L'olandese Mark Rutte ha invitato alla cautela. Dal canto suo, l'Ue può fare di più in autonomia sul processo di adesione, e Michel e von der Leyen si sono detti “impressionati” dai progressi compiuti dall'Ucraina. “Vorremmo aprire i negoziati quest'anno” ha detto Zelensky rivolgendosi proprio a Michel; “Sono cosciente della responsabilità che ho ma serve l'unanimità”, ha risposto Michel.
Le Commissioni hanno concluso l’esame del milleproroghe
Si alza la tensione tra Roma e Bruxelles sulla proroga delle gare per i balneari decisa dalla maggioranza e votata al Senato nel decreto mille proroghe, provvedimento che intanto saluta il ritorno dello smart working per i lavoratori fragili e per quelli con figli under 14 del settore privato. L'invito europeo a Roma è quello ad “assicurare parità e concorrenza” sulle concessioni. Un faro, dunque, sulla scelta di prorogare, nonostante i dubbi espressi dall'Ue, la messa a gara delle spiagge. Alla fine, la formula individuata posticipa di un anno i bandi, sospende in attesa del riordino del settore l'indizione delle gare da parte dei Comuni e proroga i termini per la delega sul monitoraggio.
Inoltre, incarica un tavolo a Palazzo Chigi di occuparsi di “definire i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile”; una delle chiavi della soluzione individuata dal Governo risiede proprio in questo passaggio. Per il capogruppo di FdI alla Camera Tommaso Foti il suo partito “ha sempre sostenuto che la direttiva Bolkestein non andrebbe applicata al settore dei balneari. Il Parlamento è sovrano e dà una sua indicazione: siamo certi che in Europa si troverà una soluzione favorevole”. È tutto da vedere se questa chiave interpretativa potrà avere successo in sede Ue. Nel frattempo, le opposizioni vanno all'attacco e i Verdi fanno sapere che invieranno una lettera all'Europa per far aprire contro il nostro Paese una procedura d'infrazione. In ogni caso, il provvedimento, che ha avuto il via libera delle Commissioni, la settimana prossima è atteso dall’Aula del Senato e poi sarà inviato alla Camera per un rapido esame e l’approvazione definitiva entro il 27 febbraio.
Fazzolari avrebbe proposto il tiro a segno nelle scuole. La Meloni lo difende
Giorgia Meloni liquida le polemiche sull'idea di insegnare il tiro a segno nelle scuole, o meglio, sul progetto attribuito da “La Stampa” al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Intanto è scontro fra le opposizioni e FdI: da una parte puntano il dito verso una “destra dal grilletto facile”, dall'altra si liquida come “fake news” la ricostruzione della chiacchierata fra Fazzolari e il generale Franco Federici, consigliere militare di Giorgia Meloni. A Palazzo Chigi, dopo le dichiarazioni della premier e del primo ministro dell'Etiopia, il sottosegretario l’ha avvicinato, parlandogli, fra l'altro, dei buoni risultati ottenuti dagli azzurri del tiro a segno, una federazione sportiva che è sotto la vigilanza del Ministero della difesa. Secondo “La Stampa”, il sottosegretario ha evidenziato la necessità di fare un tavolo per un progetto d’insegnamento del tiro a segno nelle scuole. E Federici si sarebbe impegnato a organizzare un incontro con i soggetti interessati. Un articolo “ridicolo e infondato” per Fazzolari, che ammette di praticare “tiro dinamico sportivo” ma nega ogni idea sulla scuola.
Le elezioni regionali saranno un test per il centrodestra e i suoi partiti
Il centrodestra si avvia al rush finale delle prossime regionali. Se sulla carta la vittoria è scontata, più incerto l'effetto che avrà sugli equilibri interni ai tre principali partiti. Di sicuro è la Lombardia lo snodo clou, visto che, al di là della conferma del leghista Attilio Fontana, qui FdI potrebbe guidare una rivoluzione, diventando il partito più votato, esito che confermerebbe il cambio di rotta registrato alle ultime politiche: 5 mesi fa in Lombardia il 27,6% degli elettori di FdI avevano quasi doppiato i leghisti, fermi al 13,9% e ancor più i berlusconiani fermi al 7%, dati che se confermati anche alle regionali rischierebbero di alterare gli equilibri interni alla Lega.
Orizzonte tutto da scrutare anche nel Lazio. Se vincesse il candidato Francesco Rocca, la coalizione di centrodestra tornerebbe al governo dopo 13 anni dall'ultima sua eletta, Renata Polverini. Una vittoria della squadra, ripeterebbero in coro gli alleati. Contemporaneamente, però, sarebbe difficile frenare la tentazione di FdI di fare l'asso pigliatutto. Del resto al voto del 25 settembre si era attestata al 26%, un'ascesa che sa di boom per un partito nato nel 2012 e che un anno dopo, alle regionali del Lazio aveva di poco superato il 3%, salendo all'8,69% nel 2018.
Inoltre, se proprio qui si confermasse il trend negativo previsto dai sondaggi, per la Lega sarebbe la conferma che è tramontato il sogno del partito nazionale, e non più solo nordista, che fu il grande obiettivo centrato inizialmente da Matteo Salvini. In imbarazzo è pure FI di fronte a un flop temuto da tempo e che brucerebbe tanto nella Regione di Silvio Berlusconi; da qui l'ipotesi di un'alleanza sotterranea che FI e Lega potrebbero siglare per non essere fagocitati dall'alleato più giovane. In caso di un trionfo di FdI, non si esclude nemmeno l'ipotesi di un restyling degli organigrammi interni al partito. (Leggi gli speciali sulle elezioni in Lombardia e Lazio).
Nel PD Bonaccini vede la vittoria, Schlein punta sulle primarie aperte
Stefano Bonaccini culla il vantaggio di 12 punti su Elly Schlein, mentre lei confida nella possibilità di ribaltare la situazione, specie col voto ai gazebo. La diffusione ufficiale dei primi dati sui voti nei circoli per la scelta del segretario Pd ha rivitalizzato il dibattito, ha provocato qualche schermaglia e perfino accuse reciproche. Il voto degli iscritti si chiuderà domenica (proseguirà fino al 19 solo nel Lazio e in Lombardia, per la concomitanza delle Regionali): i primi due classificati fra i quattro in corsa (oltre a Bonaccini e Schlein ci sono Cuperlo e De Micheli) il 26 febbraio si sfideranno alle primarie, che saranno aperte anche a chi non ha la tessera del Pd. Gli ultimi dati diffusi dal Nazareno vedono Stefano Bonaccini al 48,8%, Elly Schlein al 36,94%, Gianni Cuperlo all'8,41% e Paola De Micheli al 5,85%. “Sono soddisfatto dai numeri che leggo” ha commentato Bonaccini “mi pare che ci sia un distacco di oltre 10 punti. In Emilia-Romagna siamo addirittura al doppio dei voti”.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG il 6 febbraio, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si conferma il primo partito italiano, con il 30,6%, davanti al Movimento 5 Stelle (17,5%). Sembra arrestarsi la caduta libera del Partito Democraticoche arriva al 14,8%. Da sottolineare come il distacco tra FdI e la seconda forza politica nazionale (M5S) sia pari a 13,1 punti percentuali. Nell’area delle sinistre, la lista rosso-verde Alleanza Verdi e Sinistra è stimata al 3,5%, mentre Unione Popolare al 2,0%. Nell’area centrista, l’alleanza tra Azione e Italia Viva è data all’8,1%. Nella coalizione del centrodestra, la Lega si ferma all’8,7%, mentre Forza Italia al 6,4%. Italexit di Paragone, infine, è in lieve crescita al 2,3%.
La stima di voto per la coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) rallenta leggermente, passando dal 46,2% della scorsa settimana al 45,7% mentre il centrosinistra, formato da PD, +Europa e Alleanza Verdi-Sinistra cresce leggermente, arrivando al 21,3%. Il Polo di centro, composto da Azione e Italia Viva, si ferma all’8,1%. Fuori da ogni alleanza il M5S che si attesta al 17,5%.