Meloni incontra il premier lettone Karins prima del vertice Nato
Sostegno all'Ucraina, accordo sui migranti e un impegno comune per spingere l'Ue a investire di più su difesa e sicurezza, poi il rilancio della collaborazione sul piano economico e culturale: c'è condivisione tra Giorgia Meloni e il premier lettone Krisjanis Karins sui principali dossier europei, una comunanza d’intenti risaltata anche in preparazione del vertice Nato di Vilnius, dove la questione Ucraina e la road map per una sua eventuale entrata nell'Alleanza Atlantica sono stati tra i temi trainanti. Poco più di un'ora di faccia a faccia tra Meloni e Karins per colmare 25 anni di assenza nella capitale lettone di un premier italiano. Ad aprire le dichiarazioni congiunte è stato il premier lettone, tra i fondatori di Nuova Era, partito che aderisce al Ppe: “Tutto quello che avete fatto finora ha aumentato la sicurezza di Lettonia ed Europa”; per Meloni “Le posizioni dell'Italia e della Lettonia sono in buona sostanza identiche. Sosteniamo l'Ucraina a 360 gradi anche lavorando perché l'Europa possa maggiormente investire sulla propria sicurezza e sulla propria difesa”. Al centro dell'incontro anche la questione migranti con la chiave di volta che sta negli accordi con i Paesi di origine sul modello, quindi, della Tunisia. Sui rapporti bilaterali Roma e Riga “stanno facendo insieme un lavoro fantastico perché il nostro interscambio dal 2020 è aumentato del 30%. E io credo che si possa fare ancora di più, particolarmente, in tema di infrastrutture e di difesa”.
Si chiude il vertice Nato. Meloni il 27 sarà alla Casa Bianca da Biden
Giorgia Meloni lascia Vilnius soddisfatta per l'esito del vertice Nato: cita le garanzie di sicurezza per l'Ucraina, senza entrare però nel dettaglio, “precondizione” per lavorare per la pace, e fa il punto sull'aumento delle spese militari. La premier rimarca anche la maggiore “consapevolezza” degli alleati della necessità di rafforzare quel fianco Sud che per l'Italia è cruciale e chiude la giornata con il tanto atteso invito ufficiale alla Casa Bianca, il 27 luglio, da parte di Joe Biden. Prima di rientrare, la premier chiude la sua conferenza stampa rivendicando “il ruolo dell'Italia” nell'alleanza atlantica. Il messaggio principale è quello del faro da accendere sul Mediterraneo, sull'Africa, su cui, a suo dire, finalmente ci sono orecchie attente.
La guerra di aggressione all’Ucraina sta mostrando che “viviamo in un mondo sempre più interconnesso” e che a farne le spese sono soprattutto i paesi africani. “Lo dico non perché sia una fissazione dell'Italia” ma “perché quello che succede in un quadrante si ripercuote negli altri”: la catena si può spezzare solo con quella presenza più massiccia ma non “predatoria”, dopo anni in cui quel fronte non ha più suscitato l'interesse né dell'Europa né degli Stati Uniti. Non si può demandare a “soggetti esterni il controllo della sicurezza”, ragiona la premier augurandosi che dopo quello che è successo in Russia si “aprano gli occhi” anche sulla Wagner nei paesi del Nord Africa. La questione potrebbe essere stata posta anche nel colloquio con Erdogan; la premier, interpellata, derubrica a “fatto non prioritario” l'ingresso della Turchia nella Nato, che pure il presidente turco ha posto sul piatto per il suo via libera all'ingresso della Svezia nella Nato, mentre rilancia il percorso per accogliere l’Ucraina, prima nella Ue e anche nell'alleanza.
Meloni parla dello scontro sulla giustizia e prende le distanze da La Russa
Giorgia Meloni assicura di non voler “alcun conflitto” con la magistratura anche se mette la faccia sulla nota di Palazzo Chigi in cui si accusava parte della magistratura di fare “opposizione” e “campagna elettorale” e, per la prima volta, parla del caso La Russa, prendendo le distanze dal presidente del Senato. Dopo giorni di silenzio, la presidente del Consiglio è tornata a parlare al termine del vertice Nato: al di là delle questioni geopolitiche, molte delle domande si sono incentrate sul tema della giustizia e sui tre casi che nelle ultime settimane hanno creato imbarazzo al Governo, quello della ministra del Turismo Daniela Santanchè, quello del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro e infine quello del figlio di Ignazio La Russa, accusato di stupro, tutti deflagrati proprio mentre il Governo ha varato la prima parte della riforma della Giustizia. La Meloni a Vilnius garantisce che “non c'è nessun conflitto con la magistratura”, ma assicura anche che “abbiamo un programma chiaro” che prevede la separazione delle carriere. Se da un lato, quindi, la premier sembra voler stemperare le tensioni, dall'altro rincara la dose contro quei magistrati dell'Anm che rilasciano “dichiarazioni un po' apocalittiche”. Per Meloni sbaglia chi mette “insieme quel che è nel programma del Governo e i casi specifici”.
Le opposizioni attaccano sulla giustizia e accusano Meloni
Le opposizioni attaccano sulla giustizia. “Un brutto spettacolo per il Paese”, ha detto la segretaria Pd Elly Schlein, perché la presidente del consiglio “difende l'indifendibile” e “a reti unificate accusa la magistratura” aprendo “uno scontro istituzionale inaudito”. Giuseppe Conte ha tirato dritto sulla strada tracciata dal M5S: “Chiederemo la calendarizzazione della sfiducia al ministro Santanché fino a quando non verrà fatta”. Il fronte della maggioranza non è apparso granitico e la Lega non sembra disposta a difendere gli esponenti di FdI finiti nel mirino; se Meloni ha rivelato riserve sulle uscite del presidente del Senato Ignazio La Russa, il vicesegretario leghista Andrea Crippa è stato anche più deciso: “La Russa è la seconda carica dello Stato, per questo sarebbe stato “più opportuno il silenzio nei confronti di una ragazza che sta denunciando una violenza”. Sullo sfondo, c'è il rapporto del Governo con le toghe: il Ministro della Giustizia Carlo Nordio è rimasto nel solco tracciato da Palazzo Chigi; ha rivendicato la nota sulla “fascia” di magistrati che fanno opposizione, ma ha spiegato: “Non entrerei mai in conflitto con la magistratura. Questo non significa che non ci siano dei confronti sui temi sui quali abbiamo opinioni diverse”. Ma il leghista Crippa ha puntualizzato: “non vedo un complotto dei magistrati contro il Governo.
Mattarella vede Meloni per un confronto sulla giustizia
Giovedì al Quirinale c’è stato il colloquio tra Sergio Mattarella e Giorgia Meloni al termine del Consiglio supremo di difesa: bocche cucite sul confronto. Dal Governo si apprende solo che è stato un incontro sui temi al centro dell'agenda, quindi anche la giustizia. Un tema più “caldo”, dopo le polemiche sui casi Santanchè, Delmastro e La Russa che hanno agitato l'esecutivo e aperto uno scontro tra Governo e magistratura. Mercoledì, al termine del vertice Nato, la premier aveva assicurato di non volere “alcun conflitto”, intestandosi però la nota informale di Palazzo Chigi in cui si accusava parte della magistratura di fare “opposizione” e “campagna elettorale”. Appaiono come segnali il fatto che Mattarella non abbia ancora firmato la riforma della giustizia e che avesse ricevuto Margherita Cassano prima Presidente della Cassazione e Luigi Salvato Procuratore Generale della Cassazione. Non è escluso che il capo dello Stato abbia auspicato un abbassamento dei toni. Sul via libera alla presentazione alle Camere della riforma della giustizia è difficile che Mattarella abbia nulla da eccepire visto che poi toccherà al Parlamento pronunciarsi (si tratta infatti di un ddl e non di un decreto che entra immediatamente in vigore); inoltre, non è escluso che il Governo possa modificare le sue intenzioni iniziali durante l’esame parlamentare.
C’è tensione nella maggioranza sul caso Santanchè
La pressione resta alta sulla Ministra Daniela Santanchè. Gli alleati di FI e Lega guardano alla situazione con distacco; “sarà difficile mantenere una situazione del genere per molto tempo”, è la riflessione che si fa all'interno di FdI. L’articolo del Fatto quotidiano, in cui si afferma che Santanchè “era a conoscenza dell'informazione di garanzia per le indagini della Procura di Milano sulle vicende del gruppo Visibilia almeno sin dal 27 marzo”, non fa emergere grandi novità, ma ha acceso il dibattito nel suo partito. Stando così le cose la Ministra non avrebbe esposto il quadro nella sua totalità a Giorgia Meloni. Tra gli atti di quell’inchiesta della Procura di Milano, intanto, è finita la segnalazione di operazione sospetta della Unità di Informazione Finanziaria della Banca d'Italia sulla compravendita di una villa in Versilia, in cui il compagno di Santanchè Dimitri Kunz e la moglie del presidente del Senato Ignazio La Russa Laura Di Cicco, in un'ora hanno realizzato una plusvalenza da un milione di euro. “Un avviso di garanzia non determina in automatico le dimissioni di un Ministro”, ha detto la premier, parole che non bastano a considerare Santanchè blindata. Lo scenario è in divenire e non per le richieste di dimissioni che arrivano dalle opposizioni, al punto che nell'esecutivo c'è chi allarga le braccia: “non è più questione di se ma di come e quando”.
La Camera approva la delega fiscale
Giovedì la Camera ha approvato la delega fiscale con 187 voti a favore, 97 contrari e 6 astenuti. Ai sì della maggioranza si sono aggiunti quelli di Iv e Az mentre +Europa si è astenuta. Passa al Senato, dunque, il provvedimento che contiene, tra l'altro, la detassazione di tredicesime, straordinari e premi di produzione, flat tax incrementale per gli autonomi e superamento graduale dell'Irap. Tra le novità di giornata arriva una norma che allenta la stretta prevista nella prima versione del testo sulla vendita online delle e-cig: il divieto non sarà più relativo a prodotti provenienti da qualsiasi Stato estero, come inizialmente previsto, ma solo fuori dall'Europa ma chi li ordina dovrà ritirarli dai tabaccai o nei negozi specializzati. Altre modifiche sono già in programma per Palazzo Madama con il testo che tornerà poi in terza lettura a Montecitorio. “Abbiamo scritto una pagina importante del nostro sistema tributario, e abbiamo di che essere orgogliosi”, ha detto il viceministro Maurizio Leo dopo il voto finale.
Il Governo va a rilento sui decreti attuativi: via libera a 75 su 296
Il Governo va rilento sui decreti attuativi. Molte norme, necessarie a dare applicabilità ai provvedimenti varati dall’esecutivo, devono, infatti, ancora essere emanate. Stando alla relazione sul monitoraggio del trimestre aprile-maggio-giugno pubblicata dal Dipartimento per il programma di governo guidato dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari ne restano da adottare 221 su 296. Il 40% di questi (118) sono previsti nella legge di Bilancio 2023, mentre 103 sono contenuti in 6 decreti-legge (di cui 4 convertiti); 31 interventi legislativi rinviano ciascuno a meno di 10 provvedimenti e 16 a uno solo. Fra i 221 residui ce ne sono 65 il cui termine è scaduto, per altri 37 non lo è ancora, mentre 119 non hanno un termine prefissato. Il maggior numero (30) deve essere adottato dal MEF e dal MIT. Anche in base a questo l'intenzione del Governo sarebbe quella di rendere il più possibile le norme varate “autoapplicative” in modo da rendere efficaci in breve tempo le disposizioni introdotte. Nel frattempo, l'esecutivo ha emanato un elevato numero di decreti-legge: 32 da quando Meloni è a Palazzo Chigi, dieci dei quali nell'ultimo trimestre.
Meloni incontra Bonaccini per fare il punto sulle risorse post emergenza
La premier Giorgia Meloni ha ricevuto il presidente della Regione E-R Stefano Bonaccini per fare il punto sull'emergenza a un mese e mezzo dalle alluvioni che hanno messo in ginocchio il territorio. Per settimane il dibattito è stato animato quasi interamente dalle polemiche sulla nomina del Commissario straordinario alla ricostruzione; alla fine, il Governo ha optato per il generale Francesco Paolo Figliuolo. Meloni e Bonaccini hanno discusso del tema dell’utilizzo delle risorse dei Fondi Coesione e Sviluppo e la presidente del Consiglio ha confermato “la piena disponibilità a definire nei prossimi giorni le modalità di assegnazione”, ribadendo il “positivo avanzamento del lavoro tra il ministero per le Politiche di coesione e la regione E-R”. Al di là della dialettica politica, dunque, il discorso entra in una fase tecnica e operativa. La Regione fa sapere che quello di Roma è stato un confronto “positivo, utile in primo luogo a fare il punto sulle conseguenze dell’alluvione e l’esigenza di procedure efficaci che garantiscano i dovuti indennizzi a cittadini e imprese”, oltre che sugli “interventi urgenti di ripristino e messa in sicurezza del territorio”: la “volontà comune è quella di fare presto e bene”.
Meloni benedice la volata di Vox in vista delle elezioni in Spagna
Giorgia Meloni, a sorpresa, si collega a un comizio di Santiago Abascal a Valencia, tornando ad appoggiare esplicitamente Vox. Chiarisce subito l'obiettivo del suo intervento: “Sono molto contenta di contribuire con il mio messaggio alla campagna elettorale e ribadire la grande amicizia che unisce FdI e Vox”. Lo stesso fece nel giugno del 2022: all'epoca, con il suo grido rimasto celebre “soy una mujer, soy una madre”, si trattava delle elezioni regionali andaluse e quel giorno di giugno sul palco di Marbella era solo presidente di Fratelli d'Italia. Stavolta, invece, guida un Paese e i toni sono più presidenziali, ma il messaggio non è meno netto: “In Italia stiamo difendendo gli interessi degli italiani e sono sicura che dal 23 di luglio lo stesso si potrà fare in Spagna con un governo di patrioti con Vox”, esclama tra gli applausi. Parole decise che arrivano negli ultimi giorni di un’infuocata campagna elettorale, un voto che, come ha ammesso lei stessa, parlando ai “patrioti” di Vox, potrebbe dare impulso, potrebbe aprire la strada a un successo della destra sovranista in tutta l'Unione Europea in vista delle elezioni l'anno prossimo.
Tajani prepara la strategia per il futuro di Forza Italia
Antonio Tajani si prepara a prendere il timone di FI e rivela la sua strategia per la tenuta del partito: il congresso si riunirà la prossima primavera, prima delle elezioni europee. L’accelerazione smentisce l'iniziale obiettivo di attendere il responso elettorale del prossimo anno e sembra dare una linea precisa alla strategia del ministro degli Esteri. La famiglia del Cav continua ad essere in campo, come dimostrato anche dalla nota informale che smentisce qualsiasi “sfratto” per Marta Fascina da Arcore. Tajani parte dal presupposto che FI può sempre contare sulla famiglia del Cavaliere e, con uno stile più agguerrito del solito, liquida come “balle su balle” le voci che i figli del fondatore di FI abbiano chiuso i canali con il partito”. L'attuale coordinatore non usa mezzi termini nell'indicare l'accelerazione: “sabato al Consiglio nazionale chi la pensa diversamente lo dica apertamente e si candidi al posto mio”. Tajani sa bene di avere dalla sua buona parte del partito. La sua strategia sembra racchiusa nella parola “co-responsabilizzazione” e sull’idea che ci si può salvare solo restando uniti, cioè, remando tutti insieme sulla stessa barca senza troppi mal di pancia e senza schiacciarsi troppo sulle posizioni di FdI o dei sovranisti alleati della Lega in Europa. FI può vantare di essere ancora l'ala moderata del centrodestra, anche in Europa. Non a caso al Consiglio di sabato ci sarà il leader del Ppe Manfred Weber e non Giorgia Meloni o Matteo Salvini, come rimarca Tajani.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG il 10 luglio, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si conferma il primo partito italiano, con il 28,8%, davanti al PD (20,4%). Scende il Movimento 5 Stelle al 15,9%. Da sottolineare come il distacco tra FdI e la seconda forza politica nazionale (PD) sia pari a 8,4 punti percentuali. Nell’area delle sinistre, la lista rosso-verde Alleanza Verdi e Sinistra è stimata al 3,2%, mentre Unione Popolare all’1,8%. Nell’area centrista, Azione è data al 3,6%, mentre Italia Viva al 2,8%. Nella coalizione del centrodestra, la Lega sale al 10,0%, e Forza Italia scende al 7,2%. Italexit di Paragone, infine, sale al 2,1%.
La stima di voto per la coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) sale di oltre mezzo punto percentuale, passando dal 45,4% della scorsa settimana al 46,0%; invariata la posizione del centrosinistra, formato da PD, +Europa e Alleanza Verdi-Sinistra al 26.0%. Il Polo di centro, composto da Azione e Italia Viva, perde tre punti percentuale, passando al 6,4% e infine, fuori da ogni alleanza, il M5S scende al 15,9%.