Conte ricuce sulla riforma del Mes 

“Il Governo ha bisogno della massima coesione delle forze di maggioranza: è importante il confronto dialettico, la varietà di posizioni, ma poi va superata in una sintesi superiore la varietà di opinioni”. Tutta la delicatezza della posizione di Giuseppe Conte si riassume in queste sue parole nel suo intervento in aula al Senato in vista del Consiglio europeo. La riforma del Meccanismo europeo di stabilità legato all'impegno del Governo italiano per altre riforme in ambito europeo, passa con 314 voti favorevoli, 239 contrari e 9 astensioni; al Senato, il documento passa con 156 sì, 129 no e 4 astenuti: numeri non larghissimi, ma sufficienti per ora a tenere a galla la barca capitanata da Conte. Tredici i dissidenti irriducibili del M5S alla Camera che hanno votato contro, due invece al Senato. Conte incassa alla Camera la ribellione pro-Mes di Renato Brunetta che alla Camera tuona: “Io non voterò contro, voterò in dissenso dal mio partito, questo non sarà in mio nome”. Ma al Senato allargano il solco a favore della maggioranza anche i nove forzisti che non partecipano al voto. I nodi per il premier restano tutti da sciogliere però, non solo per l'ennesima prova di fragilità della maggioranza che lo sostiene, ma anche per lo stallo ancora non superato in Europa sul Recovery Fund e per lo scontro interno alla maggioranza sulla sua gestione. 

Nel M5S si consuma lo strappo: 15 parlamentari votano no

La resa dei conti è forse rimandata, ma per i frondisti del Movimento 5 Stelle da ora in poi non sarà vita facile. I pentastellati non escono dilaniati dal voto sul Mes, ma sicuramente almeno ridisegnati. I due voti contrari al Senato e i 13 alla Camera rappresentano un buon risultato rispetto a totale iniziale di 58 dissidenti, ma è sempre un voto contrario all'operato di Giuseppe Conte. I pontieri hanno lavorato giorno e notte per indirizzare il voto non a danno del Governo, ci sono riusciti, ma non si potrà evitare che questi dinieghi passino inosservati. Sul tavolo sicuramente sanzioni disciplinari e, secondo fonti qualificate, non sono escluse le espulsioni. Al Senato i nomi sono quelli di Nicola Morra e Barbara Lezzi; quest'ultima ha votato sì, mentre il presidente dell'Antimafia non ha partecipato al voto, confermando la contrarietà, ma almeno facendo un passo indietro nello scontro tra governisti e chi farebbe a meno di questo esecutivo. Alla Camera la fronda anti Mes è composta da Fabio Berardini, Pino Cabras, Andrea Colletti, Emanuela Corda, Jessica Costanzo, Carlo Ugo De Girolamo, Francesco Forciniti, Paolo Giuliodori, Mara Lapia, Alvise Maniero, Francesco Sapia, Arianna Spessotto e Andrea Vallascas. 

Renzi durissimo con Conte al Senato

Sulla riforma del Mes, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte incassa un risultato positivo in entrambi i rami del Parlamento, dopo la ricomposizione faticosa di gran parte dello strappo nel Movimento 5 Stelle, ma la riforma del Meccanismo europeo di stabilità ma deve fare i conti con l'attacco frontale del leader di Italia viva Matteo Renzi, che annuncia un futuro voto contrario dei suoi diciotto senatori al Recovery Plan del Governo se non ne modificherà i contenuti e non ritirerà il suo progetto di governance. Quella dell'ex premier è una sorta di requisitoria: “Avevamo chiesto a Conte di venire in aula, non va bene che ci arrivi nottetempo alle 2 un progetto di 128 pagine, con una proposta che prevede dei manager con poteri sostitutivi rispetto al Governo. Comunque, se nella manovra “c'è un provvedimento che porta la governance del Next Generation Eu e un provvedimento con la Fondazione dei servizi segreti votiamo no. Lo diciamo prima”. 

La tensione nel Governo non scema. Pressing di Iv su Conte o piano B con Draghi

Prima capire cosa fare e, quindi, come spendere i fondi Ue, poi affrontare il tema della governance. La cabina di regia sul Recovery plan resterà congelata, perlomeno è questa la convinzione del leader di Iv, che da giorni insiste sulla necessità di uno stop da parte di Giuseppe Conte. Sul tavolo del prossimo Cdm dovrebbe arrivare una bozza del piano da trasmettere poi alle Camere; lo fa capire anche il segretario del Pd Nicola Zingaretti, rilanciando l'invito a sbloccare l'impasse su tutti i dossier. Il premier parla di fraintendimento sul Recovery, del fatto che i Ministri non saranno commissariati, ma Italia Viva non cede. Il piano A è quindi rimettere tutto in discussione, a partire dal Recovery plan: arrivare al modello francese, una cabina di regia con le forze parlamentari e le parti sociali, senza piantare paletti ad un’unità di missione ma lasciando alla politica (e al Consiglio dei ministri) la facoltà di decidere sui progetti. Il piano B è l'ipotesi di un esecutivo istituzionale e in tanti nei partiti di maggioranza e opposizione negli ultimi giorni sono tornati a guardare a Mario Draghi, ritenendo che solo lui, come alternativa a Conte, possa gestire i 209 miliardi. Il presidente del Consiglio ha fatto sapere di voler trattare sul Recovery, al pari del Ministro Roberto Gualtieri, con la premessa che una struttura e un coordinamento sono necessari, soprattutto per evitare ritardi di fronte alla Ue. Ma anche in un'ala del Pd c’è irritazione per il metodo portato avanti dal premier: il sospetto è che Giuseppe Conte si stia creando una propria struttura, se non un proprio partito. La mediazione si aprirà nel Cdm con i pontieri al lavoro per raffreddare il clima, ma Renzi non demorde. 

Le opposizioni per il momento rimangono alla finestra

Non è solo la maggioranza, ma anche l'opposizione ad attendere le mosse del presidente del Consiglio. Mesi fa Matteo Salvini aprì alla prospettiva di un governo istituzionale per poi chiudere quella porta, anche perché la sua disponibilità non era stata accolta. Ma, di fronte a quella che tutti i big del partito di via Bellerio considerano una vera e propria emergenza democratica, in tanti nella Lega sono tornati a ragionare sul piano B. L'ala moderata che fa riferimento a Giancarlo Giorgetti individua un bivio: “O restiamo sulla riva del fiume e assistiamo al big bang di questa maggioranza o di fronte ad un quadro che cambia valutiamo altre alternative”. Salvini non guarda a quel bivio, anche se non esclude nulla. La convinzione del Capitano è che questo esecutivo non possa reggere, ma per ora non c’è l'intenzione di fare aperture ad altri governi; tocca al Pd capire, ragionava l'altro giorno Giorgetti con alcuni parlamentari, che ha tutto da perdere. In questa situazione d’incertezza chi ci guadagna è Conte che continua a governare. Risaputo che pure Fratelli d'Italia non crede che Renzi possa rovesciare il tavolo e che Giorgia Meloni punta solo al voto, anche in FI ora l'imperativo è un altro, ovvero quello di un centrodestra unito.

Il M5S è nella bufera, cresce la pattuglia dei fuoriusciti

Altri 4 deputati che lasciano il M5S ma molti, tanti di più, che ormai escono allo scoperto votando in dissenso con il Gruppo e non solo sul Mes ma anche, ad esempio, sul dl sicurezza. Dopo le fuoriuscite a Bruxelles, quello in corso nel M5S sembra un liberi tutti. Il gruppo è sfaldato e in attesa che il percorso degli Stati generali porti a qualche novità si cerca di correre ai ripari. In questi giorni gli iscritti sono chiamati a votare le conclusioni degli Stati generali poi partiranno le discussioni sulla nuova agenda pentastellata. Intanto però, mentre si gettano le basi per riorganizzare il M5S del futuro, quello attuale è nella bufera: la vittoria sul Mes dell'ala governativa ha portato anche una profonda ferita, con i fuoriusciti e quelli sempre pronti a fare il salto che gridano al tradimento. Alla Camera passano al gruppo Misto Carlo de Girolamo, Antonio Lombardo, Maria Lapia e Fabio Berardini. Indiscrezioni ipotizzano che quest'ultimo potrebbe traslocare in FdI mentre il Pd annuncia che gli ex 5 Stelle Paolo Lattanzio e Michele Nitti passano al loro gruppo. L'addio dei quattro è accompagnato da una valanga di accuse verso la piega presa dal M5S. 

Dl ristori si incaglia al Senato, approvazione sul filo

Il decreto ristori all'esame del Senato si è incagliato per una partita tutta politica che si gioca su un altro tavolo, quello del decreto Natale. Il provvedimento rischia così di arrivare in Aula lunedì senza mandato al relatore, quindi senza alcuna modifica parlamentare, nonostante la dote di 600 milioni a disposizione dei senatori per correggere il tiro o aggiungere novità ai quattro provvedimenti del Governo. L'opposizione ha infatti deciso di fare apertamente ostruzionismo, pretendendo l'illustrazione di ogni singolo emendamento (4.000 in tutto), per cercare di ottenere risultati sul decreto in tema di spostamenti natalizi. Il dl è incardinato alla Camera, ma anche al Senato i capogruppo di Lega, FI e Fratelli d'Italia chiedono un allentamento delle restrizioni soprattutto tra Comuni limitrofi. La decisione della presidente del Senato Elisabetta Casellati di calendarizzare in Aula il 16 dicembre la mozione sottoscritta dall'opposizione potrebbe aver sbloccato la situazione, ma un giorno è stato comunque perso e il tempo per l'approvazione del decreto stringe; il provvedimento, che scade il 27 dicembre, è atteso all'esame dell'Assemblea di Palazzo Madama lunedì 14.  

I sondaggi della settimana

Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG, la Lega di Matteo Salvini rimane stabile rispetto alla scorsa rilevazione (24,3%). Discorso simile per il Movimento 5 Stelle. Il consenso dei pentastellati fa registrare una piccola frenata attestandosi al 14,7%. La Lega resta comunque il primo partito del Paese con una distanza dal secondo (PD) di 3,9 punti percentuali, mentre il gap rispetto a FdI, la terza forza politica italiana, si attesta a 7,9 punti.

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Nell’area delle sinistre, i Verdi si fermano al 2% mentre Sinistra Italiana-MDP Articolo Uno non fa registrare grossi cambiamenti (3,5%). Nell’area centrista, +Europa rimane stabile (2,2%), come Italia Viva che si attesta al 3,4% mentre Azione non mostra differenze apprezzabili (3,4%). Il Partito Democratico guadagna più di mezzo punto rispetto alla settimana scorsa (20,4%). Nell’area del centrodestra, Fratelli d’Italia si conferma come la terza forza politica nazionale (16,4%). Nessuna variazione degna di nota per Forza Italia (6,2%) e Cambiamo!, il partito di Giovanni Toti (1%).

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Ad oggi, l’area di Governo raccoglie il 41,8% delle preferenze di voto. La coalizione di centrodestra il 47,9%, quella di centrosinistra il 29,3%. Il Movimento 5 Stelle è dato al 14,7%.

 

 



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